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Partigiani in val Borbera: Franco Barella “Lupo”

Il tempo delle scelte ha lo sguardo d’un crinale appenninico che profuma d’aria di mare in lontananza. Il sapore di una decisione storica. Un ideale di fratellanza. Un senso di unità, che spazza via visioni politiche e ideologiche talmente distanti da non potersi incontrare. Da una parte o dall’altra può far tutta la differenza del mondo. Nel mezzo, come tanti, un ragazzo di nemmeno vent’anni. Famiglia agiata stabilitasi a Novi, con radici che affondano a Borghetto, dove il Borbera lambisce il paese, prima di correre verso fondovalle. Franco Barella sa già che strada intraprendere. Ha vissuto, come tutti, le angherie nazi fasciste successive al fatidico 8 settembre. Chissà se, nella mente, non gli risuoni la frase che il Generale Giuseppe Garibaldi disse al fido Colonnello Nino Bixio durante la Battaglia di Calatafimi. “Qui si fa l’Italia o si muore”. Oltre ottant’anni dopo, la generazione di Franco e dei suoi coetanei, ha in mano le sorti del Paese. In tanti scelgono l’Italia. Scelgono la lotta all’oppressore con il sogno nel cuore della libertà e si avviano sui monti.

Franco Barella durante l’esperienza resistenziale

Barella diventa il partigiano “Lupo” e la direzione, per lui naturale, sono i costoni che sbucano oltre la sua Borghetto, quando le anse del fiume si snodano sinuose tra “le Strette”. Si formano le prime bande, spesso male armate e poco organizzate. Dal versante Ligure, il comandante “Bisagno”, il genovese Aldo Gastaldi, guida i suoi dentro un territorio sterminato, che da Rapallo arriva fino alle vallate piacentine. Nel mezzo, la val Borbera. I ragazzi aspettano gli uomini di Bisagno e del suo fido Aurelio Ferrando “Scrivia”. Quando arrivano, viene il momento dell’unione. Divisione Pinan Cichero, Brigata Oreste, Distaccamento Vestone. “Lupo” diventa uomo in fretta. Il tempo di crescere, d’altronde, non esiste. Incursioni veloci e sorprendenti per colpire i nemici in maniera rapida ed efficace. La battaglia vera e propria non è il terreno sul quale i partigiani possono battersi ad armi pari. Il nemico è un esercito, anche se incomincia ad accusare le prime sbandate. Gli schiaffoni che tedeschi e fascisti subiscono tra i boschi di montagna fanno male, ma non è ancora il momento del k.o. E dunque, meglio evitare lo scontro frontale. Tagliare i collegamenti, imboscate, assalti improvvisi. Guadagnare tempo, mentre inglesi e americani risalgono la Penisola a fatica.

Il fazzoletto del partigiano “Lupo”

La giacca del Comandante

Franco ha vent’anni, ma è in gamba. Ragazzo sveglio e leale. Ascolta Bisagno e Scrivia diffondere i valori partigiani e li fa suoi. Diventa Comandante della “Oreste”. Prima ancora che l’azione, viene il pensiero. Un codice comportamentale che Gastaldi gli aveva tatuato indosso una notte di vento e freddo in alta valle. Il vento soffia forte. Lupo ha lo sguardo pensioroso. Solitario, attende. Aspetta che suo padre, in sella a una bicicletta, arrivi lassù. Partito da Borghetto, un giubbotto pesante e qualche salsiccia da lasciare al suo ragazzo, nascosta dentro i tasconi. Papà, però, ci mette tanto e il freddo cominicia a entrare nelle ossa. Il Comandante intuisce subito. “Tieni Lupo” e si sfila la giacca. “Secondo me stasera non fa per nulla freddo. Mettila tu”. Quel giaccone è rimasto per una vita tra le cose più care di Franco Barella. Un regalo custodito anche dopo la fine delle ostilità tra due giovani eppur già adulti, che lottavano per l’ideale più alto che potesse esistere. Il Patriottismo. La difesa di valori che il Regime aveva cancellato, nel cupo grigiore del Ventennio, dovevano tornare alla luce. Era compito di migliaia di giovani valorosi, entusiasti e coraggiosi. A volte, come nel caso del nostro protagonista, guerrieri dallo spirito cavalleresco. Le regole erano chiare per tutti. Non esisteva violenza gratuita. La popolazione civile doveva subire il minor fastidio possibile. Il pane o quel che lo sostituiva, doveva bastare per tutti e in parti uguali. Quel che si metteva sotto i denti, o lo si pagava o li si scambiava. Niente regali. E mai, per nessuna ragione al mondo, abbassarsi al livello dei nazi fascisti. “Eravamo tutti fratelli a quel tempo”. Era solito ripetere il giovane. Facile a dirsi. Eppure, per quasi due anni, tra comunisti e liberali, bianchi e monarchici, tutto filò liscio. Cancellate le distanze, le ideologie, i pensieri che, una volta tornati al voto, sarebbero riapparsi con enorme vigore. Non c’era spazio per separarsi, lassù in montagna. Fratellanza e unità erano il mantra con cui “Lupo” istruiva il Distaccamento. Per lui, prima ancora della tattica di guerra, delle armi, delle azioni contro il nemico, veniva altro. “Per uno che tradisce, ci saranno sempre due che ci aiuteranno. E per chi ha tradito, non portiamo rancore. Non aveva capito in che situazione si trovava. Non aveva sposato l’ideale unitario dei partigiani”. Parole che paion simili ai pensieri dei Mille garibaldini risorgimentali. D’altronde, non erano anch’essi giovani valorosi alle prime armi con il desiderio di liberare il proprio Paese?

