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Una valle, una passione, un sogno: conversazione con Luigi Mignacco.

Il protagonista mette subito, bonariamente, in guardia. «Stai attento, sono un chiacchierone». E menomale, occorre aggiungere, considerato che molti si prestano al racconto, salvo poi dimenticarsi storie e passaggi fondamentali. Il protagonista è un eterno ragazzo che abita Milano da tempo, senza mai essersi dimenticato le sue radici. Il protagonista è Luigi Mignacco da Cabella e per chi scrive è un signore dallo sguardo sorridente e dalla barba folta che ricorda sin da bambino, perché amico di famiglia. La telefonata, o meglio dire, il racconto, verte su una vita dove il classico sogno nel cassetto da quel cassetto ci è uscito alla grande e si è trasformato in certezza. Realtà da toccare con mano, sfogliando pagine e pagine di riviste e albi. Ed è un “peccato”, il protagonista non ce ne voglia, che la conversazione non si sia ampliata a quella val Borbera che abbiamo in comune. Qualche minuto a parlare di Resistenza, di racconti di famiglia in apertura e di storie lontane in chiusura, prima dell’arrivederci. Chissà, forse puo’ essere lo spunto per un’altra pagina sul nostro sito?

Spesso e volentieri, quando si “intervista” un personaggio si crea una sorta di ping pong. Domande e risposte in battuta. Luigi, lo dice lui stesso, “chiacchiera” e ha memoria di ferro e allora viene da chiedersi perché aggiungere troppi intercalare, quando la scena è una sola e non dobbiamo perderci neanche un passaggio.

Luigi Mignacco in posa con i suoi personaggi

Sono un ragazzo della val Borbera. Radici tra Cantalupo e Cabella, ma in quest’ultima ho passato gran parte della mia vita. Le scuole e poi al Liceo Classico di Novi, sempre con la passione per la letteratura e i fumetti. Leggere, tanto, e scrivere. In quegli anni, il fumetto aveva già ricevuto una sorta di riconoscimento culturale, uscendo da quel cono d’ombra nel quale veniva considerato lettura minore.

Uno stop per contestualizzare. Anni Settanta, provincia d’Italia. Due soli canali tv, cinema di tanto in tanto, mentre computer e smartphone erano parole aliene o quasi. Eccezion fatta per le uscite al bar, jukebox e bibita, i giovani di allora si dedicavano famelici ai personaggi che uscivano dalle penne di grandi disegnatori. Strip e storie per tutti i gusti.

«Tutti leggevano il fumetto, adulti e ragazzi. Sul primo numero di Linus, per esempio, appare un’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini dedicata a Charlie Brown. E pensare che negli anni Cinquanta era contestato dalla cultura ufficiale». In molti li leggono per svago. Luigi per una passione che diventa fuoco dentro. «Il sogno era quello di diventare scrittore, ma non come Calvino o Moravia, tanto per citare due giganti. Mi piacevano molto i gialli, i fantasy, la fantascienza. E cercavo libri di quei generi. Un problema solo e non di poco conto. Come fare a farne un “vero” lavoro?». Il paragone con l’America non regge. L’Italia è una piccola isola provinciale, se rapportata agli States.

Le riviste pulp andavano di moda già negli anni Trenta. Qui da noi era roba di nicchia. Nel frattempo, anche grazie al professor Alberto Pedemonte, mio insegnante di lettere al classico, scrivere continuava a piacermi. Mi rendevo conto di quanto i libri ti dessero la capacità e la percezione di vivere altre vite. Abitare altri universi. Dare spazio a una fantasia senza limiti. E allora, abbandonata l’idea di unire la scrittura al disegno, mi sono concentrato sulla prima.

