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Di tutto, di più

Mostra di Vito Boggeri a Palazzo Grillo, Serravalle Scrivia (maggio-giugno 2010) – Commento alla visita.

A Serravalle Scrivia Vito Boggeri è l’uomo della porta accanto: nessuno si stupisce di vederlo passeggiare per le strade, anche se è noto che non abita più in paese. Sempre un po’ più infagottato degli altri, per la sua proverbiale freddolosità, con gesto misurato e scarne ma gentili parole ricambia i molti che gli si rivolgono per un saluto.

Ma nessuno tra quelli che lo incontrano, pensa a lui come ad un artista: e non perché non lo credano tale! Vito è prima di tutto uno del paese e gli artisti stanno invece lontani dalla gente comune, nella loro turris eburnea, in un empireo che non contempla il camminare per la via principale, la sosta al bar sulla piazza del mercato.

Basta però vedere la sua opera perché emerga prepotente la sua natura di poeta e di artista.

Vito è lieve come i suoi quadri: semplicemente racconta delle storie. Non si impone, sussurra; non grida, ammicca. Le sue storie, anche quando narrano il dramma, conservano l’ingenuità dei racconti dei bambini. Loro raccontano con  l’immediatezza della spontaneità, Vito con la matura e consapevole freschezza della poesia.

Davanti ai suoi quadri mi son tornate alla mente le favole di Gianni Rodari e le canzoni di Fabrizio de Andrè. Perché, come a loro, a Vito bastano poche pennellate per evocare sensazioni, odori, mondi lontani: misteriosi ma non inquietanti, dove gli oggetti quotidiani – candela, piatto, forchetta, torta – diventano protagonisti del racconto, e dove gli uomini e le donne, sempre un po’ incompleti, stentano a rubar loro la scena.

Qualcuno ama dire che “siamo quello che mangiamo”. Vito sembra voler estendere questo motto, affermando che siamo anche “gli oggetti che usiamo”. Così le storie della montagna  sono la fisarmonica e la candela; Pellizza è la pirotecnia dei colori che “escono” dal quadro davanti a lui (lo sta dipingendo o solo spostando? Dacché le mani non si vedono); il commercio sono le cravatte (e l’uomo senza testa, certamente un nero per il ricamo del vestito, più che per il colore della pelle,  è elemento marginale, di sfondo, del dipinto).

v. Boggeri – Omaggio a Pelizza da Volpedo

Poi ci sono i piedi: organi antropomorfi, che paiono essere il soggetto narrante, la dove compaiono. Anche le nuvole hanno gambe e piedi! E perché non dovrebbero? –  sembra dirci sorridendo Vito –  non si dice che le nuvole corrono?

Sbaglierebbe grossolanamente chi volesse psicanalizzare le opere di Vito Boggeri! Non c‘è dubbio – e come potrebbe essere diversamente – che esse traggano linfa e vigore da radici profonde nel suo vissuto, ma restano pur sempre fiabe,  nelle quali, anche la volpe appiattata che attende l’oca, per mangiarsela, non è “il dramma quotidiano della natura”, ma un semplice gioco. Soccorre questa tesi la risposta dello stesso Boggeri, interrogato da chi scrive, su un suo quadro (“Casa con portico”): all’interrogante che pensava di scoprire tormentati legami con luoghi dell’infanzia, l’Autore, con candida semplicità, ha opposto che in un quadro bisogna ben metterci qualche cosa e che in quello c’era una casa e un portico, ma c’era anche un albero, i fiori. E molto altro, solo che si fosse disposti a guardare – ha pensato tra sé il definitivamente conquistato interrogante.

In un epoca di valori appannati, quando non tramontati o distrutti, fa bene all’anima dissetarsi alle fiabe racchiuse in quei dipinti o consegnate alla sorpresa delle scatole dalle molte facce.

Alla saggezza di Confucio si attribuisce un monito che recita: “non imprecare contro il buio; accendi invece una candela!”. E le candele che Vito Boggeri accende per noi sono molte e preziose, anche se la sua connaturata modestia – talvolta quasi imbarazzante – continua a proporcele come cose da poco, quasi un gioco da bambini, un passatempo di cui scusarsi un po’ con chi si soffermi a guardarle. E forse è proprio così: ha ragione lui! Dobbiamo ritrovare dentro di noi lo sguardo ingenuo e lo spirito libero dei bimbi per poter godere appieno le sue opere: ma se anche non ci riuscissimo, percepiremmo comunque quella fresca aura benefica che ci dice che sono una cosa buona.