L’arte, i giovani, la testimonianza

Il conflitto che Franco combatte lo vede partecipare a diverse azioni militari. Prima della Pinan Cichero era stato parte dei Gap di Alessandria. E, proprio nel capoluogo, per riannodare i fili dell’avvio della sua avventura partigiana, che occorre tornare. Siamo in piena guerra. Italia e Germania ancora alleate. Un medico avvicina il ragazzo e gli chiede di condurre un ferito a Torino. Da lì in poi, qualcun altro lo avrebbe portato oltre confine. Barella acconsente, il viaggio va a buon fine e quando torna ecco una seconda richiesta. Il giovane intuisce che non si tratta di un semplice trasporto di pazienti e chiede lumi. Scoprirà, dopo la sua domanda, di aver aiutato due persone ebree a fuggire dall’Italia per riparare in luoghi più sicuri, evitando una sicura deportazione verso un inferno fatto di miseria e camere a gas.

L’omaggio della sua Novi

Il partigiano “Lupo”, durante il biennio resistenziale, viene ferito due volte. La prima nel 1944. La seconda in una data storica, per antonomasia. Il 25 aprile 1945. Se la cava e riesce a festeggiare la liberazione della “sua” Novi. Nel dopoguerra, si dedica alla gestione del cordificio di famiglia, assieme ai fratelli. Nel 1948 sposa Hedda, a cui rimarrà legato per oltre 70 anni. Il lavoro e la vita privata, ma non solo. Può finalmente sviluppare la sua grande passione per l’arte, alla quale collegava l’amore per i giovani. In loro rivedeva passione ed entusiasmo dell’avere vent’anni. Come i suoi compagni sui monti valborberini, una nuova generazione affrontava con fame e voglia di emergere un Paese tutto da ricostruire. Merito dei partigiani e “Lupo” non si stancava mai di portare la sua testimonianza nelle scuole del territorio, sotto varie forme. La storia di un ragazzino divenuto uomo in fretta. Armi in mano, le notti al gelo, il nemico in agguato. Prima ancora, veniva l’esempio e il comportamento. Soprattutto, il sottolineare di aver scelto l’unica parte giusta. Di aver scelto l’Italia e averlo fatto seguendo regole e codici dettati da grandi uomini nei prati ventosi delle vette appenniniche. Il compianto Bisagno, del quale rimane la sua giacca. Scrivia, al quale una profonda amicizia lo legherà.

Presidente dell’Anpi. Pubblica tre volumi sul secondo conflitto bellico. “La bottega da ciabattino: testimonianze e documenti”, con Franco Inverardi, nel 1982. “I 600 giorni della guerra di liberazione nelle Valli Borbera, Lemme, Scrivia e Spinti” nel 2000, assieme al partigiano Dria (Giovanni Bricola), “…Ma, fu solo per un attimo”, nel 2011. Collezionista d’opere d’arte. Fondatore del Lions Club cittadino. Uomo di grande cultura e promotore di giovani artisti locali. Un occhio al passato, con la sua presenza a ogni commemorazione delle battaglie da lui vissute. Uno sguardo al futuro delle nuove generazioni. Se n’è andato cinque anni fa. Pochi mesi dopo aver ricevuto, in piena pandemia, una pergamena dall’Amministrazione comunale novese. L’emozione durante la video chiamata. Aveva 95 anni. Lascia un ricordo attuale. Moderno. Il sogno di unire il Paese, ancora una volta, per il bene di un’Italia che rischia di ritrovarsi, a 80 anni dalla Liberazione, a un bivio tanto pericoloso quanto decisivo. Il tempo delle scelte, quello citato nelle prime righe, che ritorna preponderante. Eppure, a differenza di allora, si vive di tentennamenti azzardi, mentre il nemico è di nuovo alle porte. Una nuova generazione di giovani, che “Lupo” amava tanto, deve schierarsi in fretta. Sapendo, come lui sapeva, che la parte giusta è una sola. E allora sì che chi come Franco Barella, con il suo spirito di coraggio, sconfisse il nazi fascismo avrà la certezza di non averlo fatto invano.

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