Luigi si iscrive alla Facoltà di Lettere a Firenze. «E, intanto, continuo a leggere fumetti. Tra i tanti magazine, Lanciostory era tra le mie preferite. Anche perché noto che il direttore Stelio Rizzo, nella sua pagina di posta, è solito rispondere ai lettori che gli propongono nuove storie da loro ideate». Vale la pena provarci. «Penso a qualche racconto breve e li invio. Quasi in maniera disinteressata, ingenua, come se non ci sperassi più di tanto». Invece. «Invece, un giorno il telefono di casa a Cabella squilla e, dall’altro capo del filo, il direttore stesso mi diceva di aver letto tutto e mi proponeva una sceneggiatura». Trasformare il racconto in soggetto per il disegnatore. «Mi chiese se ero capace e lo ero. E sai perché? Perché su «Il Messaggero dei ragazzi» uno degli autori aveva creato quello che oggi chiameremmo tutorial per spiegare, passo dopo passo, come elaborare una sceneggiatura di fumetti».

Mister No, altro grande successo del nostro protagonista

Luigi non se lo immagina, ma quelle 15 pagine escono, d’estate, proprio su quella rivista.

Nemmeno li avevo chiamati per sapere cosa ne pensassero. Però ricordo benissimo che uscì il giorno della patronale di Cantalupo. La Madonna del Carmine, il che significava pranzo in famiglia dai parenti. E mio zio Cornelio, grande lettore di Lanciostory, si vantò tantissimo di quella pubblicazione realizzata dal nipote.

Nel giorno della processione, il 16 luglio, tra i monti che abbracciano una vallata unica, parte tutto. La prima pubblicazione. Serie, fino a oggi, ben lontana dal concludersi.

Infatti, continuo a scrivere per loro per qualche anno. Intanto, tramite amici novesi vengo a sapere che a Genova esisteva un’agenzia che produceva storie per Topolino: si chiamava Staff di If. Mi presento alla loro sede, un appartamento in via Montaldo. Il direttore dell’agenzia era, ed è tuttora, Gianni Bono, già organizzatore delle Tre giornate del fumetto di Genova. Una manifestazione che si teneva una decina d’anni prima. Ero solito andarci con i miei fratelli, ci portava nostro padre. Fu con Gianni Bono che cominciai a realizzare racconti per la Disney, pubblicate da Mondadori.

Siamo negli anni Ottanta e il fumetto si smarca in maniera definitiva dalla sua accezione commerciale per elevarsi a letteratura autoriale. Uno degli ideologi di questo cambiamento si chiama Luigi Bernardi, direttore ed editore di “Orient Express”. Non solo grandi artisti come firme delle “strip”. Occorre aumentare la platea degli sceneggiatori. «Mi reco a Bologna, presso la loro sede per proporre una storia che prende spunto dagli hard boiled del grande Dashiell Hammett. Il racconto di un investigatore senza nome. Un’ottima idea, visto che è stata pubblicata e tradotta, in seguito, in vari Paesi».

Dylan Dog, da quarant’anni un’icona del fumetto italiano

Come in tutte le storie che si rispettino, interviene un inatteso momento di crisi. Non di Luigi, sempre pronto a mettersi in gioco con nuovi script. Orient Express chiude e «mi trovo senza lavoro. Non mi abbatto e continuo a cercare altri editori». Uno in particolare si trova a Milano, in via Buonarroti numero 38. Sergio Bonelli. «E ad aprirmi la porta è lui in persona. Bonelli raccontava che, tra le tante cose, talvolta era lui stesso a introdurre gli ospiti nella sua redazione. Posso testimoniare che è vero». Sono in cerca di nuovi autori e il ragazzo di Cabella si propone. «Non è stato facile. Non mi hanno preso subito, anzi. Ogni soggetto che portavo a Decio Canzio – direttore della casa editrice e “braccio destro” di Sergio Bonelli – veniva respinto». Sempre, particolare da non scordare, con una sorta di pacca sulla spalla. «Mi ripeteva sempre di non arrendermi e continuare». E infatti, un giorno, fu proprio Sergio a ripescare uno dei tanti soggetti che Luigi gli aveva consegnato.

Da grande appassionato di Mister No, mi ero propostodi raccontare la sua giovinezza. Me lo ero immaginato come un giovaneamericano che si era arruolatonelle Tigri Volanti, i piloti d’aviazione volontariamericani che nel 1940 combattevano al fianco dei cinesi contro l’esercito giapponese. Un ragazzo coraggioso e un po’ incosciente che, posto di fronte al dramma reale della guerra, diventa un convinto pacifista. Quattro albi. Un lavoro enorme, ma che mi apre le porte della Bonelli.

