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RITIRATA DI RUSSIA, ARMIR – I serravallesi nella campagna di Russia

Nel corso degli anni molti studi hanno rilevato la complessiva inadeguatezza con cui l’esercito fascista affrontò la Seconda guerra mondiale. Un quadro per certi aspetti catastrofico, dove tuttavia diverse cose funzionarono a dovere: tra esse bisogna sicuramente annoverare il servizio di censura postale.
Non ci si lasci condizionare dal nome. Oltre al compito di tirare macabre righe nere sulle frasi dei corrispondenti il servizio, diffuso capillarmente in tutte le province italiane, aveva anche un altro e probabilmente ancor più importante compito: garantire un rapido ed efficiente inoltre delle corrispondenze tra i militari al fronte e i loro familiari e amici.

L’arrivo della corrispondenza, in un mondo senza telefoni e strumenti digitali, era l’unico momento di contatto tra soldati e familiari e rappresentava uno strumento indispensabile per tenere alto il morale delle truppe e rassicurare il “fronte interno” sulla buona condizione degli italiani in armi.
Anche il servizio postale con le truppe sul fronte russo fu particolarmente curato: in pochissimi giorni le corrispondenze arrivavano a destinazione offrendo una sensazione di grande efficienza.
Fu proprio l’improvviso inceppamento del perfetto meccanismo postale da e verso il fronte russo a rivelare che qualcosa di terribile era accaduto. Nella seconda metà di gennaio 1943 i parenti dei soldati al fronte che non avevano più notizie dei loro cari iniziarono a chiedere alle altre famiglie se avevano ricevuto lettere e cartoline postali.  In pochi giorni ci si rende drammaticamente conto che nessuno ha più ricevuto posta, segno inequivocabile della tragedia che si stava compiendo a migliaia di chilometri di distanza:

“Il mancato arrivo per diversi giorni di posta dalla Russia ‑ scrisse nel gennaio 1943 il capo dell’ufficio censura postale di Alessandria Richard ‑ ha gettato nella costernazione molte famiglie. [ … ] Qualcuno riferisce le voci diffondentesi che il Russia parecchie divisioni italiane siano state accerchiate (Daniele Borioli, Roberto Botta, Civili, militari e fascisti di fronte al conflitto negli atti della Commissione censura postale di Alessandria)

In effetti il 12 gennaio 1943 era iniziata una delle più tragiche pagine nella storia della seconda guerra mondiale: la cosiddetta ritirata di Russia.

Anche la spedizione militare per attaccare l’Unione sovietica era iniziata all’insegna dell’approssimazione, scontando l’impreparazione dell’esercito e dei suoi comandi.
Organizzata in fretta e furia e, come quasi sempre accadde, a “rimorchio” delle decisione tedesche,  L’ARMIR, l’Armata Italiana in Russia, era formata per la stragrande maggioranza da truppe alpine, forse le più equipaggiate per affrontare le rigide temperature russe ma inadeguate per armamento e preparazione alla guerra negli spazi  aperti delle sconfinate steppe.

Inviati sul fronte russo nel luglio 1942 le truppe italiane vennero schierate a difesa del fronte del Don e furono subito impegnate in battaglia. I successivi mesi autunnali trascorsero abbastanza tranquilli, ma con l’arrivo dell’inverno l’esercito sovietico scatenò una vasta controffensiva con continui assalti in diversi settori del fronte.
Il 12 gennaio 1943 l’Armata rossa sferrò l’attacco finale contro le forze ungheresi, tedesche  e italiane che non ressero all’attacco e dopo pochi giorni, giovedì 17 gennaio 1943, arrivò l’ordine di ritirata.
Le truppe italiane, abbandonate a se stesse, affrontarono  una lunga marcia nella steppa in condizioni estreme, percorrendo centinaia di chilometri quasi sempre a piedi con temperature di molti gradi sotto lo zero.
Fu una sciagura immane. L’Armir al momento della ritirata contava su 229.000 effettivi tra ufficiali e soldati; durante la ritirata morirono, furono dichiarati dispersi o prigionieri tra gli 85.000 e i 95.000 uomini, poco meno della metà degli effettivi. La stessa imprecisione delle cifre, destinate a diventare sempre maggiori mano a mano che si rendono disponibili nuovi fondi archivistici,  è un chiaro segno dell’enormità della tragedia. 

