TRE DONNE AL ROGO A CAREZZANO – Inaugurazione di un cippo alla loro memoria
Sabato 12 luglio 2025, sul Colle di Castiglione, oggi detto Bric delle streghe, La Pro Loco di Carezzano ha inaugurato un cippo commemorativo in ricordo delle donne arse al rogo per stregoneria, proprio in quel luogo, il 12 luglio 1520. Le tre donne provenivano dalla Val Magra, una piccola valle all’interno dei territori del Vescovado, il feudo del Vescovo di Tortona, e si chiamavano Bianca Capretti, Maria Pugassi e Battistina Verzella. Si è conservato il documento originale del processo, nel quale erano coinvolte altre due donne: Parmina Gatti, definita la “magistra” delle altre streghe, e una certa Teodora di Malvino, di cui non si conosce nemmeno il cognome.
Dopo 505 anni queste donne ottengono un piccolo riconoscimento a livello di memoria, i loro nomi incisi sul cippo commemorativo non faranno a loro giustizia, ma dalle pagine polverose della storia torneranno a vivere per tutti coloro che saliranno sul Bric delle streghe. Riportiamo di seguito il testo integrale del discorso tenuto, in occasione dell’inaugurazione, da Maria Angela Damilano.

12 luglio 1520, 12 luglio 2025, sono passati 505 anni. Ho pensato a lungo a cosa avrei potuto dire in questa circostanza. Non vorrei dire nulla di pesante e retorico, sulla falsariga del libro che ho scritto su quanto avvenuto in questo preciso luogo. Parlando del mio libro 12 luglio 1520, una cupa storia di streghe, non posso non ricordare Mons. Sergio Pagano che, per primo, ha pubblicato la sentenza integrale del processo di Carezzano nel suo testo Le ragioni temporali di un vescovo. Maffeo Gambara vescovo di Tortona e il conflitto giurisdizionale con il Senato di Milano.
Ho detto che non intendevo dire nulla di pesante e retorico; non vorrei però nemmeno fare un discorso superficiale, ma esprimere qualcosa di emozionale mentre inauguriamo questo che più che un monumento, è un memoriale. Partendo dal presupposto che chi è presente conosca l’intera vicenda, ho ritenuto che la cosa più giusta fosse fare risuonare i nomi delle donne arse al rogo per stregoneria e che oggi sono incisi qui a loro perpetua memoria.
Bianca Capretti di Malvino, Maria Pugassi di Cuquello, Battistina Verzella di Cuquello.
Meritano un ricordo anche Parmina Gatti di Cuquello, colei che nella sentenza viene chiamata la “magistra”, partendo dal presupposto che nella Val Magra ci fosse una “schola” di stregoneria (cum alijs strijs, insieme ad altre streghe, ricorre più e più volte) e Teodora di Malvino, di cui non conosciamo nemmeno il cognome. Parmina e Teodora probabilmente furono arse al rogo nel 1522, come ricordato nelle testimonianze degli agenti del Vescovo dei paesi del Vescovado nei documenti per la controversia tra il Ducato di Milano e la Curia tortonese sui possedimenti in questione del 1546.

