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Goffredo Mameli e Gerolamo Boccardo, due amici in vacanza a Novi Ligure

C’è una storia poco conosciuta che riguarda Goffredo Mameli e Gerolamo Boccardo, il primo poeta ed autore del testo del nostro Inno nazionale, il secondo grande economista a cui sono intestate due scuole a Novi Ligure. I due, entrambi genovesi, si conobbero sui banchi di scuola frequentando lo stesso istituto dei Padri Scolopi. I Padri Scolopi in quegli anni erano considerati un tipo di scuola che forniva un’istruzione più liberale e moderna. La madre di Mameli, Adelaide Zoagli Lomellini, vicina di casa di un certo Giuseppe Mazzini di cui era molto amica, aveva preferito gli Scolopi ai Gesuiti per l’educazione del figlio « perché essi insegnano lealtà e liberalità ».

L’Istituto dei Padri Scolopi, San Giuseppe Calasanzio, a Genova, in una vecchia stampa

Con altri allievi, tra cui Boccardo, Mameli compose un saggio letterario e si classificò Quartus inter pares. Come premio i Padri gli concessero l’onore della declamazione di due sue poesie durante un intrattenimento accademico. I due giovani, molto vivaci, oltre alla scuola e alla formazione culturale comune, aderirono entrambi all’Associazione Entellica di Chiavari nata per discutere temi storici e letterari di spiccato colore liberale. Nel 1847 la società cambiò nome in Entelema e si trasferì a Genova in quanto raggruppava giovani studenti universitari; Gerolamo Boccardo ne diventò presidente e Goffredo Mameli ne fu il segretario, grazie all’ascendente che esercitava sui seguaci nel divulgare le idee mazziniane.

Adelaide Zoagli Lomellini, madre di Goffredo Mameli.

Entrambi frequentavano Novi per la villeggiatura, Mameli ospite a villa la Brichetta, e qui continuavano piacevolmente il loro scambio d’idee e d’amicizia. Mameli non era nuovo della zona, vi era già stato quindicenne per accompagnare la madre che necessitava di “aria buona” per le sue incerte condizioni di salute. Il giovane, a quanto pare, si era trovato molto bene, se scriveva alla cugina: « …mangio tutte le ventiquattrore ». Con Boccardo, invece, era tornato proprio nel 1847, e la vacanza era stata di più all’insegna delle sarabande tra amici, come si desume dalle lettere.

Goffredo Mameli

In merito alla composizione del testo dell’Inno d’Italia si sa che venne composto il 10 settembre 1847 a Genova e che venne musicato provvisoriamente dal musicista genovese Magioncalda, poi dal maestro Novella, ma Goffredo non era soddisfatto della composizione. In quei giorni Goffredo era a Novi, come risulta da una lettera alla madre del 15 ottobre 1847, in cui amabilmente racconta:

Io qui me la passo benissimo, mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno, e questo è l’ideale del mio Paradiso, credo che voialtri farete altrettanto”.

Gerolamo Boccardo, a cui sono intestate due scuole novesi.

Da questo soggiorno così gradevole probabilmente scaturì l’idea di inviare il testo all’amico musicista Michele Novaro, suo vicino di casa, che in quel periodo si trovava a Torino come secondo tenore e maestro di coro dei Teatri Regio e Carignano. Così Mameli chiamò un comune amico, il pittore Ulisse Borzino, e lo pregò di recarsi a Torino per recapitargli un biglietto. Si racconta che la scena si svolse più o meno così.

« Ulisse! Qual buon vento porta un pittore come te in questo covo di ideali e libertà, in un nebbioso e freddo novembre? » dice Michele a Ulisse, appena lo vede arrivare in casa di un amico comune, Lorenzo Valerio, dove si era radunato un gruppo di patrioti.

« Un tuo caro amico, tuo ex vicino di casa…» dice Ulisse, « Goffredo? » dice Michele.

« Sì! Vuole la tua musica per i suoi versi: ‘portali a Michele!’, si è raccomandato, ‘è una cosa importante!’ mi ha detto… » dice Ulisse.

« Che canaglia! » dice Michele, “E da Genova ti ha fatto giungere fin qua a Torino? Testa calda! … E quando li ha scritti? » chiede Michele.

« … settembre credo…» risponde Ulisse « …e per quando gli serve la musica? »chiede Michele.

« …dicembre, il 10… credo… » replica Ulisse

« Credi?! Credi?! » urla Michele, mentre comincia a leggere il testo di Goffredo,

l’unica cosa a cui devi credere è che entro stanotte io musicherò questi meravigliosi versi! Goffredo, amico mio… Scusatemi amici, ma non riesco a resistere! Devo tornare a casa e mettermi subito al cembalo: per dar musica a queste parole!

Era il 10 novembre 1847. Novaro ricevette il testo, come abbiamo già detto,  mentre era in casa del democratico Lorenzo Valerio. Con il cuore in tumulto, si precipitò a musicarlo. Corse a casa, scrisse le note, concitatissimo, versò la lucerna, danneggiando irrimediabilmente il foglio dell’amico, perduto per sempre.
Del canto abbiamo un paio di versioni. La prima, conservata al Museo del Risorgimento di Genova, inizia:

Evviva l’Italia, l’Italia s’è desta…”.

Nella seconda copia, che si trova al Museo del Risorgimento di Torino, si legge invece a sinistra

Fratelli d’Italia…

e, a destra, nella stessa pagina,

Evviva l’Italia, dal sonno s’è desta…”.

Michele Novaro

Un manoscritto ritrovato recentemente dalla direttrice del Museo di Chiavari presenta ancora una diversa versione che inizia con “O figlio d’Italia ”.

