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La Macelleria. La scuola per stranieri di Marco De Brevi

E’ iniziato tutto da lì. Avere l’opportunità di contribuire a far nascere un nuovo spazio in cui potersi riunire con gli amici per discutere di problemi e dare il vita ad iniziative in grado di coinvolgere i cittadini di Serravalle, per me era stato come un andare a ritroso negli anni. Mi veniva data l’opportunità di rivivere quelli che mi avevano conosciuto come il ventenne frequentatore della Casa del Giovane che si era dato come obiettivo quello di svecchiare le barbose adunanze del sabato pomeriggio moderate da don Lino e di far risorgere il teatrino dei Luigini organizzando interessanti Cineforum capaci di far sapere ai Serravallesi che Ingmar Bergman non era il fratello di Ingrid. Utilizzando il palco e trasformandolo in un salotto, avremmo potuto dare il via ad una serie di conferenze a tema, iniziando magari da“L’Educazione Sessuale spiegata ai giovani”, argomento che tanto andava di moda in quel periodo,

Per tranquillizzare i benpensanti avremmo ben precisato sulle locandine e sugli eventuali inviti che sarebbero state rigorosamente condotte da esperti scelti dalla Curia Vescovile di Tortona e che il dibattito sarebbe avvenuto alla presenza dell’Arciprete. Avvalendosi della collaborazione di un giovane che qualche anno più tardi sarebbe diventato un giornalista del telegiornale di RAI 3, un ambizioso progetto che ci frullava in mente prevedeva di dar vita ad una filodrammatica che avrebbe recitato su  copioni di giovani autori impegnati.

Nella Casa del Giovane si era creato un gruppetto di ventenni che, con il loro entusiasmo e col loro impegno, provavano a rendere più stimolante una cittadina che sapeva offrir loro soltanto due cinematografi, in cui si proiettavano film di seconda e terza visione soltanto dopo che il noto critico cinematografico Mingo aveva dato il suo Placet, e il solito bar con tavolini sistemati sotto un pergolato con tanto di Juke-box ed un ottimo gelato.

Non si può nemmeno negare che per essere un paese di 4500 abitanti Serravalle poteva vantare di avere una sala da ballo conosciuta persino in Liguria ed in tutta la Val Borbera, ma da quella pista da ballo, anche se la Domenica era sempre gremita, di cultura riusciva ad offrirne assai poca. Una ventina di anni dopo i nostri tentativi, per arrivare a ricomporre un gruppo similmente impegnato, non era stato necessario far ricorso ad una struttura preesistente con una esperienza pluridecennale, come avevamo dovuto fare noi che ci eravamo appoggiati all’Azione Cattolica; era stato sufficiente che qualcuno lanciasse l’idea e che un amico trovasse uno spazio dove riunirsi.

Ci erano bastati i pochi metri quadri che un tempo erano stati iccupati da un negozio in cui si vendevano delle bistecche.

Arredata con un tavolo, riesumato tra i mobili obsoleti che avevano messo la parola fine alla loro carriera rifugiandosi in cantina, quattro lampade alogene ed alcune sedie acquistate all’IKEA e due stufette elettriche, autentiche testimoni della crisi energetica del 1973, quella storica rivendita di quarti di bue, che aveva attirato i clienti perché poteva vantare di avere l’ entrata proprio sulla Berthoud, era diventata la sede ufficiale del Circolo Culturale “La Macelleria”. Anche se nessuno allora lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, oggi lo possiamo rivelare tranquillamente, l’obiettivo primario che i fondatori si erano dati era stato quello di riuscire a presentare alle imminenti  elezioni comunali, una nuova lista di candidati. Avrebbe dovuto essere composta da consiglieri e da assessori che, guidati da un sindaco valido e con buona esperienza, fossero in grado di amministrare il paese rispettando un programma serio e condiviso dagli elettori e non improvvisato e ricco di promesse da campagna elettorale.

Il nuovo gruppo era intenzionato anche a smascherare coloro che con tante belle parole e promesse impossibili da mantenere  provavano a nascondere, anche se  malamente, il loro unico scopo che era quello di accapararsi il maggior numero di voti.

