PUNTA, Carlo

Commerciante , filmaker (Serravalle Scrivia, 16 gennaio 1906 – 22 settembre 1983).

“Mio padre nasce a Serravalle il 16 gennaio del 1906”, così, Lorenzo Punta inizia a raccontare di suo padre, Carlo, in un afoso pomeriggio estivo.

Carlo Punta, per scelta artistica, è ritratto in una breve sequenza d’immagini famigliari volutamente inserite in questo lavoro: è nella sua casa di campagna a Capanne di Cosola dove amava trascorrere con la famiglia i periodi di villeggiatura, così, si diceva negli anni ’50, anni di ricostruzione e di riscatto.
Seduto sul terrazzo, con l’immancabile sigaretta tra le dita, elegante in gilet e cravatta, attende e scorge con sguardo attento e curioso, forse, l’arrivo di amici con i quali amava chiacchierare – si dice “di compagnia” – senza dimostrarsi mai invadente, riservato ma senza distacco.

Negli ’50 lavora nello storico negozio di famiglia di scarpe e cappelli in via Berthoud (già via Umberto I), dove ora troviamo l’esposizione della Pasticceria Carrea; questa attività in seguito fu convertita, seguendo le esigenze dettate dal mercato e dalla moda dell’epoca, in atelier di confezioni.
E’ da questa prospettiva, dall’uscio del negozio che, per non veder riposto in un cassetto il dono costoso di un cugino, una cinepresa da 8 mm, cominciò per gioco, senza ambizioni velleitarie, a filmare volti, personaggi, situazioni, scene di vita comuni e quotidiane che, impresse sulla pellicola, diventano eventi ed emozioni.
Filmava e filmava: la gente che lo osservava da Palazzo Ferrari o dal Palazzo del “Cisculo”, messa da parte l’iniziale ritrosia e quel puerile imbarazzo davanti alla cinepresa, si incuriosiva e gli domandava “Carlo, kòs ke ti fè?”.
Doveva attendere circa due mesi per lo sviluppo delle bobine che venivano inviate a Milano, altro tempo occorreva poi per il montaggio delle pellicole che lui stesso eseguiva; ad ogni lavoro concluso cercò di soddisfare la curiosità del paese che era diventata ormai insistenza.
Decise di proiettare le pellicole in una sera particolare dell’anno, durante la quale, l’intero paese si riversava nelle vie per celebrare il rito comune del Giovedì Santo. Dovette pensare come accontentare tutti: la proiezione, per mancanza di spazio, non poteva essere fatta nel negozio, così trovò un curioso escamotage: per la strada era iniziato tutto e nella strada doveva trovare la sua realizzazione.
Si fece costruire dal “Cide”, falegname del paese, una sorta di sgabello al quale venne applicato uno specchio che avrebbe rovesciato l’immagine riprodotta dal proiettore, opportunamente posizionato sul banco della cassa, per poi rifletterla sulla tela che si trovava sul lato opposto della strada.
Il gioco era fatto: così facendo aveva regalato Serravalle ai serravallesi.
Si era creata un’attesa lunga un anno e, sia i protagonisti inconsapevoli, sia i ragazzi, provetti indossatori che sfilavamo nell’antica Libarna per presentare i nuovi modelli della sartoria, vivevano il loro momento di notorietà.
E intanto il tempo passa: a metà degli anni ’60 il super 8 aveva soppiantato l’8mm, così come il sonoro aveva tolto fascino a quelle immagini silenziose.
Carlo Punta interrompe le sue riprese e alla fine degli anni ’70 le storiche “Confezioni Punta” vedono il loro ultimo défilé. Troppo veloci si susseguivano le nuove tecnologie per chi, come lui, amava lo scorrere lento e rassicurante del suo fiume, la Scrivia.
Oggi, di quel paese raccontato in poche immagini, sono rimaste le belle decorazioni sbiadite di alcuni palazzi, altri sono stati abbattuti secondo nuovi piani urbanistici; neppure i volti sono rimasti gli stessi.
Di questi filmati ci restano i ricordi, poesie lievi e melanconiche dei nostri giorni di ieri.