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L’asilo delle suore

(di Lorenzo Bisio)

Pur essendo figlio unico, mia madre, “una carabiniera” come si usava dire allora, mi spedi all’asilo , così, testuali parole, “mi sbelinavo”.

L’unico asilo allora presente a Serravalle Scrivia era quello delle suore, adiacente la palazzina delle vecchie scuole medie.

Indubbiamente l’esperienza, riavvolgendo a ritroso il nastro dei ricordi, mi servì sia per socializzare con gli altri bambini, sia per imparare a suon di “legnate prese” e bullismo “ante litteram” subito,  quanto sia più formativa di ogni istituto e titolo scolastico, “la dura legge della giungla”.

L’asilo era gestito da suor Bartolomea, un donnino con due baffi da sparviero, benvoluta da tutti, bambini e genitori, perché non si limitava ad insegnarci l’ordine e la disciplina, ma cercava di tirare fuori da ognuno di noi il meglio, sia in termini di espressività che di creatività.

L’asilo iniziava la mattina e terminava intorno alle 16.00, pranzo incluso, con l’unica particolarità che veniva servito solo il primo e la frutta, per cui il secondo bisognava portarselo da casa.

Per cui dovetti acquistare all’armeria Campastro di Via Berthoud una gamella di tipo militare, su cui il falegname “Cide” provvide ad incidere (scusate il bisticcio di parole) le mie iniziali.

Al suo interno era gelosamente custodita la bistecca già cotta, che tutti i santi giorni mia madre mi preparava;  le suore della cucina, all’ ora della pappa,  provvedevano soltanto a scaldarla.  

All’interno del cestino in vimini, con un fiocchetto azzurro come chiusura, oltre alla gamella mamma mi metteva sempre la merenda, in una sequenza regolare e immutabile, un giorno il Buondì Motta, un giorno i Pavesini, un giorno il Ciocorì, e poi si ripartiva daccapo.

La sezione comprendeva maschietti e femminucce nati nel 1959 /1960/1961, molti dei quali   sarebbero poi stati miei compagni di scuola alle elementari.

Nel gruppo emergevano, con le buone o con le cattive, più spesso con le cattive, alcune personalità di spicco, già allora dotate di leadership e senso del comando.

Su tutti Mauro Oliviero, che con i suoi  fratelli, i  gemelli Luigi (Gine) e Marco (Olly) era il vero ras.

I suoi ordini, impartiti con voce stentorea  e piglio autoritario, non si discutevano, si eseguivano e basta!

Buon sangue non mentiva, essendo  suo padre il mitico maresciallo Oliviero, figura di spicco della comunità serravallese, le cui gesta e imprese rimangono a imperitura memoria a distanza di molti anni, un Vittorio De Sica “id nuiotri”, ricordando il personaggio che il celebre attore interpretava nella celebre trilogia “Pane, amore e fantasia”, “Pane,  amore e gelosia”, “Pane, amore e……”

Un maresciallo a misura d’uomo, che alternava l’applicazione della legge a metodi più spicci e meno ortodossi (le mani)  ma molto efficaci.

Dotato di una straordinaria vitalità e simpatia, veniva sempre ricordato da mia madre ogni qualvolta mi parlava della cena della leva, a cui non mancava mai, in compagnia della consorte Testa Maria,  recitando il ruolo di vero e proprio mattatore, per la sua mimica e le sue battute spiritose.

Gli unici antagonisti, peraltro una ristretta minoranza, che si opponevano  al dominio del clan Oliviero erano i cani sciolti, quelli che già in tenera età erano allergici a regole ed imposizioni a vario titolo.

Li cito in ordine  sparso: Paolo Icardi “Paolasa” il figlio del sarto, Angelino Favaretto, Maurizio Favagrossa “il Cele” e Giuseppe Alfieri, che, a prescindere dalla temperatura e dalle stagioni, portava sempre i calzettoni abbassati alla caviglia, come Omar Sivori.

In campo femminile spiccava per la sua bellezza e il fascino nordico (la madre era toscana ma il papà austriaco)  la Mitzi Lustig, alta, capelli biondi, e occhi azzurrissimi.

Credo oggi viva a Livorno e lavori per il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Sta di fatto che me ne ero perdutamente innamorato, ma al di là di qualche caramella regalata  e qualche  giro insieme sulla giostra girevole, sul piazzale esterno all’asilo, non trovai mai il coraggio di dichiarami.

In compenso mi rodeva da morire che, durante le recite  (oggi si chiamano con una certa enfasi “saggi”) organizzate da Suor Bartolomea, la mettessero sempre in coppia con Luciano Traverso, il futuro  “Codillero”, quello che, un decennio più tardi, avrebbe imperversato nelle partite di calcio sull’asfalto in via Gramsci.

Già le recite……….

Preparate nei dettagli, con i costumi cuciti dalle mamme (per me l’amica di famiglia e sarta Anna Maria Salsa, figlia del celebre pittore Clemente, maestro di arte sacra che ha eseguito alcuni affreschi anche nella collegiata di Serravalle Scrivia)) e con ore e ore di estenuanti prove.

Fino al fatidico giorno della prima; notte insonne, mani sudate e salivazione azzerata alla Fantozzi, per paura di sbagliare qualche passo o movimento e di non ricordare qualche battuta del copione.

Con una costante a prescindere : Maurizio Favagrossa andava fuori tempo, sempre, dovunque, comunque, qualsiasi cosa facesse o dicesse.

Fra tutte le recite ne ricordo in particolare tre.

La prima, attori solo i maschietti,  era ambientata  in caserma e manco a farlo apposta Mauro Oliviero era il comandante  della truppa, con il doppio baffo da caporalmaggiore.

Era un segnale del destino perché poi in età adulta avrebbe fatto una brillantissima carriera militare.

La seconda era un balletto misto (c’erano anche le femminucce)  con i cerchietti; e come volevasi dimostrare Favagrossa se lo fece tutto  andando fuori tempo, dall’inizio alla fine,  rispetto agli altri che si muovevano in perfetta sincronia.  

La terza, la più dolorosa per me, era intitolata “L’olandesina”; ero in seconda fila e ballavo  con la Carla Franco (figlia del segretario comunale di allora e della Nella Ottolia, titolare della “Merceria Franco” in via Berthoud e sorella della mitica Vanda del Bar EUR) mentre  proprio davanti  a me Luciano Traverso, allora semplìcemente “Codì”, perchè diceva sempre “facciamo codì” (invece che così), ballava tutto impettito e tronfio con  la Mitzi Lustig.

Dopo 2 anni di asilo, ormai formato nel carattere e in grado non solo di fare puntini e aste verticali, ma addirittura di leggere e scrivere correttamente, ero pronto per la grande avventura : la scuola elementare.

Ma questa è tutta un’altra storia.