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Il pellegrinaggio Vargo – San Ponzo – 1. Storia di un santo e del suo culto

Perché molti santi tebei sono venerati in Piemonte e più in generale nel quadrante dell’Italia del Nord-Ovest? Perché secondo la leggenda molti di essi sfuggirono al martirio giungendo nelle nostre valli clandestinamente. Qui si diedero a svolgere opera di evangelizzazione nei villaggi di montagna, ove il paganesimo era ancora diffuso (il termine pagano infatti deriva proprio dal latino pagus, villaggio).

Uno di questi è San Ponzo, poco noto certamente, ma non a Vargo dove era evento di rilievo il pellegrinaggio a San Ponzo Semola, frazione di Ponte NIzza, borgo a lui dedicato.
Tuttavia prima di narrarvi la storia di questo vero e proprio avvenimento per i devoti varghesi occorre un po’ di pazienza, poiché dobbiamo cercare di capire quali sono le origini della devozione per questo santo e, con lui, di altri martiri tebei.

Ponzo è un santo eremita e martire, soldato della Legione Tebea, una unità tattica ed organica dell’esercito dell’Impero Romano. Tebea in quanto i suoi 6.600 componenti erano stati reclutati in buona parte lungo il corso del Nilo ove appunto sorgeva l’antica Tebe d’Egitto. 481 di essi, convertiti al Cristianesimo, vennero martirizzati ad Agaunum, l’odierna St. Maurice d’Agaune, in Svizzera, per essersi rifiutati di offrire sacrifici agli dèi pagani e di infierire contro i Bagaudi (ribelli locali, già cristianizzati). La località del martirio è dedicata appunto a San Maurizio, uno dei comandanti della Legione.

I martiri di Agaunum divennero oggetto di culto lungo l’arco alpino proprio in ragione del loro rifiuto di infierire contro una popolazione montana, Nonostante con l’andare del tempo di alcuni di questi legionari si sia persa completamente cognizione, molti di loro sono ancora i cosiddetti santi “tebei” venerati in Europa: 58 in Piemonte, 15 in Lombardia, 10 in Francia, 325 in Germania e 5 in Svizzera.

Tanto per fare degli esempi relativi alla Valle Scrivia e all’Oltregiogo, San Maurizio è compatrono di Vargo, San Fedele e San Secondo, suoi commilitoni, sono Patroni rispettivamente di Malvino e di Cuquello. E chissà se è associabile a questo nutrito gruppo il San Centurio martire le cui reliquie sono conservate in Collegiata a Serravalle, o se questa figura sia piuttosto riferibile alla storia sviluppatasi tra Ordini cavallereschi, Ordini religiosi, e confraternite serravallesi. Ma questa è un’altra storia.

Ma torniamo a San Ponzo il quale, per salvare la propria vita dalle persecuzioni, fuggì sopra Varzi, a Fortunago, comune lombardo ma raggiungibile dalle direttrici piemontesi e piacentine dell’Appennino, dove fino al secondo dopoguerra erano spesso in transito commercianti di bestiame da un po’ tutti i nostri borghi.

Sempre secondo la leggenda, quando era a Fortunago, Ponzo, garzone ptresso un agricoltore, fece scaturire una fonte d’acqua per abbeverare i buoi ed i contadini assetati, convertendoli così al Cristianesimo.

In seguito, si ritirò a vita eremitica in Valle Staffora, nei boschi sovrastanti il paese che da lui prese il nome, San Ponzo appunto. Viveva in una grotta tutt’ora esistente (accanto è stata poi costruita una cappellina)

Eremo e grotta di San Ponzo

La grotta dove Ponzo visse si trova qualche chilometro fuori dell’abitato, in direzione del monte, verso Costa Serra.

