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San Maurizio “d’inverno”. Un Santo “da neve” forse poco conosciuto… e ciò che ne scaturì. Parte prima.

Per “santi da neve”, detti anche “mercanti da neve”, e tra poco se ne capirà il motivo, si intendono popolarmente quei Santi cristiani che ricorrono nei mesi che, in Europa, sono invernali e più freddi. Questi santi, in cambio della loro protezione portano maltempo; tuttavia la neve è portatrice di benefici per il terreno e di acqua per le sorgenti: dunque, è un “admirabile commercium” che conviene. Con questa espressione simbolica, i “Padri della Chiesa” sintetizzarono il cuore del messaggio cristiano, ovvero lo “scambio soprannaturale”, e per nulla commerciale, tra il divino e l’umano, per cui Dio assunse la natura umana, affinché l’essere umano potesse divinizzarsi. Ecco, dunque, l’importanza di ingraziarselo custodendo il creato, a cominciare dalla terra e dai suoi frutti. Non senza ragione i nostri avi designarono alcune anime elette quali esempi e protettori per raggiungere questi obiettivi. Tra questi beati, il Santo che viene qui presentato è attualmente, forse,  sconosciuto ai più, ma ha parecchie buone ragioni, seppur eterogenee, per essere considerato, almeno in alcuni nostri territori.

Maurizio è un santo martire cristiano, che in vita era un soldato della Legione Tebea, unità tattica ed organica dell’esercito dell’Impero Romano, posta a difesa dei suoi confini mediterranei nordafricani. I 6.600 componenti della Legione erano stati reclutati in buona parte in Egitto, lungo il corso del Nilo, ove sorgeva l’antica Tebe (da qui la sua denominazione) e dove la Legione aveva sede. In essa pare si potessero già a contare egiziani cristiani.

Il futuro santo nacque anch’egli in Egitto, nell’anno 250 d.C., da genitori pagani. Si arruolò nell’esercito romano stanziato nell’Africa mediterranea. Coraggioso, intrepido, diventò in breve comandante di legione. Inviato in Palestina conobbe il Cristianesimo, ne apprezzò i valori e, convertitosi, ricevette il Battesimo, divulgando la fede tra i suoi commilitoni. Di essi, ormai per buona parte cristiani, 481 vennero martirizzati nell’anno 287 d.C. nei pressi dell’odierna Saint-Maurice d’Agaune, nel Cantone Vallese, in Svizzera, per essersi rifiutati di perseguitare i cristiani e di non aver infierito contro i Bagaudi, ribelli locali, già cristianizzati anch’essi, contro i quali, per fermarne le rivolte, nei primi anni del 300 d.C. venne inviata la stessa Legione.

Questi legionari divennero oggetto di venerazione lungo l’arco alpino, per non aver voluto infierire contro la popolazione. Il loro culto risalirebbe pertanto al IV secolo, durante il quale il vescovo San Teodulo fece edificare la basilica ancora oggi esistente per ospitarne le reliquie. La chiesa, visitata pure da San Martino, fu costruita nei pressi dell’allora Agaunume e divenne successivamente il nucleo dell’abbazia, grazie al re burgundo San Sigismondo. Questo edificio di culto fu il primo in Occidente a celebrare la laus perennis (recita dell’Ufficio Divino ininterrottamente condotta a turno lungo le 24 ore dell’intera giornata).

I Santi ritenuti “tebei” venerati in Europa sono 58 in Piemonte, 15 in Lombardia, 10 in Francia, 325 in Germania e 5 in Svizzera. Di alcuni di essi, con l’andar del tempo si è persa la memoria. Alle loro vicende la pietà popolare ha tuttavia sempre riservato una particolare attenzione grazie pure alla leggenda che si è sviluppata attorno ad esse. San Maurizio è compatrono di Vargo di Stazzano, dove non c’è mai stata nessuna raffigurazione del Santo, ed è venerato pure a Castelletto d’Orba ed a Sottovalle (foto sotto).

