Uncategorized

Via Palestro e via Berthoud

Via Palestro

Nel 67 io e la mia famiglia ci trasferimmo in via Palestro, dalla parte della Madonnetta, in quella casa gialla che si affaccia sullo Scrivia.
Mi piaceva molto stare lì. Il fiume scorreva sotto di noi, segnava il ritmo delle stagioni e quando arrivava “Lo Scrivione”segnalava le piogge in Liguria. Allora, affascinati osservavamo dalla finestra lo scorrere dell’acqua marrone e melmosa sotto di noi, sentendoci parte di quel momento e nello stesso tempo sapendo di essere al sicuro. L’acqua non avrebbe mai potuto raggiungere il terzo piano della palazzina dove stavamo. E poi abitare sopra il fiume dava il senso del contatto con la natura, era la percezione della libertà che si coglieva guardando gli uccelli che volavano radenti alle nostre finestre. Era bello anche guardare la gente che attraversava il ponte, le luci della sera illuminavano la carreggiata rendendola romantica come un’antica cartolina.
La facciata principale della palazzina gialla dava sulla strada e a pochi metri dalla finestra del salotto passava la ferrovia. I primi tempi eravamo infastiditi dal rumore dei treni, poi poco a poco ci facemmo l’abitudine. L’unico problema era che mentre si guardava la televisione per tutto il tempo del transito non si sentiva e non si vedeva più niente. A volte era proprio alla fine del film e ti perdevi le ultime battute, se era un giallo avevamo paura di non capire chi fosse l’assassino. Appena si sentiva arrivare il convoglio entravamo in agitazione:-Speriamo non sia un merci! -dicevamo
Il treno merci infatti, è molto più lungo di un treno passeggeri e lo strazio durava di più. L’unico a disinteressarsene completamente era mio padre che dormiva sulla poltrona già dalla fine del telegiornale. Dormiva sì, ma guai a cambiar canale perché se ne accorgeva immediatamente. Non ho mai capito come facesse.
Comunque la casa era bella e spaziosa, con tante stanze a disposizione e un bagno con una grande vasca. Io lì ebbi la mia prima camera personale, cioè quasi perché era anche la stanza dove mia mamma cuciva e di giorno era il suo territorio, suo e della sua cerchia di amiche che venivano a farle compagnia mentre lavorava di ago e filo. Io allora me ne andavo di là, nella camera di mia sorella e facevo finta che fosse la mia, lei non c’era, era impiegata alla Fidass e fino alle sei non rientrava.
L’unico problema era l’umidità. Abitare sopra lo Scrivia era molto romantico ma la condensa che si formava sui vetri e in casa fu un problema che non riuscimmo a risolvere. Passavamo più volte al giorno con una spugna e una bacinella per asciugare ma alla fine della giornata, in inverno, c’era sempre bagnato a terra.

Così traslocammo ancora.


Il palazzo sopra Berto d’Angelo

Negli anni settanta ci trasferimmo in via Berthoud e il nostro appartamento era proprio lì, sopra al bar tabacchi di Berto d’Angelo poi diventato Bar dell’Angelo e gestito da altri e poi definitivamente chiuso.

Berto d’Angelo era anche la sede del Milan club Serravalle Scrivia. Era nota a tutti infatti la fede milanista del titolare. Io ai tempi mi spacciavo da juventina apposta per farlo arrabbiare quando la sua squadra perdeva. E lui si arrabbiava davvero e mi copriva di improperi, prendendosela con arbitri, dirigenti e con quelli come me che come asseriva lui di calcio non ne capivano un bel niente.
Il marciapiede era stretto lì davanti, ma Berto le sere d’estate metteva fuori due o tre sedie e stava a chiacchierare fino a notte fonda. Gli facevano compagnia le persone che abitavano lì vicino e nessuno era mai a corto di argomenti. Calcio in testa, naturalmente.
Il selciato della via era pavimentato con grossi lastroni di ardesia ancora dell’epoca romana ed era caratteristico anche se forse troppo rumoroso vista la mole di automobili e camion che passavano.
E’ stato sostituito con del vero asfalto qualche tempo dopo. Più comodo ma senz’altro molto meno particolare e ha stravolto l’aspetto medioevale che aveva allora il paese.
Il progresso ha i suoi pro e contro ma io i lastroni li avrei lasciati.
L’appartamento dove traslocammo era più piccolo dell’altro e peggio disposto. L’entrata introduceva in un lungo corridoio sul quale si aprivano le porte delle stanze. La cucina ed il bagno erano in fondo ed avevano finestre che davano su un condotto interno al palazzo illuminato malamente. Anche di giorno, in quei due locali era quasi sempre necessario tenere la luce accesa. Il bagno inoltre era piccolissimo e la lavatrice doveva stare nella minuscola cucina. Nel frattempo mia sorella si era sposata e si era trasferita nel rione Lastrico.


L’unica cosa che mi piaceva della nuova sistemazione, era che le finestre affacciavano sulla via principale e c’era sempre movimento in strada. La sera le luci della via illuminavano le persone che passeggiavano e si soffermavano davanti alle numerose vetrine:Elba confezioni, Moncalvo elettrodomestici, Stringa oreficeria. Lì vicino Abbigliamento Punta, Sorelle Albinio specialità grissini, cartoleria “U nunu”, salumeria Ravazzano “Cisculu, l’ufficio postale, a fainò. Dall’altro lato: articoli per la casa e giocattoli “Canuto” un negozio di cornici e quadri, tutto per la casa della Norina. Arrivavano persone anche dai paesi vicini perché la varietà degli esercizi commerciali era davvero degna di nota.
C’era dunque molto movimento. Perfino troppo. Eravamo caduti dalla padella alla brace, prima il treno ora le auto e i mezzi pesanti.
A tutte le ore del giorno e della notte transitavano automezzi. A volte erano proprio di grandi dimensioni e faticavano a destreggiarsi nella via che in quella posizione è quasi un budello. In certi punti il marciapiede era talmente stretto che era necessario camminare rasenti ai muri ed allontanarsi a tutta velocità se arrivava un camion.
In casa non era solo il rumore dei motori che infastidiva, c’era anche la polvere che arrivava su. Entrava anche con le finestre chiuse, si insinuava strisciante e testarda. Polvere nera, densa. Patina che toglievo e che dopo qualche ora si ripresentava impertinente sui mobili, sui libri su tutte le superfici esistenti. Era una guerra quotidiana, noi inquilini riuscivamo a vincere qualche battaglia ma non avevamo mai la vittoria finale. E meno male che stavo al terzo piano. Non oso immaginare ai piani più bassi cosa ci fosse.
Il traffico a Serravalle: un’odissea che va avanti peggio di quella di Ulisse, Infatti Ulisse dopo 20 anni a Itaca riuscì a tornarci. Noi dopo 40 anni non abbiamo ancora risolto il problema. Circonvallazione, deviazione traffico, sopraelevate. Ne ho sentite di tutti i colori, ma siamo sempre qui a combattere con le automobili e i marciapiedi stretti. Adesso i marciapiedi sono deserti, specialmente verso sera. Sembra di stare nella Londra del 1800 con quell’atmosfera lugubre e fumosa. Non ci sono luci di vetrine, non c’è nessuno che esca solo per il gusto di una passeggiata.