Le iniziative che erano scaturite e che, secondo le intenzioni della Macelleria non avrebbero dovuto interessare esclusivamente i parenti e gli amici degli aderenti al circolo, avevano ottenuto un successo di pubblico del tutto imprevedibile. Uno dei problemi più scottanti che avrebbe dovuto affrontare la “nuova amministrazione” sarebbe stato sicuramente quello della immigrazione,

Il fenomeno aveva da sempre interessato Serravalle, ma sino pochi anni prima aveva coinvolto esclusivamente famiglie di immigrati e di profughi, provenienti prima dall’est  e dal sud in seguito, che parlavano, anche se con inflessioni dialettali, l’italiano.

Qualche anno più tardi, purtroppo, il flusso migratorio si era allargato a macchia d’olio. Le “giare”che lo contenevano erano state rotte da rivoluzioni e da carestie, la prima era andata in frantumi nei Balcani e la seconda nel Nord Africa ed il fenomeno in breve tempo si era esteso all’America Centrale ed era arrivato ad interessare anche  l’estremo oriente.

Diventava ora di vitale importanza per i componenti della amministrazione comunale riuscire ad avvicinare il marocchino o l’equadoriano per provare a comunicare con lui.

In un primo tempo sarebbero bastati anche solo dei i gesti, poi sarebbero diventate necessarie alcune parole in italiano per riuscire ad ottenere qualche informazione utile anche se solo per le registrazioni dell’Ufficio Anagrafe.

Era stato questo il motivo per cui erano stati presi dei contatti con “Il laboratorio per il dialogo con le culture” di Tortona. Questo era stato fondato da un insegnante di lettere che per anni si era posto l’obiettivo di riuscire a dialogare con gli stranieri. Avevano cominciato ad arrivare Tortona, in cerca di un lavoro, subito dopo la guerra con l’arrivo di Tito in Jugoslavia, poi avevano continuato ad arrivare, con provenienze diverse,  molto prima che non a Serravalle.

Per provare ad ottenere qualche risultato aveva organizzato, esclusivamente per loro, dei corsi di lingua italiana completamente gratuiti ed avvalendosi di insegnanti volontari.

Confortati dalla collaborazione che ci era stata offerta dal Professore, che in quegli anni era andato in pensione per cui aveva del tempo da dedicarci, era stata presa la decisione di organizzare anche all’interno della Macelleria dei corsi serali di italiano che naturalmente sarebbero stati gratuiti,  gestiti da volontari ed aperti a chiunque ne fosse stato interessato.

Una vecchia lavagna, che era stata smessa dalla scuola media forse perché non sempre il gesso vi si attaccava, fissata su una parete, qualche tavolo di plastica di chi lo aveva sostituito in giardino e le due stufette, che poverine avevano ricevuto l’incarico di alzare di qualche grado la temperatura, erano bastati per allestire un’aula scolastica. Con dei quaderni, erano quelli di carta riciclata sponsorizzati dal Gifco che qualcuno aveva fatto arrivare alle alle scuole elementari e che una bidella, nostra amica, aveva passato a noi, con delle penne biro che aveva procurato un socio  medico e che erano dei gadget lasciatigli dai vari informatori scientifici che periodicamente lo andavano a trovare,  con una scatoletta di gessi bianchi e tanta voglia di fare,  una sera il corso aveva avuto il suo battesimo.

Un manifesto “fai da te”, era stato fatto con un foglio  bianco con una scritta fatta col pennarello e tradotta in più lingue che era stata appesa ad una finestra del  “negozio”, era bastata per riempire l’aula già dalla prima  lezione.

Gli allievi erano tutti padri di famiglia, operai che avevano deciso di sacrificare le ore di riposo del dopo cena ed anziché rimanere a casa seduti su di una poltrona a vedere le notizie teletrasmesse da Aljazeera, avevano preferito venire a studiare per apprendere la lingua che avevano deciso dovesse diventare la loro.

Gli scettici che avevano predetto che la nostra iniziativa sarebbe inciampata in decine di ostacoli e che difficilmente avrebbe fornito qualche risultato positivo, erano stati sconfessati.