Il luogo solitario e suggestivo scelto da San Ponzo è caratterizzato dalla presenza di diverse grotte naturali. Ponzo ne scelse una come sua abitazione, forse pensando di imitare Gesù che volle nascere in una grotta. L’antro, divenuto la Grotta di San Ponzo, è venerato dalla popolazione del luogo, ma anche meta di tanti fedeli provenienti dalle zone circostanti dell’Oltrepò, del Piacentino e del Genovesato. Questo spiega la diffusione del suo culto, spesso veicolato dai movimenti di viandanti e commercianti, ma anche solo dalla fama di santità del personaggio e dal pio passaparola che ne derivava. Ed era una fama schietta, consistente, autentica, non costruita o alimentata come quelle di oggi dai mass-media.

All’interno della grotta si trova l’area delle pietre guaritrici, dove, secondo la tradizione, dormiva il Santo. Tra le pratiche del pellegrinaggio era previsto lo sdraiarsi nell’antro dove egli aveva ricavato il suo giaciglio.
All’acqua che stilla dalla grotta stessa venivano attribuite virtù prodigiose, fra cui quella di far aumentare la produzione del latte alle puerpere.

Nei pressi della grotta una piccola nicchia è stata identificata , nelle credenze popolari, come il nido della gallina che gli teneva in qualche modo compagnia e dove essa deponeva di quando in quando le uova che, insieme ai frutti del bosco, costituivano il nutrimento del santo.

Interno: giaciglio e nido della gallina

Riconosciuto quale cristiano, fu condannato a morte e decapitato nella zona fra Cecima e San Ponzo.
La sua festa si celebra in paese il 2 settembre; ma la ricorrenza che ci interessa è un’altra, legata alla grotta, che ricorre il 14 maggio, giorno in cui, probabilmente verso la metà del secolo terzo, venne martirizzato. Non si sa con esattezza dove avvenne l’esecuzione.

In realtà, ed ecco qui la sorpresa, secondo lo storico della diocesi di Tortona, mons. Vincenzo Legè (prima metà del ‘900), che scrisse un opuscolo sulla vita di San Ponzo, in questo personaggio si confondono e si fondono due Santi (come accadde per San Benerio a Stazzano): il San Ponzo, più antico, quello festeggiato in settembre, ed un altro, un omonimo più recente, che condusse vita eremitica nello stesso paese, e che fu martirizzato dagli eretici al tempo del beato Giovannino di Volpedo (metà ‘400). Anche se a distanza di quasi mille anni l’uno dall’altro, entrambi ebbero vicende di vita abbastanza affini.

Come si è detto, il secondo Ponzo è festeggiato in maggio, il giorno 14, e sue sarebbero le reliquie (scheletro del santo privo della testa, custodita nella chiesa parrocchiale di Fortunago) che dal 1903 si conservano sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale, entro un’arca di legno e vetro.

Quest’altro Ponzo nacque a Roma agli inizi del secolo III da nobile famiglia pagana (il padre Marco, era un ricco senatore romano e la madre si chiamava Giulia). Crebbe in un ambiente pagano, ma a contatto con gli ormai numerosi cristiani, convinti e fervorosi nella pratica religiosa. Fu educato alla religione da Papa Ponziano che lo accolse, lo istruì e lo battezzò dandogli il nome di Ponzo. Subito si dedicò alla conversione dei pagani, a cominciare dal padre e da tutta la sua famiglia.

Arrivato da legionario in Valle Staffora, fuggì dall’esercito. Secondo alcuni per sottrarsi alla persecuzione dell’imperatore o, secondo altri, per l’ansia di diffondere la fede cristiana anche fuori Roma. In seguito peregrinò in varie regioni, come era consuetudine allora, spingendosi verosimilmente fino in Francia. L’antica diocesi di Saint Pons de Thomieres (confluita nell’attuale diocesi di Montpellier) prende il nome del nostro santo, e lo festeggia il 14 maggio, come da noi. É solo il caso di ricordare che da Montpellier (dalla storica, limitrofa cittadella di Maguelone, per la precisione) proveniva Adriano IV che, una volta Papa, confermò una serie di diocesi (e relativi possedimenti), tra cui Tortona.

