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“La mia infanzia a Serravalle”: un ricordo

Sono Pasquale Vecchi (Pasqualino), e nasco il 4 dicembre 1963 in ospedale a Serravalle. Si, avete capito bene, nell’ospedale di Serravalle, perché dovete sapere che qui non ci facevamo mancare nulla, ma proprio nulla. In una nottata di neve, la mitica suor Luciana aiutò a farmi venire alla luce. La mia casa era poco distante da Piazza dei Bianchi e si trovava in via Cappellezza, ma rimasi lì per poco perché poi sarebbe stata la salita di Vico al Castello a vedere le gesta della mia infanzia felice.

Negli anni ‘60, e nel primo lustro degli anni ‘70, i bimbi in quel di Porta Genova, così era ed è tutt’ora il nome del rione, non si contavano, ed erano capaci di animare il cuore della nostra Serravalle. Potevi trovarli in ogni via, ma la presenza maggiore era in prossimità della chiesa. Essa per noi era l’agora, era il luogo dove passavo intere giornate insieme agli altri bambini ed era puro divertimento. La vivevi in tutti i sensi: da fuori, nel grandioso campetto o nel teatro dei Luigini, la vivevi addirittura stando attaccato alle sue mura, ovvero con la schiena contro di esse per giocare a “tira cavenu”, o ancora sul suo selciato esterno per raccogliere, buttandoti nella mischia, i confetti che ogni domenica gli invitati lanciavano ai novelli sposi.

Ma la nostra bellissima chiesa la potevi vivere soprattutto nei panni del chierichetto. In quegli anni, non era don Lino o don Giuseppe a chiederti di andare a servire messa. La prima a spingerti era la mamma, perché per lei era un dovere che tu dovevi assolvere. Era bellissimo, un mondo tutto da scoprire fatto di simboli, di amicizia e anche di colloqui silenziosi con Dio. C’era spazio però anche per il divertimento, e questa ve la voglio proprio raccontare: la mattina delle palme del ‘72 don Angeleri fece la benedizione dall’alto di un trescalini poggiato sul pavimento dell’atrio, dove si erge tutt’ora il meraviglioso portone di legno intarsiato (il quale merita di essere osservato e apprezzato per la sua bellezza). Al di là di esso, una piazza gremita di fedeli, ognuno con la propria palma, aspettavano impazienti la benedizione. Dietro al prete, una trentina di chierichetti lo seguivano. Alcuni di questi avevano il compito di sostenere alcuni oggetti indispensabili come la campanella, la croce e l’aspersorio, notoriamente dotato di un cilindro su cui era avvitata una sfera forata da cui usciva l’acqua santa ogni qualvolta il don avesse proteso il braccio sui fedeli. Sembrava una consueta celebrazione, ma tutti i presenti erano ignari del fatto che un chierichetto dispettoso e burlone avesse svitato, in maniera perfida e sogghignante, la sfera dell’ostensorio, cosicché al primo cenno di benedizione da parte del prete, la sfera si staccò e colpi fragorosamente in fronte un innocente ragazzo, facendolo barcollare. L’ira salì a don Angeleri che, rosso di rabbia, si girò chiedendo minacciosamente chi fosse il colpevole. Calò così il silenzio fra quella moltitudine di chierichetti e, solo in quel momento, capii di averla fatta grossa. Si, anche questo avveniva nella mia amata chiesa, la quale è rimasta e rimarrà, per me, la più bella del mondo.

Una recita al Teatro dei Luigini (1970)