EmigrazioneEnciclopediaRacconti, testimonianze, favole, poesie

Fiorinda, Richard e la Victoria Station

Non so come era Serravalle in quell’epoca ma immagino un paese sulla strada con uomini in fustagno, cappello, barba ispida e toscano sempre in bocca. Quelle donne vestite di lungo, su toni scuri, grembiule e fazzoletto in testa, che non si fermavano mai rompendo il silenzio tra di loro con le ultime notizie sul ritorno dei figli dalla guerra ormai finita. Sì, era già il 1919 però il Regio Esercito smobilitava lentamente i suoi soldati, quelli che erano scampati al filo spinato e alla spagnola. Le ragazze dopo il rosario della sera andavano a letto subito e tra sorelle fantasticavano sul futuro avendo in mente un contadinotto, un artigiano, un carrettiere. Il borgo, qualche paesino o una cascina di mezzadri, sarebbero stati la tappa finale dei loro semplici desideri sempre che la famiglia non si fosse messa di ostacolo a quel matrimonio. La messa della domenica era il palco di un teatro secolare dove i gruppi di giovanotti osservavano l’uscita dei fedeli, in maggioranza donne e da lì iniziava qualche cenno d’intesa. Invece per molti uomini andare in chiesa era una perdita di tempo e il vento socialista alimentava questo fuoco che stava rovesciando gli equilibri sociali.

I ferrovieri conoscevano a sommi capi, ormai tradizione sindacale, l’opera del loro concittadino Cesare Pozzo e con gli operai della G.B. Gambarotta, della Società Acido Tannico, delle Industrie Nazionali Cotoniere e le Fornaci Balbi, formavano uno zoccolo che darà vita nell’ottobre 1920, al Libero Comune di Serravalle con il nuovo sindaco socialista Giuseppe Agretti. I generi alimentari scarseggiavano, ed era vietata addirittura la vendita del latte fuori dal territorio comunale che da un po’ era “zona di guerra”.

In questa atmosfera nei negozi iniziarono ad arrivare notizie da Arquata: forse verrà costruito un campo per i militari inglesi in transito verso la loro terra. Sembrava una favola per poter contare su un commercio in aumento, sulle trattorie e bettole piene ogni sera, sui pence che compongono la sterlina, sui piccoli lavori di rammendo, lavatura e stiratura per le donne. Fu così perché i soldati scozzesi, irlandesi e ovviamente inglesi diventarono migliaia e gli servivano mezzi di trasporto, manutenzione, operai a giornata e così via.

Richard Jackson

Chissà quando Fiorinda vide per la prima volta Richard? Faceva la cameriera oppure la sarta? Lavorava nel campo? Non lo sappiamo. Possiamo immaginare che la lingua non fosse poi un ostacolo insormontabile, parlavano senz’altro di più gli occhi e i sorrisi in quegli incontri dapprima fugaci, forse nascosti, sino alla reciproca fiducia, alle promesse via via più impegnative. Le amiche le ricordavano quante storie d’amore erano già finite con delusioni se non con una gravidanza indesiderata; si vociferava che una ragazza di Arquata fosse andata addirittura in Inghilterra ma terribilmente ingannata non aveva trovato il suo fidanzato.

No, Richard era diverso: l’aveva portato in casa, con quella divisa stinta, pesante e resistente, lui con una scatola di latta piena di biscotti per la mamma, un coltello a serramanico per il papà e tanta timidezza, educazione, simpatia.

Il tempo però scorreva e man mano i treni caricavano quelle truppe desiderose di passare la Manica finché non toccò anche a Richard James Jackson. I genitori di Fiorinda Aragone, nonostante le assicurazioni del ragazzo pretesero che giunto a Londra, dopo aver trovato un lavoro, facesse le pratiche in modo da sposarsi per procura, solo allora Fiorinda l’avrebbe raggiunto. Probabilmente speravano che il tempo avrebbe sciolto quel legame e tutto sarebbe tornato alla normalità senza scossoni, nella tradizione, con un genero che parlava dialetto e che conoscevano fin da bambino.

Ma non fu così perché la fitta corrispondenza tra i due continuava, anzi si infittiva, e aggiornava la famiglia dei progressi fatti: ora Richard era policeman, aveva un lavoro fisso e dignitoso per cui iniziò a far fare i documenti necessari. Non passò molto tempo che si sposarono e venne programmato il viaggio: Arquata, Torino, Parigi, Dover, Victoria Station.

L’attimo in cui la locomotiva iniziò a sbuffare fu terribile per Fiorinda che subito vide scorrere Serravalle, i campanili, il ponte per Stazzano, mentre lacrime e capelli al vento le ricordarono che doveva avere coraggio, era solo l’inizio della malinconia.

Viaggiò e pianse, viaggiò e sorrise al pensiero di Richard, viaggiò immaginando quella grande città che l’aspettava, viaggiò stupita dalle Alpi con una galleria che non finiva mai, da pianure interminabili, da stazioni chiassose in cui le pareva che mille treni si muovessero contemporaneamente, finché giunse in riva al mare. Sbarcata dopo una breve traversata fu come se si fosse davvero chiusa la porta di casa alle spalle ed entrasse prigioniera in un nuovo mondo. Adesso il treno sembrava andare piano, non arrivare mai, con i dubbi che affioravano una volta di più, con l’immagine di Richard che da sorridente passava a triste, menzognero, lontano. Chi poteva aiutarla se …? Che doveva fare se …? Strinse ancor di più la valigia alle gambe, voleva dimostrare contegno, sicurezza, come se bastasse ciò a difenderla.

Il treno adesso rallentò davvero inghiottito da un enorme tunnel in ferro e vide facchini, ferrovieri, gente qualunque, che lo seguivano come a trattenerlo, con la voce dei passeggeri, indecifrabile, che adesso si alzava e sembrava stridula, sorrisi che cercano qualcuno, un clima elettrizzante come sempre agli arrivi.

Lei serrava i denti, cercava aria, stringeva un fazzoletto come fosse una corda che la legava all’Italia, al Piemonte, alla Valle Scrivia. Non aveva ancora visto Richard tra chi era sulla platfrom e ciò accrebbe l’agitazione; finalmente scese con l’istinto di guardare verso l’atrio mentre tutti le scorrevano attorno, fragile ostacolo ai loro programmi. In un minuto restò sola, paralizzata, tremante, rigida, sommersa da rumori sempre più alti, da vertigine. A casa, a casa! Doveva restare a casa, che paura, che vergogna, ingannata, umiliata.

Florinda e Richard

Il tempo si dilatò e l’infinita angoscia prese il sopravvento facendole perdere ogni riferimento reale: era a Londra? Perché? Chi era Richard? Quello che credeva lei o un bugiardo? Lo sgomento dilagò al pensiero che avrebbe dovuto comprare il biglietto di ritorno, trovare una pensione affidabile, telegrafare ai suoi un ritorno inaspettato. Un mondo crollava inesorabilmente e gli occhi di Richard, la sua gentilezza, i progetti fatti insieme durante le passeggiate o sul bordo della Scrivia, concorsero a spezzare la sua resistenza. Le gambe faticavano a reggerla e quella solitudine sul binario era ormai la solitudine della sua vita. Meglio morire, chiudere il tormento in un limbo ristoratore. Inaspettate sentì due mani leggere, un poco profumate, lievi, signorili, che da dietro le calavano sugli occhi. Una vampata di speranza che per tutta la vita fu il suo ricordo più caro: Richard sussurrò dolcemente, con l’intonazione di un angelo: “Fiorinda, cara, I love you”.


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