Il manoscritto ritrovato a Chiavari

Tornando all’amicizia tra Boccardo e Mameli, i due giovani si ritrovarono a combattere a Milano nel 1848 durante le Cinque giornate e poi a Genova nel Circolo Italiano che raggruppava mazziniani e liberali più moderati. Dobbiamo immaginarceli poco più che ragazzi, con le spinte passionali dei loro vent’anni, con i loro caratteri ribelli e scanzonati, con l’allegria e l’impulsività della giovinezza, così come ce li ha raccontati Mario Martone nel suo film Noi credevamo. Così è facile pensarli a tavola a degustare i deliziosi piatti della nostra zona accompagnati da un buon vino e da qualche cantata.

Fu una stagione breve quella dei due amici, le loro sorti si divisero, Boccardo si laureò in legge e continuò gli studi in campo economico diventando professore universitario e senatore nel 1877. Mameli, invece, dopo pochi mesi, mentre combatteva in difesa della Repubblica Romana, ferito da una baionetta ad una gamba, morì il 6 luglio 1849, a causa di un’infezione, a soli 21 anni. Sul ferimento di Mameli esistono due versioni contrastanti, una riferita a un colpo accidentale da parte di un commilitone, l’altra che invece sostiene sia stato raggiunto da una fucilata francese.

L’edificio in cui morì Goffredo Mameli il 6 luglio 1849

La madre, a conferma dei legami che la famiglia aveva in zona, in seguito alla morte del figlio, così scriveva alla Marchesa Palmira de Ribrocchi di Tortona:

La mia stella scomparve. Egli fu il fiore raccolto nel suo mattino. Mi fu strappata dal cuore la corda maggiore. Quello che fu il mio delirio nella sua infanzia, la mia gloria nella sua giovinezza. Il mio dolore me lo tengo sacro, è tutto per me e cerco di esserne degna. È d’una Italiana, me lo divinizzo, lo considero come un martire, e come tale non lo piango”.

Garibaldi, il 19 maggio del 1854, scriveva queste parole alla madre di Goffredo Mameli:

Stimatissima Signora,

abbenché non scrittore, io aveva scritto qualche cosa, circa al nostro caro ed incomparabile Goffredo, e dall’esilio io aveva inviato ai miei amici il manoscritto, acciò fosse stampato e non lo fu. Credo il mio amico Gabriele Camozzi si trovi ora in possesso di ciò, e lo pregherò di porgerglielo, acciò Lei ne disponga a suo piacimento.

Io amo Lei, signora, siccome Madre e Sposa di chi tanto onorò ed onora la nostra terra, ed amai, come chiunque lo avvicinava, quel suo figlio, portento straordinario di valore e di sapienza molto superiore all’età sua. Chiedo essermi benefica della gentile Sua amicizia; e comandi il Suo servitore

G. Garibaldi.

Curiosa è poi la vicenda del corpo di Goffredo Mameli, infatti le sue spoglie subirono diversi spostamenti. Subito dopo la morte Mameli venne imbalsamato da Agostino Bertani, medico e patriota che aveva tentato di curarlo, e deposto nel cimitero sotterraneo della Chiesa delle Stimmate, a Roma. Nel 1871 le autorità ecclesiastiche diedero l’autorizzazione per la riesumazione dei resti, ma il nuovo governo italiano non voleva una cerimonia pubblica: i giovani repubblicani caduti erano ancora, come si direbbe oggi, “divisivi”. La cerimonia poi si tenne, ma in forma anomala, presenti molti vecchi compagni d’arme, Garibaldi assente, la famiglia non partecipò. Il funerale fu comunque civile. Venne intonato il Canto degli Italiani accompagnato dalla lettura di alcuni altri scritti di Mameli. Le parole del giovane mazziniano non vennero gradite dagli esponenti del governo lì presenti e, di conseguenza, il corpo fu sepolto in un loculo del cimitero, in attesa di una nuova destinazione. Nel 1889 Alessandro Guiccioli, figlio di Ignazio Guiccioli, ministro delle Finanze della Repubblica Romana del 1849, propose la costruzione di un monumento funebre al Verano. Il monumento venne costruito e inaugurato nel 1891 e il 26 luglio di quell’anno la salma di Mameli fu traslata lì.

Il monumento funebre a Goffredo Mameli nel Cimitero del Verano a Roma

Nel 1941, a guerra iniziata, Mussolini, in modo strumentale e propagandistico, si ricordò della morte di Mameli per colpa delle armi francesi, anche se forse francesi non erano. Nel clima nazionalistico del tempo il corpo del buon Goffredo tornò ad essere utile alla politica. Di conseguenza si approdò alla decisione di costruire quel sacrario votato dal Parlamento che aveva provocato non poche polemiche settant’anni prima. In attesa di terminare i lavori, le spoglie di Mameli vennero nuovamente riesumate e portate all’Altare della Patria per essere in seguito provvisoriamente collocate a San Pietro in Montorio.

Non siamo nuovi a storie come questa, nel nostro paese spesso le decisioni transitorie diventano definitive e così, ancora oggi Goffredo Mameli riposa nel Mausoleo Ossario Garibaldino presso la Chiesa di San Pietro in Montorio a Roma.

La tomba di Goffredo Mameli nel Mausoleo Ossario Garibaldino presso la Chiesa di San Pietro in Montorio, a Roma

Sul soggiorno di Goffredo Mameli a Novi ligure rimando al bell’articolo di Lorenzo Robbiano su Il Moscone: https://www.ilmoscone.it/2024/02/goffredo-mameli-alla-bricchetta/

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