EnciclopediaTestimonianze

Da Pacmac a Tetris… ovvero della Casa del Giovane e del Lux

Il Lux aveva grandi vetrate e tendoni verde cavolo. Si affacciava su un dehor a semicerchio nel centro del paese, a due passi dalla stazione ferroviaria.
I tavoli rotondi erano coperti da lunghe tovagliette di lino beige e niente all’interno dava l’idea di essere particolarmente attraente o accattivante, ciò nonostante il bar aveva un’atmosfera speciale e brulicava di vita dall’alba a notte fonda. Alle otto del mattino il cestino dei rifiuti traboccava di bustine di zucchero vuote.

Maurizio e Fernanda, titolari del Bar Lux

Dietro il bancone poi c’era la Fernanda, anche lei di prorompenti forme rotonde, che attirava nugoli di clienti assetati o solo in cerca di due chiacchiere fugaci.

Alessandra Zino e Don Giuseppe Turrici

Noi ragazzine nei primi anni 80 puntavamo il bar per il miglior gelato del circondario, prodotto di punta di Maurizio, marito della Fernanda, ma non ci mettevamo piede perché il cono potevi comprarlo da fuori, attraverso una finestrina aperta sul marciapiede.
Trascorrevamo quasi tutto il tempo extra scolastico alla Casa del Giovane sotto l’ala protettiva del Don.
Don Giuseppe Turrici era saltato fuori come un coniglio dal cilindro, credo nel 1977, ai tempi delle medie. Un alieno senza tonaca piombato in classe a parlare di cose che mai e poi mai avremmo pensato uscissero dalla bocca di un prete.
Era il Mourinho delle parrocchie e se ce l’avesse chiesto, come gli interisti del triplete, ci saremmo buttati di testa dentro un pozzo.
Carismatico e empatico con tutti, aveva riportato agli antichi fasti i fatiscenti locali della palazzina a fianco della chiesa. Coinvolgendo nel restauro anche noi tra i più giovani, ci aveva fatto sentire parte di questa nuova realtà e in un attimo Don Giuseppe si era assicurato uno stuolo di ragazzini pronti a seguirlo ovunque.

Io, la Paola, la Chicca (Cristina), la Valentina e la Sandra eravamo un quintetto di ferro e alla Casa del Giovane alcune di noi avevano persino sostenuto le primissime audizioni del maestro Bolchi, il quale aveva ottenuto dal parroco una stanza per le prove. Non è neanche il caso di dire che ridevamo scioccamente sotto i baffi senza immaginare che la Polifonica sarebbe diventata una gloria serravallese. Io anzi avevo stabilito quasi un record, scartata dopo circa tre secondi al primo “do re mi”.

Tornando al Don, resta memorabile la sua iperattività: indaffarato e trafelato, impegnato in mille progetti ma sempre pronto a buttarsi, rosso come un peperone, nella mischia di una partita di pallone. Indimenticabili rimangono il ritiro a Montallegro, la colonia a Brusson e la toccante visita ai bambini all’Istituto di Caldirola.

Paola Rampa, Chicca Traverso, Valentina Allegri, Bibi Raviolo, Alessandra Zino

E’ difficile esprimere l’eredità che ci ha lasciato questo Don Chisciotte  in perenne lotta contro i mulini a vento ed è altrettanto facile cadere nella retorica. Di sicuro, e credo di non parlare solo per me, era – e resta – l’immagine della Chiesa che volevamo.
Finito il tempo dell’attesa davanti al confessionale ad arrovellarci su quale tipo di peccato avremmo dovuto ammettere e che sfociava nell’inevitabile frase di circostanza “ho disubbidito ai genitori”, con lui avevamo finalmente la possibilità di confidarci, chiedere e capire.

Noi, mascherate da Duran Duran a Carnevale in Piazza Bonaventura (Casa del Giovane)

Tra le mura della Casa del Giovane era nata anche la passione per i Duran Duran. Lo so, ora  direte Ah Wild Boys…orrore! Non fa niente, sono assuefatta a qualsiasi commento e forse un giorno racconterò cosa sono stati per noi i cinque di Birmigham.

Alessandra Zino con Simon Le Bon

Nel 1982, impallatissima con i Duran, avevo ordinato alla cartoleria/tabaccheria/edicola Dazzi la cassetta dell’album Rio. Alla risposta “Cosse? Chiii?” avevo scritto il titolo su un pezzo di carta. Con finalmente tra le mani l’oggetto del desiderio, avevo scoperto con somma delusione che dentro non c’era il foglietto dei testi. Per fortuna Dazzi, che non si ricordava se avessi chiesto una cassetta o un 33 giri, se li era procurati entrambi.
“Ora io compro la cassetta e se non le dispiace tiriamo fuori dal cellophane l’LP perché a me servono i testi,  poi  fa la fotocopia e gliela pago”. “Ma avertu un lu cata pü nsöini!” “Nooo, tranquillo, venderà questo aperto e ne ordini tanti altri”.

La mia indecorosa faccia di tolla aveva colto Dazzi alla sprovvista tanto da accontentarmi senza batter ciglio, in compenso aveva fatto un affarone perché la duranmania stava per esplodere e Rio campeggiava orgogliosamente nella sua vetrina.