Cosa conosciamo di queste donne? Solo quello che riusciamo a estrapolare dalla sentenza, che è molto particolareggiata. Bianca, moglie di un certo Pezzolo Capretti di Malvino, viene accusata e condannata per molti delitti, compiuti con Teodora et alijs de societate, cioè con altre streghe appartenenti alla congrega. Secondo l’accusa le appare un demone di nome Perruchino, che ha l’aspetto di un bell’uomo vestito di nero. Con lui e con altre streghe, accompagnate dai loro demoni, va ai barillotti, dove si beve da uno barletino, da un barilotto, sangue misto a vino, dove si mangiano fugazzolis, focaccine impastate con il sangue dei bambini uccisi, dove corrizant, ballano e saltant, saltano et postea demon sive amantes isparum striarum carnaliter cognoscit: non c’è bisogno che traduca. Bianca riesce a realizzare questo grazie alla classica bacchetta magica, così descritta cum una bacheta uncta de pinguedine creaturarum, con una bacchetta unta del grasso delle creature uccise, non proprio la bacchetta della fata madrina. Tra i tanti delitti da lei commessi, secondo gli accusatori, c’è anche quello di aver indotto una tempesta a Frugarolo, in società con cinque persone del posto, tre maschi e due femmine (tempesta effettivamente accaduta, come appurato da una pubblicazione degli Amici di Santa Croce di Bosco Marengo).
Passiamo a Maria Pugassi di Cuquello. Nella sentenza la si definisce relicta quondam Bartholomeij, cioè abbandonata da un certo Bartolomeo. Dei Pugassi sappiamo che era una famiglia di un certo livello. Ancora oggi a Cuquello esiste una Via Pugassi ed è presente un grande palazzo con stemma signorile appartenuto alla famiglia. Maria, quindi, aveva fatto nozze vantaggiose; per quale motivo fosse stata abbandonata resta un mistero. Forse nella sentenza si vuole alludere alle cattive compagnie della donna, ma non sappiamo.
Quello che sappiamo è che il suo status sociale non fu di impedimento alla condanna e non risultano interventi familiari in suo aiuto. Anche Maria viene accusata e condannata per molti delitti e, come Bianca, è una frequentatrice dei barilotti, i sabba che si tenevano al giovedì, e li frequenta con il proprio demone amante, un demone dal nome innocuo, quasi da vicino di casa, Giacomino. Pure Maria è un’incitatrice di tempeste e lo fa sempre cum alijs strijs. Viene da pensare che ben poche donne da queste parti non fossero strijs, visti i continui richiami alla societate striarum. Maria e compagne sono però responsabili di una tempesta a Vargo in una località che nella sentenza viene detta in Zaghis, località che non ha lasciato tracce nei toponimi moderni.
Battistina Verzella, moglie del maestro (magistri) Bernardino Verzella di Cuquello, viene accusata degli stessi delitti delle altre due donne e frequenta usque ad galli cantum, fino al canto del gallo, le adunanze ubi erant alie strie, dove c’erano le altre streghe, in pratto Manfredi de Ragatio, cioè nel prato di Manfredo Ragazzo. Pure Battistina possiede la bacchetta di cui vengono precisati meglio i poteri: … una bachetam quam ungit certo unguento e quando est uncta ipse strie portantur a diabolo et postea reportantur ad domum: insomma quando la bacchetta è unta porta le streghe dal diavolo e poi le riporta a casa.

Dalla sentenza sappiamo che vennero condannate tamquam heretice, strie, masche, come eretiche, streghe e masche, termini equivalenti, ma forse utilizzati entrambi per rafforzare l’accusa. L’esecuzione doveva svolgersi e si svolse ad montem Castilionum, sul monte di Castiglione, dove ci troviamo ora,
et ibidem in una capsinella debbere comburi taliter modo quod moriantur et anime ipsarum e corpore separentur ut mors ipsarum transeat ceteris in exemplum,
e nello stesso luogo, in una cascinetta, debbano andare a fuoco al punto di morire e quindi le loro anime si separino dal corpo affinché la loro morte si traduca per gli altri in esempio.
E così fu, qui, proprio qui.
A nulla valse l’ultimo urlo di Battistina al momento della lettura della sentenza… Battistina dixit quod ipsa mentitur commississe ea que supra dicta sunt contra ipsam et ea dixisse meta tormentorum, Battistina disse che aveva mentito e che lo aveva fatto per paura dei tormenti, delle torture,
predicte Blancha, Maria et Baptistina fuerunt conbuste super monte Castellionum ubi dicitur ad Mastra, presentibus populis locorum dicti Episcopatus,
e così le suddette Bianca, Maria, Battistina furono arse al rogo sul monte Castiglione nel luogo detto ad Mastra (corruzione di masca, termine d’origine longobarda che indica la figura della strega), alla presenza delle genti dei luoghi di questo Vescovado.
Penso che non serva aggiungere altro. Voglio solo precisare che nel delineare le accuse, le terribili accuse, rivolte a queste donne e descritte con dovizia di particolari nella sentenza, non sono andata nei dettagli, crudi, orrorifici, per pudore e per rispetto di queste donne di cui conosciamo le poche cose che ho raccontato. Più che ogni descrizione, più che ogni drammatico racconto, in questo luogo è giusto che parli il silenzio, quel silenzio che qui è interrotto solo dalla natura e dal vento che, anche se non lo sentiamo, sussurra:
«non dimenticateci».