Il cielo acquerellato
a Giuseppe sensibile velista
Tutte le mattine, da cinque giorni, raggiungo una splendida villa che si staglia contro il cielo lindo e scintillante di novembre e ogni volta rimango affascinato dallo splendore delle finiture, dalla leggerezza dei merli e dalla solidità dei contrafforti che, con la loro elegante muscolatura, sorreggono un delicato oggetto a forma di fiore: un comignolo che servirà alla stufa che sto costruendo a Casoni di Vegni in Val Borbera. Già, sono il fumista che sta realizzando una Kachelofen, una stufa ad accumulo che illuminerà, con caldi raggi invisibili, il centro della sala principale di Villa Stella. Sono un semplice artigiano, anche se il signor Giuseppe mi chiama immeritatamente maestro, e ho imparato il mestiere da un esperto con il quale sono cresciuto per diventare sempre più sicuro e sempre meno “garzone”, pagando con la fatica dell’esperienza e con l’avanzamento dell’età il prezzo del saper fare. Un grande investimento che mi ha permesso di ottenere importanti soddisfazioni.

La stufa ad accumulo è un manufatto imponente realizzato con materiali refrattari come mattoni, tavelle, limbici legati tra loro da malte speciali, una per tutte quella nera, tanto ricca di fibre ferrose che, una volta posata e lasciata asciugare, potrebbe catturare una calamita. Le stufe tirolesi offrono un volano termico determinato da due importanti variabili: la massa e la superficie radiante. In realtà esiste una terza peculiarità, la lunghezza e la forma dei “girofumi”. La massa, in pratica il peso, deve saper assorbire e poi cedere lentamente le altissime temperature che vengono prodotte all’interno della camera di combustione.

Queste alte temperature possono essere raggiunte proprio grazie alla buona progettazione delle parti interne che sanno rallentare il correre dei fumi con sifoni, tubuli, restringimenti e tutto quello che produce un allungamento del percorso del calore, nel rispetto della fisica dei fluidi e della conseguente certezza che i residui della combustione, prima o poi, escano da quel comignolo così leggiadro. La superficie della stufa è quella dedicata all’irraggiamento del calore, lo stesso che attraverserà l’aria per essere assorbito da altre masse come i muri, il pavimento, i mobili e, chiaramente, chi vive la Stube. A proposito! La Stube è la stanza che accoglie la Kachelofen, tradizionalmente posta al centro della casa e abitata da bambini, anziani e da chi vi rimane spesso per godere del suo confort benefico.

Durante la costruzione della parte strutturale vengono posizionate le mattonelle esterne che renderanno elegante e unica la stufa. Ogni “Ole” viene legata con fili in acciaio armonico e con quella stessa malta nera così tenace e capace di sopportare alte temperature. Giunto al terzo corso, la terza fila di mattonelle tutt’intorno alla struttura, mi accingo a progettare gli ultimi due giri, i cosiddetti “ritiri”, che normalmente sono leggermente più piccoli della struttura sottostante, sia per un motivo estetico sia per garantire una temperatura simile a quella più vicina alla camera di combustione e rendere omogenea la sensazione di un tepore costante. Il proprietario della Villa si avvicina e mi indica la grande finestra che si affaccia sul paese e che incornicia una manciata di case in pietra. Mentre mi racconta di Anselmo, immagino una vita semplice di pastori e contadini che trovano, nell’accoglienza di muri importanti e nelle finestre piccole di quei rifugi incastrati e collegati tra loro, sicurezza e conforto dopo giornate intense e faticose passate inerpicandosi tra faggeti per raggiungere ampi spazi coccolati dal sole e dalla brezza che accarezza margherite e solletica grappoli solari di maggiociondolo; luoghi ideali per il pascolo. Il signor Giuseppe gironzola spesso per casa indossando una vestaglia color cachi impreziosita da ricami e due ampie tasche, dove affonda le pesanti mani per giocherellare con pipa e tabacco. Giuseppe ha cinque figli, ormai grandi, che gli danno grande soddisfazione e hanno seguito gli stessi principi della famiglia contadina dirimpettaia; ora i suoi “piccoli” sono persone importanti ma rimaste umili e apprezzate per il loro lavoro e impegno sociale. Il giovane Anselmo dimostra la loro stessa curiosità ed è sicuro che nella vita avrà un grande successo magari come imprenditore caseario e forse anche come benefattore.

Ora però Giuseppe diventa cupo in volto: mi si avvicina, mi gira il braccio intorno al collo lasciando una scia di profumo di tabacco, torna sorridente e, sottovoce, mi rivela un progetto. «Oggi andiamo da Ugo. So che è rimasto a casa per preparare gli attrezzi della tosatura, gli diremo che abbiamo un grande dubbio determinato dalle correnti d’aria della zona che rischiano di creare un refolo proprio sulla stessa linea delle nostre case e per questo saremmo disposti a pagare una giusta ricompensa per realizzare una piccola Kachelofen nella sua cucina e verificarne il funzionamento, a patto che l’importo offerto come risarcimento per il disturbo sia investito nella formazione di Anselmo, se si impegnerà a dovere negli studi».
Margherita ha accettato con Ugo la proposta, soprattutto per rispetto nei confronti di Giuseppe. Non è stato difficile realizzare quella piccola stufa, i refrattari erano in parte gli scarti della grande Kachelofen e il rivestimento belle pietre rimosse tempo fa dal selciato della villa, perfettamente intonate allo stile essenziale della casetta di Ugo. Il test è superato con successo e il comignolo in pietra ha cominciato ad “acquerellare” il cielo.
Sono passati una decina d’anni ed è giunto il momento di verificare la Kachelofen in Villa. La stessa scia di profumo di tabacco mi avvolge, ma questa volta con più enfasi per trascinarmi, in silenzio, verso la finestra. Raggiungo la vetrata: l’unica parte rimasta inalterata, da quando ero stato a Casoni, è quel comignolo in pietra, quello della casa di Ugo. Il gruppetto di masi ora è intonacato e colorato con un’unica tinta pastello che dà una sensazione di sobrio e pulito ma anche di allegro e giovane. Rispecchia l’atteggiamento di un imprenditore moderno con una grande visione e missione ma sempre aggrappato alle solide radici. Quel camino in pietra forse ne è il simbolo e la grande insegna del caseificio, che conserva il nome del papà, la dimostrazione di un grande e meritato successo e riconoscenza. Guardo meglio e, senza riuscire ancora a chiudere la bocca spalancata, noto che il comignolo continua ancora oggi ad “acquerellare” il cielo.
Per andare per mare non serve vedere l’onda me è fondamentale sentire il vento, lo sbattere delle vele, la calma delle scotte a punto. L’equipaggio, il mio equipaggio, vedrà l’onda per me e non sarà mai troppo tardi.