Nel gelo della steppa e pressati continuamente dagli attacchi sovietici, i soldati italiani più fortunati e intraprendenti riuscirono a sopravvivere grazie all’aiuto ricevuto dai contadini russi, e quindi grazie alla solidarietà umana più forte della guerra e delle ideologie. La loro marcia durò settimane, in alcuni casi mesi, e solo alla fine di marzo iniziarono i primi rimpatri verso l’Italia. Almeno 30.000 tra i soldati sopravissuti erano feriti oppure vittime di congelamenti  spesso piuttosto gravi.

Il Piemonte, terra di ferma alpina, fu tra le regioni  più segnate dalla catastrofe della spedizione in Russia. Secondo i numeri proposti dalla Regione Piemonte in una pubblicazione del 2019 la provincia con il maggior numero di perdite fu quella di Cuneo, con 5.894 caduti e dispersi, seguita da Alessandria, 1.491 caduti e dispersi.
Secondo un’altra pubblicazione di qualche anno precedente, curata dal Gruppo Alpini di Novi Ligure, i caduti e i dispersi della provincia di Alessandria furono 1.526, rimarcando ancora una volta la già segnalata impossibilità di indicare cifre precise e, soprattutto, definitive di quel dramma (si veda negli approfondimenti).

Anche i numeri relativi ai serravallesi vittime della guerra in Russia sono a tutt’oggi difficili da definire. Grazie alla ricerca svolta da Filippo Bertone e sintetizzata nella tabella consultabile a questo link, sono stati sino ad oggi censiti 19 tra caduti e dispersi, 17 residenti a Serravalle e 2 nati a Serravalle ma residenti fuori città. Tuttavia l’ultimo nominativo è stato rintracciato proprio nel gennaio 2021 in occasione della pubblicazione di questi  articoli, a riprova di una ricerca ancora in divenire, forse non definitiva nei suoi numeri complessivi, sicuramente da completare riguardo alle storie e alle biografie dei caduti e dei dispersi.

Grazie a un significativo lavoro di ricerca condotto su diversi archivi abbiamo dunque  potuto pubblicare su questo sito le informazioni biografiche sintetiche di 19 caduti e dispersi, resta tuttavia da realizzare una ricerca con l’obiettivo di definire il numero complessivo dei militari serravallesi impegnati sul fronte russo e di ricostruire le loro biografie.
Esiste, insomma, ancora una volta, un problema relativo al recupero della memoria.  C’è una memoria istituzionale da onorare al meglio, c’è una memoria delle singole persone da recuperare e riportare alla luce.

I serravallesi partiti per la Russia furono sicuramente decine e dovettero affrontare una lunga e teribile odissea destinata a lasciare segni profondi nelle loro anime e nei loro corpi. Alcune di queste storie furono tragiche e dolorosissime, come quella  di Armando Bisio, fratello di Mario, il “mitico “Giorgetti, il quale “al rientro in paese dalla ritirata di Russia esce di senno” e viene ricoverato all’Ospedale psichiatrico di Alessandria.

La possibilità di consultare nuovi fondi archivistici, resisi disponibili negli ultimi, anni, ci potrà sicuramente aiutare a rievocare i loro nomi, ma esiste anche una memoria familiare alla quale è importante e doveroso attingere. Queste righe rappresentano perciò anche un invito rivolto a chi ci legge: se un vostro genitore, un nonno o uno zio, un parente, un conoscente, ha vissuto quella tragica esperienza segnalatecelo, e se avete documentazione, fotografie, cimeli, se avete raccolto la loro storia, riproponetela su questo sito, oppure chiedeteci di aiutarvi a raccontarla. Si tratta di un doveroso omaggio al quale dedichiamo e dedicheremo il nostro impegno.

