“Ad bestias” nell’anfiteatro di Libarna
Nell’anno 100 d.C. nella cittadina romana di Libarna tutto procedeva come sempre.
I Libarnesi erano impegnati in mille attività commerciali e artigianali; la Via Postumia era percorsa da moltitudini di carri con ogni tipo di mercanzia; il foro gremito di venditori ed acquirenti; il teatro le terme e l’arena lavoravano a pieno regime.
Solo una cosa, da alcuni mesi, sembrava andare contro corrente, contro natura, e tutti non capivano il perché. Nulla di grave, di preoccupante; però se la cosa fosse perdurata avrebbe potuto mettere in crisi il divertimento preferito dai romani.
I proverbiali feroci, famelici e spaventosi leoni dell’anfiteatro disdegnavano di sbranare, mangiare ed anche solo addentare i poveri disgraziati che venivano dati a loro in pasto: delinquenti condannati a morte o cristiani che non volevano riconoscere l’imperatore come autorità e divinità.
Non si capiva se fossero ammalati, se gli umani non fossero di loro gradimento o se fossero diventati improvvisamente vegetariani.
I ludi gladiatori, cioè i combattimenti tra lottatori chiamati anche “Numera”, insieme agli “Ad bestias”, cioè la sentenza di morte eseguita tramite lo sbranamento ad opera di belve nell’arena, erano gli spettacoli che mandavano in delirio e visibilio il numerosimo pubblico pagante sempre presente.
I quattro leoni dell’anfiteatro da un po’ di tempo stavano facendo cilecca. Sembravano svogliati, annoiati, stufi della solita zuppa che gli veniva propinata in pasto. Gironzolavano attorno alle loro bistecche umane, le annusavano e finivano per leccarle, come enormi micioni.
Le vittime, tremanti dalla paura, capivano dopo un po’ che non c’era nulla da temere e fraternizzavano con i loro carnefici come se fossero stati i loro cagnoloni che facevano loro le feste.
Le prime volte si pensò ad una intercessione divina ed i condannati a morte furono graziati. Perdurando però il digiuno leonino i guardiani dell’anfiteatro capirono che qualcosa non funzionava e tentarono varie soluzioni.
Come prima cosa misero a stecchetto gli animali africani, sperando che il digiuno avrebbe aumentato il loro appetito nell’arena.
Niente da fare! I leoni continuavano a dimagrire, disdegnando come al solito il loro spuntino di fronte a migliaia di spettatori che li invitavano a nutrirsi senza ostinarsi a fare gli schizzinosi.
Vennero interpellati i migliori medici di Libarna che, superate le sbarre delle gabbie, cercarono di visitare i felini. Le diagnosi furono molteplici: dalla anoressia alla intolleranza alimentare, dalla depressione alla gastrite, dall’ulcera all’infezione da Helicobacter Umano.
Di tutti i rimedi proposti però, purtroppo non ne funzionò neanche mezzo. I leoni avevano forse fatto indigestione di carne cristiana ed ora non volevano neanche più sentirne l’odore, come capita anche agli umani.
Gli spettatori incominciavano a non divertirsi più, ad annoiarsi e gli organizzatori dei giochi rischiavano il fallimento per la diminuzione dei paganti.
Studia che ti ristudia, interpellato Sapiens, l’oracolo Libarnese, questi disse che avrebbe richiesto una consulenza ad Amara, la strega fattucchiera che viveva presso l’Olubria in una capanna, proprio sotto all’anfiteatro.
Dal consulto risultò che i leoni avevano probabilmente nostalgia della loro terra e che avrebbero voluto tornare alla dieta africana, fatta di gazzelle, zebre e zebù.
Il responso parve quantomeno originale e bizzarro; comunque i duoviri, non sapendo che pesci prendere, decisero di sostituire i re della foresta con altre belve mangia uomini che dessero risultati certi.
Dopo una settimana sbarcarono a Genua, da una nave proveniente dall’oriente, quattro enormi tigri con denti che sembravano scimitarre. Ad attenderle in Libarna c’era mezza cittadina. Tutti erano entusiasti di vedere come avrebbero divorato nell’arena. I poveri condannati a morte, Cristiani compresi, iniziarono a tremare ed a pregare.
Venne il giorno del riscatto dell’ anfiteatro libarnese. Gli spalti erano gremiti con il tutto esaurito e la soddisfazione degli organizzatori, tra cui i Duoviri che, dal palchetto d’onore, sorridenti, attendevano l’ingresso dei morituri “Ad bestias” e, a seguire, del loro ferocissimo acquisto famelico.