Tanto per rimanere nel nostro Appennino, i suoi commilitoni San Fedele e San Secondo sono patroni rispettivamente di Malvino e di Cuquello. L’affresco (foto sotto) di San Secondo, presente sulla facciata della chiesa parrocchiale di Cuquello, della quale chiesa il santo è titolare, fu realizzato nel dopoguerra da Clemente Salsa, celebre pittore di origine novarese, morto a Serravalle Scrivia nel 1979. I varghesi raccontavano che appena l’opera fu terminata e mentre il suo autore era ancora sui ponteggi per i ritocchi finali, qualche contadino passandovi davanti e volendo darsi arie da intenditore, aveva fatto presente al pittore che non era una raffigurazione corretta quella di dipingere il cavallo con tre zampe a terra ed una alzata. Il Salsa ovviamente non aveva né tempo e né voglia di discutere con un incompetente, incapace di cogliere che tale raffigurazione era per dare il senso del movimento, e quindi lo liquidò dicendogli: “Come è possibile che un asino giudichi un cavallo?”. Ovvio che gli altri ortolani presenti rilevarono la brutta figura e “ridendo sotto i baffi” la fecero diventare un aneddoto ricordato a lungo.

Continuando nella rilevazione del culto locale ai martiri tebei, il loro collega San Vittore è patrono di Borghetto Borbera, mentre San Fermo è venerato in diverse località appenniniche e gli sono dedicati altari e cappelle a Serravalle Scrivia, Cabella Ligure, Roccaforte Ligure, per non parlare della cappella di San Fermo (foto sotto) sulla sommità dell’omonimo monte (1.177 m) lungo la strada che collega la val Vobbia con la val Borbera.

Pare inconcepibile quanto poco bastasse, ancora non molto tempo fa, per far incuriosire e far sorridere la gente. I predicatori che venivano invitati per le feste patronali, a tenere qualche omelia che non fosse la solita predica del Parroco, di consueto esordivano: “Fratelli, oggi corre San Fermo: miracolo!” (come fa a correre se è fermo? che prodigio!). Quanto a San Vito era invece la gente che gli si rivolgeva, “alla pari”, esclamando: “San Vìgu takteè-e gùre” (San Vito attàccati ai salici… che, se no, la piena del Borbera ti porta via). Pare infatti che San Vito fosse l’originario patrono di Cabella Ligure. Secondo la leggenda, la sua statua sarebbe stata trascinata a fondovalle da una non meglio descritta alluvione.

A Sorli di Borghetto Borbera è addirittura conservata una piccola reliquia di San Magno, anch’egli militare martire della Legione, a riprova che questo gruppo di Santi si era guadagnato larga fama sia per diffusione del culto e sia per la loro opera di evangelizzazione.

Perché molti santi tebei sono venerati nella zona appenninica e prealpina del Piemonte e più in generale fino alla Liguria, nel quadrante dell’Italia del Nord-Ovest? Perché sempre secondo la leggenda, alcuni di essi sfuggirono al martirio giungendo e ritirandosi nelle nostre valli più o meno clandestinamente. Qui si diedero a svolgere opera di cristianizzazione delle genti locali e nei villaggi di montagna, ove il paganesimo era ancora diffuso. Vicende simili coinvolsero pure San Ponzo, legionario tebeo pure lui, di cui si è già parlato in un precedente articolo.

Le vicende di San Maurizio sono differenti da quanto esposto sopra. L’antica Agaunum, per secoli santuario nazionale del regno burgundo, con l’avvento di Casa Savoia, che conquistò per un certo periodo il Vallese occidentale, divenne centro della devozione dei popoli governati dalla dinastia sabauda stessa. Questo particolare legame tra San Maurizio ed il nobile casato culminò nel 1434 con la fondazione da parte del duca Amedeo VIII, dell’ordine cavalleresco dedicato espressamente al nostro Santo.

Stemma dell’Ordine di San Maurizio

Nel nuovo ordine fu incorporato quello dei Cavalieri di San Lazzaro, istituito verso l’anno 1090, al tempo del Regno Latino di Gerusalemme, come ordine militare-religioso per la cura dei lebbrosi (molti suoi appartenenti erano infatti lebbrosi guariti, divenuti quindi cavalieri). L’ordine di San Lazzaro venne poi sconfitto e cacciato dalla Terra Santa ad opera dei musulmani.