Il  primo tassello di questa biografia collettiva lo colloca Emma Bricola proponendoci in forma di racconto la storia di suo papà Carletto, il soldato che odiava la guerra e amava la musica.
Carletto, nato a Zerbette di Gavi nel 1916 e vissuto per moltissimi anni a Serravalle con la famiglia, era un uomo mite, “odiava le armi e solo il pensiero di dover sparare a qualcuno gli dava nausea”: il regime fascista gli regalò sette anni di ferma militare culminati nel dramma della ritirata nella steppa russa. Il racconto è la storia-simbolo di uno dei tanti italiani mandati a combattere una guerra che non volevano e non condividevano, un doveroso omaggio a tutti i 229.000 soldati inviati in Russia, un grido contro la guerra e la violenza dell’uomo sull’uomo.
L’augurio è di poter leggere presto altre storie e altre biografie.

Serravalle. Monumento ai caduti, particolare

Esiste poi la necessità, dicevamo, di recuperare e restituire miglior dignità  anche alla memoria istituzionale. Sulle lapidi poste intorno al Monumento ai Caduti compiono i nomi dei serravallesi caduti e dispersi in Russia, o meglio di alcuni di loro: sì, perché possiamo leggere  i nomi di 10 caduti solamente. Nomi e cognomi e nulla più, nessuna indicazione di quando, dove  e in che circostanza hanno perso la vita. E’ una ferita da sanare e bisognerà trovare le forme e i modi per farlo.

Le Aie, o Piazza del Monumento: la sua denominazione toponomastica non è quella ma tutti la chiamano così perché quella piazza è per Serravalle il luogo della memoria per antonomasia, quello a cui più di ogni altro è demandato il compito di tramandare il ricordo della guerra e della sua assurdità. Sui lati del basamento, e su altre lapidi che lo completano, sono scolpiti i nomi dei caduti della prima guerra mondiale, dei caduti del secondo conflitto, dei partigiani. Ma gli elenchi sono incompleti, sistemati con una logica difficile da comprendere. Nomi e cognomi ormai si riconoscono appena, nonostante interventi di restauro anche recenti, ancora una volta sconfitti, anche dal traffico e dagli agenti atmosferici.
Quel monumento, il cui compito è di custodire e trasmettere la memoria, non “parla” più ai cittadini del terzo millennio. E’ tempo dunque di trovare nuove forme per trasmettere e ricordare la nostra storia, modalità di divulgazione capaci di coniugare la funzione dei luoghi della memoria con le risorse informatiche. Non è questione di poca importanza, perché la memoria è uno dei tratti essenziali della democrazia. E’ un tema sul quale Chieketè intende sicuramente lavorare con passione e attenzione, poiché questa è la sua filosofia e il suo campo d’azione.





Il maggior contributo di ricerca relativo alla vicenda dei soldati piemontesi nel corso della campagna e della ritirata di Russia è sicuramente quello offerto con libri, conferenze, presenza militante, da Nuto Revelli. Tra le diverse pubblicazioni da lui dedicate alla campagna di Russia, a cui partecipò come ufficiale degli alpini, bisogna sicuramente ricordare, e consigliare per la lettura, La guerra dei poveri (Torino, Einaudi, in svariate edizioni).


In rete sono reperibili moltissimi filmati dedicati alla campagna e alla ritirata di Russia. Abbiamo scelto di proporne, tra i tanti, uno piuttosto breve: forse non è molto “professionale”, ma propone immagini e sequenze video eloquenti e drammatiche accompagnate da citazioni tratte di uno dei più significativi romanzi scritti da un protagonista: Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern.

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