vocabolario

Modi di dire

Tratto da E’ Buzardéin ’d Seravale del 1996, realizzato da Croce Rossa Italiana, sottocomitato di Serravalle, Pro Loco e Associazione Commercianti e Artigiani


L’è cainta ‘na bagasa ‘n mò sàinsa bagnose. E’ caduta una donnaccia in mare senza bagnarsi. Siccome il fatto è di per sè impossibile, si dice per indicare un’evenienza illogica o inverosimile, un evento molto strano e inspiegabile

Metighe pesa e inguàintu. Metterci la pezza e l’unguento. In sostanza non guadagnarci nulla, rimetterci, oltre al materiale, anche il proprio lavoro.

Avaighe e pre sècu. Avere il ventriglio secco. Ventriglio è lo stomaco degli uccelli, detto pre in dialetto e da non confondere con ‘pre’, castagne sbucciate e lessate. Avere il ventrighio secco, significa avere molta sete, essere assetato.

Cambiò i õgi ‘ncu a tòrpa. Cambiare gli occhi con la talpa, la quale è notoriamente cieca, o quasi, sicché il modo di dire significa “fare un magro affare”, un po’ come: Fo i guadagni dee Giandoun, cu rezgova a mubilia per fose u rezgòun. Fare i guadagni di Giandone, che segava la mobilia per procurarsi la segatura.

Cantò e purtò a Cruze. Cantare e portare la Croce. Si allude a chi porta il Crocifisso in processione: chi porta la Croce non può cantare perché deve porre la sua attenzione e la sua forza e abilità a tenere in equilibrio il Crocefisso. Si dice quando taluno si trova in una situazione contraddittoria e imbarazzante, nella quale solo una cosa può fare e non due in contrasto l’una con l’altra.

Un gh’é ne bate ne ribàte, ma chéinze cu sòun tràinta s’ciape. Non c’è da battere e nbattere, ma quindici sederi sono trenta natiche. Cioè si può argomentare come si vuole ma i fatti sono elementi certi e non possono essere stravolti dalle parole.

U pò a cà ‘d Bergnife. Sembra la casa di Bergnife. Bergnife è un nome di fantasia. Il modo di dire significa casa in disordine, dove ognuno fa quel che vuole, dove non c’è ordine o disciplina. Si usa anche nell’espressione “ndo a cà i dBergnife” che si dice quando si va in un luogo lontano e molto disagiato.

A fà na bela luntànainsa. Fa una bella lontananza. Si dice di donna che da lontano appare molto bella, ma rivela i suoi difetti quando è vicina si applica naturalmente, a tutte le situazioni analoghe, anche sociali.

Fo pàunsa e stàca. Fare pancia e tasca. Detto di chi, se invitato, non si limita a mangiare ma trattiene con se (o gli viene dato) anche del cibo, o di chi, essendo ospite, se ne va coperto anche di regali.

Indò ‘n gatezu. Andere in giro come i gatti. E riferito soprattutto ai giovani che hanno bisogno di uscire sempre di casa per cercare una ragazza per passare le serate. Si dice anche “Indo in vilezu” per dire che si va in villeggiatura

Um màunca saimpre diznòv sodi per fò ‘n fràuncu. Mi mancano sempre diciannove soldi per fare una lira. E un vecchio detto, anteriore al sistema metrico decimale, quando la lira era chiamata ‘fràuncu’ e costava venti soldi ognuno dei quali, a sua volta, si divideva in dodici denari. Il modo di dire è proprio il contrario di quanto viene detto abitualmente e cioè che manca poco per arrivare all’intero, perché qui vuol dire che manca quasi tutto.

Stò inteé cuatru aguge. Stare su quattro aghi. Essere molto compito, appuntato; badare più alla presenza ed al comportamento che alla sostanza delle cose.

A pàunsa péina an pàinsa no aa vòja. La pancia piena non pensa a quella vuota. E di tutta evidenza il significato. Qui però si gioca sulla quasi identità fra paunsà e ‘painsa.

Spusò cmè ‘na riàuna. Puzzare come una vanella. La riàuna” è quel vano che, nelle case vecchie, divideva gli edifici. In esso, quando non esistevano servizi igienici, si scaricavano le eiezioni e quindi c’era sempre cattivo odore.

Spusò de scutòun. Avere addosso un cattivo odore, quello di porco selvatico, specie negli abiti, di chi ha poca frequenza con le pulizie personali.

Irtu cme’n cutru. Ottuso come un coltro (dell’aratro).

Abelinò cme u sciasu. Stupido come il setaccio. In effetti il setaccio trattiene lo scarto per lasciar andare il buono: di qui la similitudine.

Gofu cmè l’aò. Goffo come l’aratro. Forse si allude alla forma un po’ strana dell’arnese o forse alla complicazione delle sue parti rispetto alla forma degli strumenti usuali.

Chi è c’un lavùa da màunzu, u lavùa da bò. Chi non lavora da manzo, lavora da bue. Se da giovani si preferisce il divertimento o il dolce far niente, si sarà costretti a lavorare quando l’età giovanile sarà passata; in ogni caso non si può far finta di nulla.

Mete a testa a caméin. Mettere giudizio.

Végiu cme è cucu. Vecchio come il cuculo.

Scritti da Angelo, Ninéin, Pallavicini

Per gentile concessione della Pro Loco

Si ringrazia Cristiana Vacchina


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Riccardo Lera

"Io nella vita ho fatto tutto, o meglio un poco di tutto" (Uomo e galantuomo di Eduardo De Filippo) Pediatra, scrittore per diletto, dal 2002 al 2012 assessore alla cultura di Serravalle Scrivia; ex scadente giocatore, poi allenatore e ora presidente del Basket Club Serravalle.