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Ricordi isolesi – Parte 2- Memorie fotografiche

La Tecla e la Vera

Una foto può essere una rivoluzione. Frugate nel cassetto e improvvisamente vi capita in mano un’immagine dimenticata: due donne, che sorridono alla vita, nonostante quello che hanno passato. Mi piaceva, nella sosta meridiana, sentirle parlare della nuova gonna comprata dalla Iole, della focaccia della Gina, raccontarsi “Dallas” oppure convenire che “Via col vento” era tanto bello perché faceva piangere. Pettegolezzi leggeri, senza malignità, che finivano annegati nel solito caffè . Con niente erano felici e con niente ti facevano felice.

Raccontarsi e raccontare, così vedevo la bottega del ciabattino quando aspettavo, soprattutto di sera, che finisse di riparare la cartella di scuola, la fionda, una scarpa scollata. Intorno a lui, nella luce fioca della lampadina, bassa sulla sua testa, due o tre interlocutori lo informavano della vita in paese e fuori. Potevano essere il daziere, l’impiegato, il pensionato, qualcuno che come lui aveva fatto la Grande Guerra, che aveva percorso il Fascismo in apnea, che aveva creduto in De Gasperi o in Togliatti. Si trovavano più per capire sé stessi che per annotare i fatti altrui. Forse l’odore della pece che a volte copriva quello del cuoio o della stufa che bruciava il ciliegio, li spingeva a criticare un poco anche la loro Chiesa o il loro Partito. Mi mancano. Vorrei trovare oggi un luogo dove l’approfondimento politico è fatto dal singolo che sviscera con la sua cultura, la sua esperienza, il suo buon senso, ciò che accade fuori dal negozietto. Autodidatti del saper vivere, oggi forse li prenderemmo per matti.

Edoardo Delprato

Non importa chi sia. Il suo viso è comparso improvvisamente tra le centinaia e centinaia di foto raccolte nell’Archivio del Centro Culturale. Ci vedo la fatica di vivere, probabilmente nel periodo tra le due guerre, la determinazione a non arrendersi, le preoccupazioni per il futuro. Nessun fotografo oggi riuscirebbe a cogliere tante cose in una sola immagine. Mi piace pensare a un socialista, una persona semplice, senza  complicate ideologie, ma desideroso solo di un mondo solidale. Quella camicia senza colletto, quei baffi irti, mi han fatto venire in mente Sacco e Vanzetti, il Quarto Stato, Edmondo De Amicis e chi maledisse le trincee del Carso. Sarà così? Non lo sapremo mai, ma che importa, la Storia si avvale anche di illusioni.

Lo vedevo scendere per la stradina lungo il Vobbia. Arrivato in fondo si girava a vedere se qualcosa era cambiato dal giorno prima, anche se solo il rumore gli sarebbe bastato a capirlo. Entrava e attizzava la forgia nella semioscurità pensando a che cosa avrebbe dato vita quel giorno: zappe, roncole, cerchi per le ruote? Quest’ultimi richiedevano ingegno e attenzione; non tutti riuscivano a dosarne la lunghezza e far sì che la saldatura a caldo non avesse gobbe. A volte l’ernia, tipica dei fabbri, lo tormentava e allora accendeva più volte il toscano. Il maglio l’aveva reso quasi sordo, ma nonostante l’età continuava a lavorare con l’aiuto del nipote. Nella sua vita era passata la Grande Guerra, il Fascismo, con la visione del cadavere di Egidio Dedè su quel carretto osceno trainato dalle Brigate Nere. E poi la ricostruzione, la ripresa dell’agricoltura, con i reduci silenziosi nell’osteria; qualcuno con gli occhi spenti e fissi sulle pianure russe. Adesso era stufo; non sperava più nel Sol dell’Avvenire, anche se la sua figura sarebbe stata bene nel “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.

Il negozio di Piero Balbi molti anni fa

La cultura si esprime in mille modi. Tanti la confondono con l’erudizione che a volte ne può far parte. Infatti, conoscere a memoria la Divina Commedia o aver letto sei volte il Don Chisciotte non significa necessariamente essere acculturati. Ecco che il gestore di un negozio di abbigliamento in un piccolo paese, che mantiene viva la tradizione del filo da ricamo, della sciarpa per una vecchietta o una vera maglia di lana per un anziano come me; che trasforma il negozietto in un club dove ti rechi a fare due parole e dove le comari si soffermano a chiacchierare tra di loro, ebbene questo gestore fa cultura, una grande cultura, più importante del raccogliere cose antiche: la luce della sua vetrina è anche un presidio sociale che ti rassicura nel buio di una strada ormai deserta. Ecco, Piero fa tutto questo e lo fa con passione per tenere aperto un esercizio che, fondato nel 1934, da suo padre Giomin e dalla madre Iole, si inserisce di diritto nelle meraviglie isolesi.

La sera è quieta. Il poco freddo ti tiene sveglio e fai due passi. Ti ritrovi all’improvviso nell’irreale, perché è una tavola già pitturata da secoli di Storia. Qualcuno vi ha aggiunto la luce.

La torre del palazzo Spinola al Cantone

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