Saint Pons de Thomieres

In sostanza: lungo le strade della nascente Europa si muoveva molta più gente di quanto ci si possa immaginare, creando reti di collegamento tra le popolazioni ed i luoghi (e relativi prodotti e saperi). In questo modo si propagavano anche i movimenti spirituali.

Come lui, altri uomini animati da grande fede si impegnarono in questo obiettivo: Rocco, Colombano, Martino, Romedio, e altri ancora che percorrevano le contrade delle città e del contado di mezza Europa: a piedi, con il bastone del pellegrino, alloggiavano dove potevano, ospitati qualche volta da contadini più sensibili, e si nutrivano di quello che ricevevano dalla carità degli uomini e dalla generosità della terra.

Questi discepoli per amore, se non addirittura pazzi per Dio, si ritiravano in seguito a vita comunitaria o in eremi (San Colombano di Bobbio e Sant’Alberto di Butrio sono esempi rilevanti per la nostra macroregione).

Ponzo si ritirò in una località che allora si chiamava Le Cascine, che poi prese il nome da lui ed a cui venne aggiunto il nome Semola, dal nome del torrentello che scende dai monti e costeggia il borgo. Il nome Semola pare derivi da Vocemola (una delle frazioni di Arquata Scrivia) e indichi il luogo su cui sorgeva uno degli accampamenti romani attorno a Libarna (richiamo al primo Ponzio di questa storia, ex legionario tebeo fuggito anch’esso dai ranghi militari e peregrinus in nome di Cristo).

Data la lontananza nel tempo, come è facile comprendere, la vita del nostro Santo è punteggiata da notizie storiche miste a leggende. Tra queste, si inseriscono le vicende delle sue reliquie. Si narra, tra l’altro, che il Parroco di Montalto Pavese, avuta la testa del Santo (una reliquia “insigne” ossia di notevoli dimensioni,  trofeo che dava lustro all’intera comunità), volesse portarla nella propria Parrocchia, ma, giunto su un carro trainato da buoi a Fortunago, dove il Santo aveva passato qualche tempo, la testa diventasse così pesante che non fu possibile proseguire (narrazioni simili si rilevano pure per l’arrivo/l’assegnazione di altre reliquie e/o immagini sacre), e dunque si dovette lasciarla lì dove ancor oggi si trova. Nella chiesa parrocchiale di San Ponzo Semola, invece, si trova l’urna d’argento e cristallo contenente il resto del corpo, senza la testa.

Simili vicende si prestano a narrazioni cariche di mistero, legate alle rivendicazioni che ogni paese, all’epoca, aveva da presentare o vantare di fronte al mondo esterno. Dunque, i vecchi varghesi raccontavano addirittura di scontri tra Fortunago e San Ponzo per il possesso delle reliquie: a metà strada tra queste località, a mani nude, i rappresentanti delle due comunità si scontrarono per contendersi lo scheletro, afferrandolo così saldamente da provocare il distacco della testa, ghermita dai fortunaghesi, dallo scheletro rimasto nelle mani dei sanponzesi. E qui davvero sacro e profano si intrecciano in modo quasi intestricabile!

La gente del popolo si lasciava facilmente suggestionare dai racconti riguardanti le vite di chi dedicava totalmente la propria esistenza a Dio fino a vivere in solitudine e in penitenza in luoghi eremitici; biografie alle quali venivano sovente aggiunti episodi e interpretazioni frutto di immaginazione e di esaltazione, ma segni indubbi di devozione, di senso di appartenenza, di spirito di gruppo. È importante poter mettere in evidenza le caratteristiche spirituali e le potenzialità della religiosità popolare.

Fin qui la storia. Appuntamento alla prossima puntata per raccontare nel dettaglio il pellegrinaggio dei varghesi a San Ponzo Semola.

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