Probabilmente non l’avevano avvallata quando era stata proposta perché non era partita da loro e poi probabilmente non se la sarebbero sentita di insegnare l’alfabeto a degli operai analfabeti; forse si sarebbero sacrificati se avessimo organizzato corsi di storia della letteratura o di filosofia.

Era stata fondata in questo modo la succursale del “il Laboratorio per il dialogo tra le culture” di Tortona.

Gli allievi contrariamente alla più rosea previsione continuavano ad aumentare, il Professore entusiasmato dal successo, tra un applauso e un saltino spiegava i suoni sillabici e componeva parole semplici che diventavano una lezione dopo l’altra sempre più complessi. Le lezioni erano seguite anche da alcune ragazze arrivate da Novi che si erano subito appassionate al nostro progetto e venivano in Macelleria attratti dai sistemi didattici del professore e, quando lui non riusciva ad arrivare, gli impegni scolastici gli avevano fatto dimenticare di prendere una patente di guida, provavano a sostituirlo.

Il cambio della guardia nel Palazzo comunale era avvenuto, il nuovo assessore alla cultura, primo sostenitore del progetto scuola, aveva ritenuto giusto trasferirci in una sede più consona alla importanza dei nostri corsi.

Nelle due sale della biblioteca erano nate quattro classi, le due del pomeriggio, sia quella di alfabetizzazione che quella di perfezionamento, erano frequentate principalmente da donne, quelle della sera con gli stessi due livelli da uomini.

La scuola  di lingua italiana per cittadini serravallesi non nati in Italia funzionava benissimo, gli studenti aumentavano ed i risultati erano confortanti, per cui, abbandonata la nomina di “succursale di Tortona”, aveva iniziato a camminare con le sue gambe.

Portare donne marocchine a scuola forse è stata una delle grandi soddisfazioni che ho provato nella mia vita, il giorno prima qualche marito mi aveva fermato per dirmi che sua moglie l’avrebbe mandata a scuola solo se le insegnanti fossero state tutte femmine, il giorno dopo erano tutte sedute intorno al solito tavolo ad ascoltare me che scandivo l’alfabeto, quelle donne avevano vinto la loro prima battaglia per  la loro conquista della parità tra uomo-donna.

Quelle che alle due del pomeriggio venivano in biblioteca non erano certo atee nè miscredenti, ad un’ora che loro sapevano si alzavano, andavano in un’altra saletta, si inginocchiavano su una traversina che tenevano nella borsa e, orientate verso la Mecca, recitavano la preghiera. 

L’amministrazione comunale aveva deciso di riconoscere agli insegnanti un piccolo rimborso spese in special modo a coloro che non abitavano a Serravalle ed erano la maggioranza, in conseguenza di quella decisione sulle locandine che indicavano orari e date di inizio e fine delle lezioni, insieme ai loghi del Comune e della Biblioteca era comparso quello dell’Auser; la collaborazione con quella associazione che notoriamente si occupava esclusivamente di anziani si era resa necessaria per facilitare alcune complicate questioni contabili-amministrative.

Considerato l’interesse che suscitava il nostro sistema di insegnamento ed attratti dalla velocità di apprendimento di certi allievi che nel loro paese di origine avevano frequentato persino l’università, avevamo dato il via ad una nuova avventura.

Per noi era diventato quasi un obbligo fornire la possibilità ai più preparati di affrontare gli esami per conseguire il diploma di scuola primaria di secondo grado

Il primo anno, considerato di prova, aveva visto due marocchine, due russe  e tre equadoriane salire, come privatiste, gli scalini della scuola media Martiri della Benedicta e ridiscenderli col diploma in mano, senza che nessuno avesse avuto la possibilità di insinuare che avevano ricevuto favoritismi strani da partedi certi commissari d’esame.

In questo periodo, si era concretizzata l’intenzione di rendere pubbliche le attività svolte dalla “scuola per stranieri”, pubblicando un libro ricco di  fotografie e contenente temi svolti dagli allievi e testimonianze di chi, per necessità politiche o spinto dalla fame era stato costretto a lasciar il proprio paese per trovare un rifugio ed uno stipendio, anche se misero, in quell’Italia che per loro rappresentava il benessere.

Era nato “L’importante è capirsi”, la pubblicazione naturalmente era stata patrocinata dall’Assessorato alla cultura.