Le quattro tigri erano costate tantissimi sesterzi, in parte pagati anche dalla amministrazione cittadina per tenere alta la reputazione dell’arena che ultimamente era un po’ in ribasso a causa dello scarso appetito degli sbranatori.
I Cristiani si erano radunati in un gruppetto compatto sulla sabbia dell’arena, un po’ come la testuggine dell’esercito romano. I delinquenti comuni, anche loro cercavano di stare vicini per farsi coraggio, per non essere dilaniati da soli. Spaventosi ruggiti precedettero l’ingresso delle quattro tigri grandi quatto volte gli umani.
I condannati si portarono le mani agli occhi per non vedere tali forze della natura che di lì a poco li avrebbero divorati. L’unica consolazione era che, essendo enormi, avrebbero fatto in fretta e la sofferenza non si sarebbe protratta per molto tempo.
I Duoviri consultatisi, certi del risultato, informarono i morituri ed il pubblico che chi, dopo il tramonto, fosse rimasto vivo avrebbe avuto salva la vita per rispetto al volere benefico degli Dei.
Gli spettatori, ansiosi di assistere alla carneficina, passarono da un silenzio totale al grido ritmato e ripetuto di: sangue sangue sangue…
Le tigri entrarono in scena, con un salto si portarono al centro dell’edificio ed iniziarono una specie di carosello inaspettato…
Arrivate al porto di Genua, le quattro belve asiatiche per qualche tempo erano state in contatto, sulla banchina, con i leoni provenienti da Libarna che sarebbero poi stati imbarcati per raggiungere un’altra arena.
Avevano comunicato tra di loro solo come gli animali sono capaci di fare. Probabilmente i leoni avevano raccontato alle colleghe tigri il loro comportamento in Libarna. Avevano parlato così del loro primo sofferto ma doveroso sciopero della fame.
Per i leoni era assurdo continuare a mangiare umani, anche perché questo avrebbe alimentato la loro cattura, il loro commercio e la loro galera a vita. Nelle arene dovevano mangiare i malcapitati per il divertimento di tanti esaltati, incapaci di svagarsi diversamente.
Le tigri avevano subito recepito il messaggio. Lo avrebbero sicuramente messo in pratica al loro primo ingresso in un anfiteatro. La speranza era che, se tutte le belve avessero tenuto tale comportamento, forse gli ottusi umani avrebbero finalmente capito, dagli animali, quanto assurdo era il loro divertimento e piano piano sarebbero necessariamente passati ad un altro sport di massa meno cruento ed inumano.
Gli animali ammazzavamo solo perche’ costretti dai crampi allo stomaco e non certo per crudeltà o possatempo.
Le tigri avevano pensato di mettere in scena ben più di uno sciopero della fame. Avevano escogitato un loro piano che speravano sortisse qualche effetto positivo nelle teste vuote degli umani.
Non erano mai entrate in un anfiteatro, ma l’ambiente non era poi così diverso dai luoghi in cui si erano esibite per i Maharaja indiani.
Entrate nell’ovale dell’arena, incominciarono a saltarsi l’un l’altra correndo in tondo. Si alzarono, poi, reggendosi con le zampe posteriori, avanzando e retrocedendo tutte a tempo.
Fecero quindi un girotondo in cui l’ultima della fila, accelerando, diventava la prima. La cosa andò avanti con vari numeri e coreografie per un bel po’. Sia i delinquenti che i Cristiani increduli non si capacitavano di cosa stesse succedendo.
Pensarono ad animali addomesticati che finito il balletto avrebbero banchettato con loro.
Il pubblico sembrava divertito, non gridava più “sangue” ma osservava in silenzio, battendo le mani per uno spettacolo mai visto e che stavano apprezzando.
Ad un certo punto le quattro tigri si portarono al centro dell’arena e, come avevano fatto tante altre volte alle corti indiane, si accasciarono al suolo formando una croce e ruggirono come per salutare i presenti.
Appena i Cristiani videro la croce s’inginocchiarono e iniziarono a pregare.
Il tempo intanto era passato e il tramonto stava per calare.
I Duoviri, I Sacerdoti del Tempio e tanti spettatori si chiesero se la croce fosse stata casuale o se fosse invece un segno del Dio adorato dai Cristiani.
Ritornò un assordante silenzio all’interno dell’anfiteatro, tutti erano rimasti impietriti. Le tigri rientrarono nella loro gabbia, i morituri ebbero salva la vita e si dispose a furor di popolo, autorità loro malgrado consenzienti, di bandire per sempre le esecuzioni ad bestias dall’anfiteatro di Libarna.
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Che bel racconto! Mi è piaciuto sia per la descrizione del luogo che per la morale. Bravo l’autore!