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Il Mulino di Santa Maria

Una piccola perla nascosta tra i boschi della val Borbera. Una descrizione che calza a pennello per un gioiello più unico che raro che si trova proprio tra le nostre montagne. Parliamo del Mulino di Santa Maria, dal nome del villaggio facente parte del Comune di Albera. Una struttura che testimonia l’arte e l’ingegno dei nostri antenati, capaci di progettare, con pietre, legna e tanta fatica, un capolavoro di ingegneria per la ristretta comunità locale. Quello che, ai nostri occhi, appare come un cimelio antico, era considerato per secoli come fonte di sostentamento per tantissime famiglie. Un cimelio che deve essere curato e coccolato per rimanere al passo con i tempi ed evitare di deteriorarsi. Spiega Giancarlo Banchero, dell’omonima falegnameria, “il restauro era necessario perchè gran parte del mulino era in condizioni tutt’altro che ottimali. Circa vent’anni fa, la mia famiglia si è attivata per sistemare l’intera opera”. Un lavoro studiato e progettato non solo per abbellirlo, quanto per riportarlo in vita, se non per la produzione giornaliera, per la famosa Festa del Pane. Trasportare il materiale in laboratorio, restaurarlo e riportarlo a Santa Maria. Parliamo di mesi di lavorazioni, anche perchè dell’originale poche parti si erano salvate dal continuo stato di deterioramento” conclude Banchero.

Due fratelli in fuga dalla guerra

Ai giorni d’oggi, tra millenials e generazione Z, anime perse dentro smartphone e tablet, si fatica a immaginare scampoli di vita quotidiana di secoli fa. E allora, proviamo a immergerci con la fantasia dentro un mondo fatto di minuscoli borghi, prati per il pascolo, stalle, fienili, soldati e battaglie. Scritto in tal modo sembra l’incipit di un romanzo di cappa e spada, tra il Capitano Alatriste e Giovanni delle Bande Nere. Invece, siamo nel 1713, secolo di lumi e di guerre. Hugo Esteban e Juan Joaquin Santamaria sono due mercenari al soldo dell’esercito austro–ungarico. Non si sa come, ma si ritrovano nei pressi dei monti che abbracciano il Borbera. La storia narra che i due fratelli si rifiutarono di fucilare alcuni abitanti del luogo, si tolsero la divisa e disertarono. In quel gruppetto di case sopra Albera vengono ben accolti e, vista la loro esperienza nella terra natia, decidono di iniziare a gestire il mulino. Oltre che dare il loro cognome al piccolo villaggio fatto in gran parte di pietre a vista. A fianco alle pale che ruotano senza sosta, la loro casa. La famiglia Santamaria, gli eredi di Hugo e Juan, hanno gestito la struttura sino al 1980. Un tocco leggendario in un racconto locale. Introduzione romantica, che ci riporta all’attualità. A questo gioiello che si incontra a poche curve dalla strada maestra, la Provinciale 140 che si inerpica verso Cabella.

Storia e memoria

“L’attuale struttura” ci racconta con orgoglio il Sindaco di Albera, Renato Lovotti, “risale a inizio Ottocento. Non era il primo, a dire il vero. Infatti, abbiamo la conferma da fonti storiche che, sempre nei pressi di Santa Maria, esisteva già un primo mulino, quello detto del Pomasso, in epoca medioevale. Purtroppo, un crollo non ci ha permesso di mantenerlo in vita e ora rimangono solo le tracce delle fondamenta del vecchio edificio”. Il Mulino Maletto, come tutti lo conoscono da queste parti, rappresenta una preziosa testimonianza di cultura ligure-montana, tipica del territorio appenninico della val Borbera. Una cultura basata sui valori del risparmio e del reimpiego. Si faceva con quel che si aveva. Un motto, se così si può chiamare, di una popolazione che abitava questi crinali, la cui vita era scandita dalla quotidianità del lavoro nei campi e dalle stagioni. Dal raccolto dell’erba a quello della legna per scaldarsi, dall’allevamento del bestiame a quello del grano. Quest’ultimo portato poi a macinare tra quelle pale che ancora oggi raffigurano un’era ormai tramontata da tempo. “Quando ero giovane” prosegue il Primo cittadino “lo ricordo in funzione. Noi ragazzini caricavamo il grano sulle schiene dei buoi e andavamo a Santa Maria per trasformare il raccolto in pane”. La decadenza e il progresso non risparmiano nemmeno il Maletto. “Qualche tempo dopo la scomparsa dell’ultimo mugnaio, l’Amministrazione comunale ha deciso di acquistare l’edificio. L’intenzione era ed è quella di mantenerlo nel migliore dei modi per testimoniare la storia della nostra civiltà. Il mulino è nelle condizioni di produrre sia grano che grano turco e, infatti, durante la Festa del Pane lavora. Il problema è un altro e si chiama acqua”. Siccità. Torrenti in secca che mettono in ginocchio coltivazioni su coltivazioni. Oltre che una giornata davvero particolare, che si svolge da oltre vent’anni verso fine agosto proprio tra queste piccole stradine di montagna, a ridosso del torrente Albirola. “La Festa del Pane” prosegue Renato Lovotti è una manifestazione unica, che mette in risalto non solo il mulino, ma tutta Santa Maria. Un paesino che fa invidia a molti altri borghi, realizzato in legno e antiche pietre. Peccato che la crisi idrica ci permetta a malapena di far girare gli ingranaggi del mulino nel giorno di festa”. E se non si riesce a rimettere in moto la macchina, almeno si lotta per la sua manutenzione. Il Comune di Albera aveva partecipato a un bando emanato dal GAL per rifare il tetto e sistemare la pavimentazione, sempre seguendo i criteri dell’originale. “E renderla visitabile da tutti, scolaresche, gruppi organizzati o semplici appassionati di edifici antichi. Le due macine in pietra, i materiali lignei, l’essicatoio a soffitto per le castagne, sono tutti particolari unici che meritano una visita. Senza dimenticare le piastrelle, realizzate dal compianto Giovanni Grasso, artista e pittore di Albera. E se il Mulino gode di buona salute” conclude il Sindaco “il merito è anche dei miei predecessori che si sono sempre impegnati per mantenerlo tirato a lucido come appare ai giorni nostri”. 

Articolo realizzato in collaborazione con “Panorama di Novi”

Un pensiero su “Il Mulino di Santa Maria

  • Lorenza Grasso

    Come sempre articolo bello ed esauriente. Grazie della citazionee un caro saluto. Dulli

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