Col successivo cambio della guardia in Comune, i bambini piccoli, non potendo rimanere a casa da soli, arrivavano in braccio alle mamme e purtroppo con i loro piagnistei avevano iniziato a dar disturbo non a chi insegnava, come sarebbe stato anche comprensibile, ma esclusivamente a chi voleva leggere il libro che aveva scelto e pretendeva di farlo in silenzio nella sala lettura occupata da tutte quelle musulmane e naturalmente in quel giorno ed in quelle due ore.

I corsi serali forse sconvolgevano gli allievi che all’atto dell’iscrizione spergiuravano di aver l’assoluta necessità di imparare l’Italiano, ne era la prova che nelle prime sere venivano allestite ben due aule poi, arrivato l’inverno, l’affluenza si  riduceva sino ad un paio.

 Al secondo anno di quello scherzo era arrivata la decisione di rinunciare ad insegnare la sera. Purtroppo erano finiti i tempi che avevano visto delle famiglie che, nonostante i parecchi centimetri di neve, la sera partivano da Gavi o scendevano da Cabella per venire a studiare a Serravalle (eravamo gli unici nella zona ad offrire un simile servizio) o del senegalese che aveva avuto un malore mentre l’insegnante spiegava e… non a causa del freddo di Gennaio, fuori stava nevicando, ma per l’eccessivo calore che aveva trovato in aula!

Sottostare a certi regolamenti, inventati appositamente per noi, che ci vietavano di scegliere in autonomia, secondo le esigenze degli allievi, orari e giorni di lezione, era tutta gente che lavorava o che aveva una famiglia, era diventato insopportabile e dava fastidio a noi che li subivamo e forse anche a chi era costretto ad emanarli. Fare una richiesta di quaderni o di pennarelli, da utilizzarsi esclusivamente sulle moderne lavagne che ci aveva acquistato il comune (vecchia amministrazione) diventava sempre più complicato in quanto per tutte le forniture, anche per se di minimo valore, andavano preventivate per tempo e prima di passare all’ordine ci dicevano che si dovevano valutare le offerte da tre fornitori.

Ogni insegnante si comperava al supermercato qualche pennarello, delle biro e qualche quaderno a quadretti

Per trovare una sistemazione più consona alle nostre “esigenze”  eravamo stati costretti ad inventarci una pausa e dichiarare che ci eravamo presi un anno sabbatico, c’era però chi raccontava a chi chiedeva informazioni che noi ci eravamo “stufati” di insegnare.

Siamo stati accolti nella Casa del Giovane, la stessa che mi aveva ospitato in gioventù,  con entusiasmo. Nelle due sale, che ci erano state messe a disposizione, avevamo trovato: lavagne, banchi sedie e  persino una fotocopiatrice per noi  che, non essendo in grado di acquistare libri per mancanza di soldi, era di vitale importanza, la cancelleria, grazie ad un direttore comprensivo ce la forniva gratuitamente un supermercato della zona. I corsi di alfabetizzazione erano felicemente ripartiti con il solito ”pieno” di mamme e quelli di preparazione alla terza media avevano avuto un successo insperato. Nessuno adesso ci imponeva orari, i bambini potevano piangere indisturbati, ed all’ora stabilita, le signore musulmane potevano pregare senza che nessuno le guardasse con uno sguardo ironico o di commiserazione. Naturalmente sulle locandine il logo del Comune era rimasto per non interromperel a possibilità di avere i soliti rimborsi per gli insegnanti (in fondo stavamo facendo un servizio per il Comune di Serravalle), ma l’organizzazione ed il patrocinio della “La scuola per stranieri” era passato completamente all’Auser e ne era diventata un fiore all’occhiello insieme all’assistenza ai bambini nel pre-scuola e alle mediazioni culturali nelle elementari e nelle medie,

Le nostre volontarie collaboravano con gli insegnanti della scuola primaria sia di primo grado che del secondo (chi se non l’Auser avrebbe potuto contare su laureate di madrelingua russa, araba, indi, spagnola e persino cinese?)

Si era verificato che la Casa del Giovane avesse bisogno di un intervento di ristrutturazione per ospitare un servizio sociale organizzato dalla Curia Diocesana.