A seguito di questo fanatismo fulminante e del rocambolesco viaggio a Sanremo in cui ci eravamo lanciate nei giorni dei Duran al festival, la Chicca ed io avevamo messo in piedi un’impresa di rivendita di foto di cantanti super famosi. Ci intrufolavamo dappertutto e lei scattava da professionista, poi pubblicavamo inserzioni sui giornaletti in voga all’epoca. Nostro socio in questo business era il fotografo Munari che ci accordava piccoli sconti quantità. Non che guadagnassimo granché, in sostanza era la scusa per architettare il tour successivo e una nuova zingarata.

Cristina “Chicca” Traverso con Phil Collins

Il problema però è che si cresce e a un certo punto le antenne si drizzano e capti segnali un po’ dovunque. Il mondo è fuori e lo vuoi scoprire. La casa del giovane cominciava a essere troppo stretta.
Da tempo molti ragazzi avevano preso altre strade e il Don non se ne faceva una ragione. Un giorno avevamo provato a spiegarglielo: “Don, hanno voglia di vedere altre cose, di divertirsi, non ce la fanno a stare seduti mentre parli di Vangelo ecc ecc.”  Verde di rabbia in un lampo aveva afferrato la scopa rincorrendoci urlando giù per la scala come in una scena da Bmovie.

 A quell’età non potevamo capire ma il viceparroco temeva che per alcuni si sarebbero spalancati i cancelli della droga. Perché è vero che per molte ragioni Serravalle dei tempi andati era meglio di adesso ma saremmo smemorati se non riconoscessimo che la droga scorreva a fiumi e te la offrivano dovunque. Noi avevamo sviluppato gli anticorpi ma non valeva per tutti, e il Don lo sapeva.

Nel bar Veliero, al primo piano della Casa del Giovane, c’era un Pacman, il celeberrimo videogioco del pupazzetto giallo che attraversa un labirinto ingurgitando pallini e leccornie di ogni tipo. Nel frattempo deve fare i conti con quattro fantasmini che gli vogliono fare la pelle ognuno a modo proprio. Nelle nostre vite di allora correvamo esattamente come Pacman, bulimiche per ogni novità che incontravamo.
Più pallini escludevi più il cammino si faceva facile e veloce ma i fantasmi, i problemi, erano sempre dietro l’angolo e presto sarebbero tornati a farsi vivi.
Credo sia questa l’eredità di Don Giuseppe: voleva che fossimo abbastanza pronte per guardare in faccia i fantasmi e svicolare velocemente.

L’ingresso del Bar Veliero a Carnevale. Con Lorenzo Benzo, Francesco Stranieri, Fabio Brenta e Fabrizio Aragone

E svicolando era arrivata la metà degli anni 80 che per noi significava maggiore libertà e serate fuori casa, per lo più sulle panchine davanti alla Banca di Novara (oggi BPM).
Il passo per mettere le tende al Lux era stato breve: d’un tratto era la nuova base, la casella di partenza del Monopoli. Da lì si lanciavano i dadi per decisioni importanti o per destinazioni banali tipo la discoteca della sera, must di quegli anni ballerini.

Tra un gelato e un toast sono state pianificate le prime vacanze per sole ragazze e dal bar siamo partite zaini in spalla e in tasca il biglietto dell’Interrail alla scoperta dell’Europa.
Era stato il trampolino di lancio per la magica notte del Live Aid e dal bar qualche anno dopo Cristina avrebbe spiccato il volo verso la Svezia, fresca sposa del vichingo Martin.

Anche al Lux c’era un videogioco: il Tetris.
Nel Tetris vieni accolto da una ossessiva musichetta in stile folk russo e dall’alto dello schermo iniziano a cadere pezzi di forme e colori diversi. Lo scopo è incastrarli in modo che compongano una riga intera. La riga sparisce completandola, in caso contrario la pila si alza sempre più, lo spazio a disposizione diminuisce e la possibilità di posizionare i pezzi diventa un’impresa disumana.

Non si vince mai, puoi solo raggiungere un quadro superiore così come nella realtà ogni volta che superi un ostacolo sei soddisfatto ma devi prepararti per il livello successivo che darà maggiori grattacapi.
In pratica avevamo lasciato Pacman, dove l’importante era scappare, per Tetris. Le tessere della vita stavano per essere distribuite rapidamente per tutte noi. Era l’ora di cominciare a scegliere e a pensare, di buttarci nella mischia degli adulti.

Sui giorni a Sanremo io e Cristina avevamo scritto a due mani un lungo racconto (no, non era Sposerò Simon Le Bon!) che è andato perso tranne per qualche pagina di brutta. In una ci descrivevamo così: “una effervescente, bizzosa, frenetica teen-ager; una fobica, pasticciona, dolce “mitomane”; una assurda, surrealista, lapidaria lottatrice; una estrosa, ingegnosa, caparbia “rimbaudiana” e una rock anni 70 dipendente, entusiasta farfallona.”
Non dirò chi di noi corrisponde agli aggettivi. Eravamo semplicemente le ragazze del Lux.

What you doing friends of mine, holding back now friends of mine, I’ve always heard you calling… dedicato a Valentina, friend of mine.


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