La Corale Alta Val Borbera: intervista alla direttrice Luigina Palla
Dalla messa domenicale dentro San Lorenzo, graziosa parrocchia nascosta tra i caruggi di Cabella, alla basilica di Jasna Góra a Częstochowa. Tempio della Vergine Nera, uno dei santuari più visitati del Continente. A ripensarci, quasi trentatré anni dopo, sembra impossibile. Eppure la storia della Corale Alta Val Borbera racchiude in sè quella continua voglia di migliorarsi. Di non mollare, di divulgare il canto liturgico e non solo tra le chiese di mezza Europa. Una bella storia, che prosegue ancora oggi e che, dopo aver combattuto strenuamente il buio della pandemia, è tornata in grande stile. Il Covid, nemico invisibile che ha scalfito la nostra vita per oltre due anni, ha impedito ai coristi val borberini di celebrare il loro trentesimo compleanno. Pazienza, ora è il momento di rimboccarsi le maniche, di sopperire agli addii di alcune voci e di ripartire. Nelle parole di Luigina Palla, direttrice del coro, c’è tanto entusiasmo. Unito al piacere nel raccontare, tutto d’un fiato, tre decadi di concerti, festival, feste patronali. La fatica delle prove, la gioia nel vedere raccolti i frutti di tanti sforzi.
Quando e perché nasce la Corale Alta Val Borbera?
“Nasce nell’ottobre 1990, in realtà solamente come coro di Cabella. Si forma attorno a un piccolo gruppo di 10 – 12 elementi, che si erano uniti per animare le messe domenicali. In origine eravamo una corale liturgica. Non avevamo, come obiettivo, quello di partecipare a rassegne musicali o di organizzare concerti al di fuori della parrocchia”.
Il successo della vostra idea si nota subito però, perché le adesioni aumentano.
“Infatti, poco alla volta si allarga in tutta l’alta valle e cambia anche il nome. Il nostro scopo principale era e resta quello di cantare la domenica. Una vocazione liturgica, alla quale, con il passare del tempo, si sono affiancate anche le esibizioni ai matrimoni, purtroppo anche ad alcuni funerali. E, soprattutto, alle tante feste patronali che animano la nostra valle nel periodo estivo”.
Possiamo dire che, in quel frangente, è cambiata la storia della vostra associazione?
“Più ci ampliavamo e più ci rendevamo conto di essere diventati un importante punto di aggregazione. In alta val Borbera non vi erano molte associazioni o gruppi che potessero mettere insieme, per tutto l’anno, un buon numero di persone. Noi ci ritrovavamo per il piacere di cantare insieme. Perché, vorrei ricordarlo, il nostro intento è soprattutto educativo. Vogliamo, da un lato, diffondere la passione per la musica corale, anche attraverso un percorso didattico. Dall’altro, siamo un gruppo che socializza e fa amicizia e che si ritrova tutti i venerdì alle 21 per le prove. Nella nostra sede, una sala della canonica di San Lorenzo qui a Cabella”.
Quanto è complesso portare a termine quel percorso didattico appena citato?
“Chi canta in coro deve comprendere che la propria voce non deve prevalere sulle altre, ma deve amalgamarsi poco alla volta alle restanti. Occorre impegno, tanto impegno, e costanza nelle prove. Noi non abbiamo mai mollato. Neanche durante la pandemia. Infatti, organizzavamo le prove del venerdì “on line”. Dirigere da remoto, devo ammetterlo, è stata una esperienza molto difficile. Per fortuna, ora siamo tornati alla normalità della presenza”.
Dal Covid, facciamo un passo indietro nel racconto e torniamo al 2000.
