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La vacanza al mare

(di Lorenzo Bisio)

Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ …….e me metu a cianse”

Questo era il mio stato d’animo quando all’età di 4 anni, mi fu comunicato che si partiva per il mare.

Un po’ perché ero consapevole che mia madre, non sapendo nuotare, mi avrebbe tenuto al guinzaglio come un cagnolino, richiamandomi a sé ogni qualvolta l’acqua del mare mi avesse sfiorato le ginocchia, un po’ perché mio padre, già poco presente in famiglia durante l’anno, non sarebbe venuto con noi.

Giorgetti infatti tutte le estati, ad agosto, mi mandava in vacanza con mamma, preferendo tenersi le ferie per settembre per andare a funghi con i suoi compagni di merende.

La formazione tipo comprendeva mia madre e mia zia Maria, che si sarebbero alternate nella gestione della truppa, composta dal sottoscritto, da mia cugina Vittoria e da mio cugino Davide di Gavi.

Meta da raggiungere la Riviera di Ponente, nello specifico Cogoleto Beach.

Partimmo tutti insieme appassionatamente con il taxi di mio zio Angelo, u Cilu, con un set di valigie stracolme di vestiti, che sarebbero bastati per stare via tutta l’estate.

Dopo un viaggio sotto il solleone, arrivammo finalmente a destinazione, la Pensione dei Nonni, un albergo/trattoria mezza stella sulla via Aurelia, che si affacciava direttamente sul mare.

I miei costumi, uno azzurro e uno blu, erano in spugna, una spugna talmente spessa che assorbiva anche le escrezioni renali  che ogni bambino rilascia attraverso l’apparato urinario non appena viene a contatto con l’acqua di mare.

Il modello ascellare era uguale a quello di Fantozzi, per cui nelle giornate ventose e senza sole fungeva anche da pancerina protettiva.

Completava l’outfit un cappellino da marinaio alla Braccio di Ferro, di colore bianco con un’ ancoretta blu al centro.

La mattina, scesi in spiaggia, mamma mi incremava per bene, protezione rigorosamente totale, ed io partivo di corsa  verso il bagnasciuga, armato di paletta e secchiello.

Tempo dieci minuti di duro lavoro da “bocia” di muratore ed ero piazzato come coloro che in quegli anni andavano a fare i fanghi a Salsomaggiore.

Un impasto di sabbia, acqua di mare e crema solare che costringeva mamma, siccome non mi lasciava fare il bagno per paura che annegassi, a farmi una bella doccetta calda.

Detto fatto, ripartivo verso la riva del mare e c’eravamo daccapo.

Meno male che le doccette calde allora erano gratis altrimenti avremmo pagato più di docce che di albergo!

Tra una doccia e l’altra trovavo anche il tempo di litigare e tirare, prontamente ricambiato, la sabbia addosso a mio cugino, col quale c’era un rapporto di odio-amore, come diceva mia zia “tuchime Tognu, Tognu me tuca”.

A proposito di “amichevoli discussioni” il top di quella vacanza fu una disputa per una maschera da sub, che si risolse in maniera salomonica,  senza vinti nè vincitori, nel senso che mio cugino me la ruppe sulla testa, per fortuna senza gravi conseguenze.

Solo un piccolo bernoccolo, prontamente curato e guarito con un ghiacciolo alla menta.

Le giornate trascorrevano velocemente senza alcuna interruzione delle nostre attività ludiche, nemmeno per il sonnellino pomeridiano (ormai eravamo troppo in là con gli anni), salvo che per il rito istituzionale della merenda : panino al prosciutto, pavesini o Ciocori’, queste erano le tre opzioni a disposizione.

Rientrati dalla spiaggia si procedeva al “brusca e striglia” termine usato da mia madre per indicare un bagno caldo che ci consentisse di scendere al ristorante in condizioni igienico-sanitarie accettabili.

Mio cugino rimandava ogni volta la toelettatura adducendo le scuse più svariate.

Terminata  la cena, dopo una breve passeggiata sul lungomare, risalivamo in camera e ascoltavamo un po’ di musica, da un mangiadischi Geloso, antesignano dei futuri stereo high tech, del peso specifico di un chilo senza tara.

Eravamo nel 1964 e la canzone preferita da mia cugino era il 45 giri “Ogni volta” di Paul Anka, il motivo che il cantante canadese naturalizzato americano aveva presentato a Sanremo.

Paul Anka si era esibito in coppia con Roby Ferrante, arrangiamento musicale nientepopodimeno che  di Ennio Morricone.

Non appena partivano dal mangiadischi le prime note, mio cugino, che conosceva il testo a memoria, iniziava a cantare:

 “Ogni volta, ogni volta che torno,

non vorrei, non vorrei più partir.

Pagherei tutto l’oro del mondo

se potessi restarmene qui.

Ho negli occhi il color del tuo mare,

ho nel cuore l’azzurro del ciel,

ogni volta che devo partire

io mi porto il ricordo di te.

La mia casa è laggiù

ma il mio sole sta qui,

tu sei il sole per me, e non vorrei un di

lo sai, lasciarti mai perché,

ogni volta che devo lasciarti

sento tanta tristezza nel cuor,

e mi resta soltanto la gioia

di pensare che un dì tornerò.

Ma non faceva in tempo a terminare le prime strofe che scoppiava a piangere reclamando la presenza di suo padre, mio zio Riccardo, il famoso “Bestione”, centravanti del Cagliari in serie B negli anni 60.

“Voglio palino” era ormai il karma di tutti i dopo cena e non ho mai capito (anche se ora qualche sospetto ce l’ho) perché a differenza di tutti gli altri bambini di quell’età (essendo del 1959, aveva 5 anni, uno in più di me) invocava il papà e non la  mamma.

Comunque, causa questa “saudade paterna” finiva sempre che non faceva il bagno, cosicché il lettino dove dormiva, quelli di una volta tipo ring per il pugilato, era un upgrade non previsto dalla pensione, in quanto aveva a disposizione una spiaggetta privata tutta per lui direttamente in camera.

Tanta era la sabbia accumulata fra le lenzuola che avrebbe potuto giocare con la paletta e il secchiello anche di notte.

Questa tiritera si ripeteva quasi tutte le sere finché, per sfinimento suo e nostro, non cadeva fra le braccia di Morfeo.

Fu una vacanza memorabile, e siccome il tormentone “Stessa spiaggia stesso mare” successo di Mina e Piero Focaccia del 1963, condizionò per molti anni l’italiano medio in vacanza, mia madre pensò bene di ripetere l’esperimento anche l’anno successivo, sia pure cambiando equipaggio.

ll parentado fu sostituito dalla moglie di un collega capocantoniere di mio padre, tale Piero Tibaldi, abitante al rione Lastrico, con relativa prole.

Fu peggio dell’anno precedente tanto che dal 1966 al 1975 cambiammo completamente location trascorrendo le vacanze estive in quel di Cervinia, prima all’hotel Punta Maquignaz e poi all’hotel Europa.

Ripresi la frequentazione col mare solamente quando, previo un paio di corsi al Nuoto Club di Alessandria, acquistai una tale autostima da poter sfidare in acque libere anche  il mitico Marcello Guarducci.

Al resto contribuirono le prime tempeste ormonali che risvegliarono in me, al prezzo di dolorose scottature, l’interesse definitivo per l’altra metà del cielo.

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