Per non costringerci ad interrompere le lezioni il Parroco ci aveva proposto di trasferirci nella sala riunioni all’interno della Casa Canonica. Le nostre perplessità erano subito affiorate, tra le allieve solo una esigua minoranza era cristiana ed oltretutto era di rito ortodosso.

( Non sto calcando la mano per far sussurrare che siamo stati bravi!)

Alla prima lezione, non era da credersi, si erano presentate tutte! Si erano accomodate ad un tavolo che era posizionato tra un quadro di Papa Giovanni ed un altro di Giovanni Paolo II e appesi alle paretierano in bella mostra crocefissi e Santi vari .

Tale necessità era durata parecchio e le assenze erano risultate inesistenti anzi qualche signora marocchina, oltre che pregare con un crocefisso davanti, era arrivata persino a togliersi il velo per il troppo caldo. 

Chissà se assistendo alle nostre lezioni certi parlamentari avrebbero finalmente capito quanto fosse stato assurdo ed inutile fare tante discussioni ed arrivare ad accapigliarsi per un piccolo crocefisso, appeso là il alto  su di una parete dietro una cattedra, il Cristo forse avrebbe anche voluto avere al suo fianco una manina di Fatima e un piccolo Budda d’oro!

In merito alla polemica sull’insegnamento dell’Educazione Civica, ricordo che io personalmente l’ho sempre avuta in programma come materia curriculare (nelle elementari la chiamavano Educazione Morale Civile e Fisica) e che le nostre allieve compresi nel programma di storia avevano i primi 12 articoli della Costituzione e si chiedeva loro di imparare a memoria il Primo e di recitarlo all’esame davanti ai commissari,.

Ci era stato anche richiesto, principalmente nel periodo estivo a scuola finita, di dedicarci all’educazione stradale per agevolare la comprensione del libretto che le Scuole Guida vendevano agli aspirati automobilisti.

Noi non eravamo presuntuosamente convinti di saper affrontare certi argomenti anche perché forse qualcuno si sentiva in colpa per aver anche dimenticato qualcosa col passar degli anni, per cui avevamo invitato ad aiutarci il Comandante dei Vigili (oggi Polizia Municipale) che aveva aderito di buon grado alla richiesta, già durante l’anno scolastico teneva qualche lezione di educazione stradale e…civile.

Succedeva spesso che, dovendo affrontare certi argomentispecifici, invitassimo degli esperti.

Ultimamente per spiegare come avrebbe dovuto funzionare il nuovo sistema di raccolta differenziata, erano stati invitati, per rispondere alle domande di chi, non conoscendo bene la lingua italiana non era stato in grado di capire i tanti volantini che aveva trovato nella cassetta della posta, alcuni tecnici della “Gestione ambiente”, erano rimasti impressionati dal numero di donne nigeriane, del centro America, marocchine e dell’ex Unione Sovietica che si erano trovati davanti.

Mi spiace un tantino adesso di mettermi a fare  un po’ il cattivo bambino, ma è arrivato il momento che io riesca a togliermi qualche sassolino dalle scarpe.

Il.fatto si è verificato alcuni anni fa per cui dovrebbe anche essere andato in prescrizione, e poi… ho raggiunto quell’età che mi permette di prendermi qualche soddisfazione anche fregandomene  un poco se poi qualcuno si offende..

Quando oramai i nostri corsi si potevano considerare perfettamente avviati e consolidati e sui nostri sistemi di insegnamento erano state scritte ben due tesi di laurea, il libro “L’importante è capirsi” e la persino la RAI 1 si era interessata a noi parlandone sul Primo Canale con un servizio che comprendeva filmati ed interviste ed era  andato in onda nel corso della rubrica “Oggi al Parlamento”, avevo provato ad invitare proprio uno di quegli scettici  a darci una mano ad insegnare e stranamente aveva accettato di buon grado.

Dopo aver partecipato saltuariamente a qualche nostra lezione per rendersi conto di quali sistemi stavamo usando noi per poi rapportarli a quelli che avrebbe introdotto lui per ottimizzare al massimo l’apprendimento degli allievi, dopo aver assistito per intero ad una lezione tenuta da una semplice maestra elementare oramai in pensione ed aver tentato di intervenire, aveva dichiarato onestamente di non essere in  grado di insegnare a degli adulti, soprattutto se erano donne, e  di non poter insegnare a chi non era ancora sufficientemente padrone della lingua per riuscire a capire quanto stava spiegando.