“Quando inizia una fase importante del nostro gruppo. L’anno Giubilare ci porta a Roma, dove cantiamo all’interno della Basilica di Santa Maria Maggiore. La nostra prima uscita e, da quel momento, le trasferte sono diventate una quotidianità. Abbiamo oltrepassato i confini della valle per viaggiare in Italia e in Europa. La lista dei santuari visitati è davvero lunga. Ricordo Vinadio, Oropa, Pompei, fino ad arrivare a Fatima in Portogallo, Częstochowa in Polonia. E poi in Germania a Friburgo, in Svizzera e in Ungheria, dove abbiamo partecipato a un festival di corali liturgiche. Ormai, ogni anno, pianifichiamo due uscite. Una in primavera di tre giorni e una in autunno di una giornata. Solo il Covid ci ha fermati a casa”.
Nel 2023, quindi, siete ripartiti?
“Sì, e per un progetto molto interessante e ambizioso. Abbiamo partecipato al Festival Internazionale dei Cori dell’Alta val Pusteria, in programma dal 14 al 18 giugno. Si tratta di una rassegna che porta in Alto Adige cori da tutta Europa. Non è un concorso, la nostra finalità non era quella di gareggiare, ma vivere una quattro giorni di esibizioni di corali italiane e straniere”.
Quale repertorio avete presentato?
“Essersi allargati, nel corso degli anni, ha portato la nostra corale a espandere il proprio repertorio. Dagli inni sacri delle sante messe siamo passati all’opera, alla musica leggera e ai canti popolari e dialettali. E, proprio con questi, ci siamo presentati in val Pusteria. Per la precisione, la tradizione e il folklore dei canti in dialetto genovese, ai quali abbiamo aggiunto canzoni di Marco Cambri e di Fabrizio De André. Una canzone tra tutte, l’indimenticabile Creuza de ma”.
Pensare a una associazione così attiva e numerosa nel cuore di un territorio che rischia lo spopolamento profuma d’impresa. Qual è il vostro segreto?
“Anche noi, durante tutti questi anni, siamo diminuiti sino ad arrivare agli attuali 25. Non ci perdiamo d’animo. La domenica siamo una presenza fissa in chiesa e con noi vi è il Maestro Paolo Chiarella, organista e fisarmonicista che ci accompagna sempre. Il periodo più difficile è stato quello appena concluso. Qualcuno ha smesso di cantare, altri, purtroppo, non ci sono più. Noi, però, non perdiamo la nostra voglia di divulgare l’amore per la musica. E, a livello organizzativo, siamo diventati una APS, Associazione di Promozione Sociale. Non abbiamo scopo di lucro, ma in questo modo potrebbe essere più semplice richiedere e ricevere finanziamenti”.
In oltre trent’anni di storia, ci sono stati dei momenti che ricorda ancora con maggior affetto?
“Senza dubbio, i due concerti per celebrare il 20esimo e il 25esimo compleanno. Realizzati con il quartetto del Maggio Fiorentino la prima volta, mentre per i 25 anni insieme al quartetto d’archi dell’Orchestra Classica di Alessandria con la presenza del Maestro Luciano Girardengo. Due gemme della nostra storia, ma se guardo indietro, devo ammettere che ogni momento vissuto insieme è stato bellissimo. Cantare nei santuari riempie di soddisfazione, così come collaborare con altre corali. Non posso non citare, tra i momenti vissuti, la rappresentazione di “Gelindo”, il famoso testo teatrale piemontese, riadattato in chiave valborberina. Un teatro particolare, con la trasposizione del racconto tra le nostre montagne, con la Corale che accompagnava la favola natalizia del pastore Gelindo. Un momento che non dimenticherò mai”.
Il dispiacere per non aver festeggiato degnamente il trentesimo compleanno resta, ma si guarda già ai trentacinque…
“Assolutamente! Chissà, magari con nuovi membri del coro. Le porte della canonica di Cabella sono sempre aperte per tutti. Ogni venerdì, per tutto l’anno, alle 9 di sera, non vediamo l’ora di accogliere nuove voci che ci possano accompagnare a lungo in futuro”.