Stemma dell’Ordine di San Lazzaro

Ne risultò così l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nato nel 1572 per volere di Emanuele Filiberto duca di Savoia. Tutto questo affinché la “milizia cavalleresca”, così riformatasi, si volgesse agli “uffici pietosi verso gli infermi”. Il suo fine principale agli inizi fu quello di esercitare l’assistenza medica ai più bisognosi e di favorire la diffusione della fede cristiana. Gli obiettivi si sono modificati nel corso dei secoli ma l’Ordine è tutt’ora vivo e riconosciuto; la sua conformazione attuale, fermi restando i principi morali di base, è di tipo assistenziale quanto ai rapporti con lo Stato italiano e di tipo onorifico-dinastico quanto ai rapporti con i Savoia. La disposizione XIV transitoria e finale della Costituzione Italiana stabiliva la conservazione dell’ordine, poi rimodulata dalla legge n° 178 del 3 marzo 1951.

Le croci combinate di S. Lazzaro e S. Maurizio formano lo stemma, così risultante, dell’Ordine (unificato) dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Ma quando, nelle nostre zone, veniva festeggiato il nostro Santo, ossia in che data era ricordato nella e con apposita liturgia? Nel 1591 il duca Emanuele Filiberto dopo aver strutturato l’ordine cavalleresco giunto fino a noi, fece traslare da Saint-Maurice a Torino parte delle reliquie del santo, la sua spada, la croce e l’anello. Transitando per Aosta, Ivrea e Chivasso, esse giunsero a Torino, sul colle dei Cappuccini, da dove si formò il sacro corteo che le recò alla Cattedrale in cui sono tuttora custodite. A memoria di ciò, venne inserita nel Calendario Liturgico piemontese un’apposita celebrazione il 15 gennaio, cioè nell’anniversario del loro arrivo in città.
San Maurizio è oggi considerato innanzitutto quale patrono di Casa Savoia e del citato Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, ma anche di altri ordini cavallereschi come il Toson d’Oro di Spagna e quello d’Austria.
Sotto il patronato del santo sono posti i militari italiani, in particolare gli Alpini, le Guardie Svizzere e l’Esercito Alpino Francese. Per accezione, in quanto cavaliere, divenne anche protettore dei cavalli, contro le loro malattie. Del resto, pure alcuni suoi santi compagni d’armi vennero acquisiti, sempre per accezione, quali protettori contro le malattie del bestiame.
In Svizzera gli è intitolata la rinomata mèta sciistica di Saint Moritz; in Italia (tra le altre) prende nome da lui la cittadina di San Maurizio di Opaglio (NO) dove egli e la sua legione sarebbero transitati.
Con l’annessione della Repubblica genovese al nascente Regno d’Italia, i punzoni a forma di torretta fino ad allora usati dagli argentieri ed indoratori liguri per contrassegnare i loro manufatti, vennero sostituiti da punzoni con la croce mauriziana.

L’iconografia relativa a San Maurizio ed ai legionari tebei in genere, è solita presentarli con tutti gli attributi tipici dei soldati martiri: la palma del martirio, l’armatura e la spada, lo stendardo della Legione Tebea con la croce bianca in campo rosso, e la Croce Mauriziana sul petto del martire. In alcuni casi i martiri tebei possono essere raffigurati con la carnagione scura, a ricordo della loro provenienza africana (“mauro” o “maurizio” significa“scuro” ed è pure il nome dell’antica Mauritania, in Africa nord-occidentale, da cui proviene qualcuno che in particolare “è di pelle scura”). Arduo pensare che lo stendardo di una legione militare dell’antica Roma portasse un simbolo cristiano, anche se molti dei suoi componenti lo erano già o lo sarebbero diventati presto; più verosimile è il ipotizzare che la lettura in chiave cristiana delle vicende di Maurizio abbia portato a sostituire e integrare gli elementi del suo status con riferimenti cristiani, richiamando l’apparizione all’imperatore Costantino della Croce, da lui vista materializzarsi in cielo, e ad usare tessuti delle vesti di color rosso come riferimento al martirio. Ciò premesso, è da evidenziare come la bandiera della Svizzera (che formalmente non è rettangolare ma quadrata, come i vessilli antichi) originerebbe proprio dalla croce mauriziana, seppur con la croce centrale senza le estremità trilobate.

Nella prossima puntata cercheremo di spiegare la diffusione della venerazione del santo nei nostri luoghi.

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