Si era defilato e non si era mai più fatto vedere, eppure gli avevamo assegnato una classe composta da una ventina di allieve che erano già al secondo corso, gli avevamo consigliato di scegliere quella proprio per rendergli le cose più semplici, infatti  quelle allieve sapevano già leggere e  alla lavagna sapevano comporre anchealcune semplici frase con senso compiuto

L’insegnante che in quel giorno, contemporaneamente a lui, stava seguendo il primo corso in aun’altrasala, si era dovuto ingegnareper farsi capire da allievi ed allieve provenienti da 21 nazioni diverse che facevano parte di continenti diversi.

Rincarava la dose il fatto che poteva contare solo su una minoranza risicata che era in grado di comprendere qualche parola di inglese o di francese.

Il nostro metodo di insegnamento si basava esclusivamente su di un principio che ci aveva inculcato bene nella zucca il Professore di Tortona nei pochi anni in cui aveva collaborato con noi.

Lui ci aveva raccomandato di ricordaci sempre che un insegnante non ha mai solo lui  la verità in tasca e che non deve mai spiegare per dimostrare a chi ha davanti che lui sa, si devesempre impegnare  a trasmettere in un modo comprensibile quello che lui ha imparato.

Già da quella prima sera in Macelleria, avevamo pensato di dar vita ad una scuola di italiano per immigrati e ci eravamo dati degli obiettivi che allora ci erano sembrati fantascientifici ed irrealizzabili ed  erano questi:

  –  Insegnare ad un numero sempre più grande di allievi.

 –   Convincerei mariti delle donne musulmane (erano le più difficili da avvicinare) di mandare le mogli a scuola. Loro andavano giornalmente a lavorare per cui, essendo costretti a capire quello che avrebbero dovuto fare e ricevendo ordini avevano maggiori opportunità di imparare la lingua.

– Riuscire a far scrivere a tutti gli allievi su di un di curriculum o su una domanda di lavoro lavoro che il richiedente non solo sapeva leggere e scrivere in italiano ma che era anche in possesso di un attestato riconosciuto dallo stato italiano.

A tutto il 2020 abbiano insegnato al leggere e scrivere ad almeno ad un migliaio di stranieri .

Le donne, soprattutto quelle di religione musulmana, frequentano abitualmente i nostri corsi e, quando mi incontrano al supermercato non abbassano più gli occhi ma mi abbracciano.

147 persone possono vantare di aver conseguito un diploma di scuola primaria di secondo grado mentre un numero imprecisato può scrivere sul suo curriculum di conoscere la lingua italiana a livello A2.

Tra i 147 diplomati ci sono alcuni che hanno continuato a studiare e si sono laureati.

Secondo sassolino da eliminare, a tutto oggi abbiamo insegnanti liguri, di Novi, di Gavi, di Tangeri e di Tamisoara, nessuna di Serravalle Scrivia, probabilmente il sottoscritto non ispira fiducia.

E’ doveroso fare un’altra precisazione, dopo aver fatto per diversi anni gli esami di terza media come privatisti nella Scuola Statale di Serravalle, sapendo che collaborando col CPIA di Novi Ligure avremmo alleggerito il programma d’esame, avremmo eliminato il Francese mantenendo solo l’Inglese, e soprattutto gli allievi sarebbero stati sicuramente promossi con una votazione ben più elevata, ci siamo conviti di sottoscrivere la convenzione con quell’ente statale

Sono diminuiti i sei ed aumentati gli otto ed i nove e ha fatto capolino persino qualche dieci; quell’esperienza però ci ha fatto toccare con mano quanto sia grande ed assurda la burocrazia nella scuola italiana.

Il 2020 grazie al Coronavirus ed alle strutture a disposizione poco idonee lo dovremo considerare un anno sabbatico, nel 2021 cercheremo di recuperare come si fa solitamente a scuola con i “Ripetenti” che desiderano recuperare l’anno perduto.

Scritto da Marco De Brevi.


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