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La storia del Baciccia, eremita delle grotte

Fonti: Alessandro Semino e Mario Traverso

La tana del Baciciun è una grotta che si trova nella valle del Neirone a Gavi e che racchiude una storia antica. Si racconta che il Baciccia fosse un eremita che non si sa da dove arrivasse e quale fosse la sua vita precedente, quello che si sa è che non avesse affatto piacere di avere rapporti con le persone. Alla fine degli anni 1890 in zona Gavi -Monterotondo piantò una tenda nel luogo più selvaggio e solitario che riuscì a trovare e la scelta cadde dietro il forte di Gavi in cima alla Valle dei Fossati in località “Raslin”.

La grotta e i resti di una costruzione in pietra ( forse un essiccatoio)

Il suo modo di procurarsi il cibo era piuttosto primitivo: catturava animali selvatici, raccoglieva frutti di bosco, erbe e radici e si nutriva di quello. In paese scendeva molto raramente, a volte per comprare un po’ di pane o per procurarsi il tabacco. Vicino alla sua tenda c’era una grande formazione di pietra, la tipica pietra di Gavi. Un giorno chiese in prestito degli attrezzi da muratore a Grosso Pietro, proprietario della cascina di Ca’ del Rosso che gli consegnò quello che aveva richiesto anche per stabilire un minimo di rapporto con quest’uomo molto particolare. 

Dal giorno seguente nella valle cominciò a risuonare un rumore “tic tic toc”…c’era qualcuno che stava lavorando la pietra.  I vicini incuriositi scesero verso quel rumore e trovarono l’eremita intento a scavare la roccia.

Quando gli furono chieste spiegazioni raccontò che stava preparandosi il rifugio per l’inverno. 

Piano piano la grotta prese forma: c’era un ingresso sulla sinistra e sulla destra una specie di lungo corridoio che dava l’accesso ad un altra stanza che era la sua dispensa, poi una centrale che sarebbe stata la camera da letto e infine l’angolo cottura con un buco in alto che sarebbe servito a far uscire il fumo del camino. Ogni tanto Pasqualina Cipollina e le sue sorelle, Enrichetta e Giulia, di Ca’ del Rosso, persone generose che conoscevano la solidarietà, gli portavano qualche uovo e un po’ di polenta o di pasta fatta in casa, specialmente la domenica quando si celebrava la giornata di festa cucinando un po’ di più.

Lui, le prime volte le accoglieva in modo brusco ma piano piano si abituò e si addolcì un pochino. 

Gli fu regalata anche una chioccia con 10 uova e nacquero nove pulcini così lui poté avere il suo piccolo pollaio. 

Si venne a sapere che il suo nome era Baciccia. Quando anche gli altri abitanti delle zone limitrofe vennero a conoscenza della sua presenza in Valle, si recarono a rifornirlo di un po’ di cibo. La generosità di chi lo aiutava non era molto apprezzata e, anche se accettava volentieri i doni,  continuava conservare il suo modo brusco e scostante, non amava per nulla la compagnia. 

Durante il periodo della caccia poteva capitare che la zona fosse più frequentata ma quando lui sentiva qualcuno avvicinarsi si nascondeva e nessuno immaginava che quella grotta fosse abitata da una persona in maniera costante. Si pensava addirittura che quella grotta fosse un rifugio per i viandanti.

Il Baciccia rimase in quella grotta per molti anni, poi un giorno vedendo che dal camino non usciva fumo, chi lo conosceva si preoccupò, andò a controllare e trovò la grotta deserta. 

Da allora nessuno seppe più niente di lui. Chissà dov’era finito! Forse quel luogo era diventato troppo affollato per lui e aveva cercato un’altra sistemazione. Si dice anche che fosse stato colto da un malore improvviso e che fosse morto e ritrovato esanime nel pollaio. Io preferisco la prima versione.

Altre fonti raccontano che le origini della grotta siano diverse e si  narra che quella fu una delle tante cave dei secoli scorsi e che l’abitazione fosse stata utilizzata da due fratelli eremiti, due contadini nati a Gavi e che lavoravano a giornata  presso altri. Pare che avessero edificato la casa di pietra vicino alla grotta, non si sa se per utilizzarla come “Abergu” cioè essiccatoio per le castagne o per viverci. Questi due misantropi ogni tanto si vedevano in paese a Gavi, specialmente durante le festività quando i due si vestivano a festa e si mettevano nel chiostro dietro la chiesa di San Giacomo Maggiore a raccontare storie e recitare filastrocche. Purtroppo di queste non è rimasta molta memoria ma una si ricorda ancora: “ In ta vale vers li fusé, u vegna sü l’egua a branché” ( nella valle del fossato, l’acqua vien giù a manciate).

I due uomini erano chiamati i  “Caivlin-i” soprannome dato dal fatto che vivevano vicino alla tipica  falesia che si trova nei pressi della grotta e che oggi è utilizzata per le arrampicate. Questo tipo di roccia è detta “Ciapun da Caivela” cioè pietra della poiana o del gheppio. In quegli anni in un anfratto della roccia c’era il nido di un gheppio che in tempi più recenti, disturbato dagli arrampicatori, decise di emigrare in posti più tranquilli. 

Al giorno d’oggi , “Vers li Fusé” ( verso il fossato) è solo bosco ma un tempo era una zona rigogliosa con orti e vigneti e ancora adesso si riconoscono le tracce dei muretti a secco che delimitavano le coltivazioni . 
La valle del Neirone è una bellissima valle che vale la pena di visitare e che meriterebbe maggiore attenzione e cura da parte di tutti, se vi capita di fare un giro da quelle parti non dimenticate di fare un passo ad ammirare la cascata che si trova all’inizio del sentiero passando da Gavi.


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