Una raccolta di opere di Luigi Mignacco. Spicca il romanzo “Le ondine perdute” scritto insieme alla moglie Roberta Cordani

La fase giovanile, se possiamo chiamarla in tal modo, finisce. Nel mentre, piccola digressione, il “nostro” si diletta anche nella stesura di una commedia teatrale dialettale che a Cantalupo e dintori ancora ricordano. La foa du tubo. Intanto, il sogno di diventare scrittore pulp, coltivato tra i banchi di scuola, si realizza. Da Mister No è tutto un fiorire di personaggi di prim’ordine del panorama fumettistico nazionale. «Così arrivai alla porta di Tiziano Sclavi e del suo Dylan Dog. Sclavi aveva letto La giovinezza di Mister No e ne era rimasto colpito». E dire che Dylan Dog era un progetto particolare, per il quale non molti si sarebbero aspettati un boom tale da rilanciare la scena del fumetto italiano. Negli anni Novanta, la passione riesplode.

Tutt’ora scrivo per Dylan Dog. Sto ultimando una storia che sarà pubblicata fra quelle che celebrano il quarantesimo compleanno di questa icona dei comics. Dopo Dylan ho scritto anche per il Martin Mystére di Alfredo Castelli, sceneggiatore principale del Corriere dei Ragazzi. E poi Zagor, Legs, Nick Raider, Dampyr. Tanti personaggi bonelliani, quasi tutti, fino a Tex, il capostipite della casa editrice e tuttora il best seller. Ho creato anche protagonisti miei, come Robinson Art, poliziotto della polizia temporale che viaggiava nel tempo, cercando di cambiare la storia di alcuni personaggi. E qualche graphic novel, come Keller, noir ambientato durante il proibizionismo americano.

Una vignetta tratta da “Dampyr – Valle di Tenebra”, uscito nel 2016. Testi di Luigi Mignacco, disegni di Andrea Del Campo, personaggio da Mauro Boselli & Maurizio Colombo (Sergio Bonelli Editore). La piazza raffigurata rappresenta qualcosa di familiare per il nostro intervistato.

Luigi è, lo abbiamo detto, valborberino a tutti gli effetti. Eppure, possibile che non via sia mai un riferimento alle sue origini, nella sua lunghissima carriera nel mondo autoriale? «Non sono autobiografico, anche se qualche elemento, qua e la tra le mie storie, esiste. In Keller, per esempio, o in Mister No, il quale viveva sì a Manaus, città immensa addormentata tra le sponde del Rio delle Amazzoni, ma in certe dinamiche, tipo la vita al bar, era raccontata come fosse un paesino sperduto, ma molto vivo. Cabella, insomma. Come quella inquietante “Valle di tenebra” italiana che narro in una storia di Dampyr pubblicata nel 2016. Non è la val Borbera, ma è chiaramente ispirata alla nostra amata valle». A partire dall’ambientazione partigiana, rimando che apre e chiude la nostra conversazione.

Il bello del mio mestiere è che, rimandi alle proprie radici o meno, hai la possibilità di lavorare dove vuoi e creare infiniti tipi di mondi alternativi. Lo smart working è diventata moda durante il Covid, ma noi già negli Ottanta scrivevamo dai nostri paesini, per poi spedire tutto via posta. Io sono l’eccezione, perché per lavoro e per amore, mi sono trasferito a Milano. Eppure, tra i vari ambienti descritti nel mio romanzo «Le ondine perdute» uno sembra fatto apposta per ricalcare la val Borbera. E sai una cosa? – chiude il nostro amico “chiaccherone”, per usare una sua auto citazione – il merito è tutto di mia moglie e coautrice, Roberta Cordani, che è rimasta affascinata dalla nostra valle. Te lo dicevo che non sono autobiografico….

Sempre Dampyr, sempre richiami alla val Borbera (Sergio Bonelli Editore)

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