Associazionismo e volontariatoBanda Pippo BagnascoEnciclopedia

Saggio dedicato alla banda “Pippo Bagnasco

1.

Sarebbe stato bello, e utile per la memoria della comunità serravallese, riuscire qui a ripercorrere, se non la storia, almeno i tratti salienti del percorso ultracentenario della banda musicale serravallese. Ma non ci sono i documenti per farlo, non sono state raccolte per tempo le testimonianze orali dei più anziani componenti del complesso: mancano, in buona sostanza, le fonti necessarie per tracciare quella storia.

            Eppure ripercorrere la vicenda della banda musicale di Serravalle Scrivia consentirebbe anche di indagare la storia del paese dall’Unità ad oggi, dei suoi mutamenti, delle sue tradizioni, del suo rapporto con la religione e con le ricorrenze civili, delle forme dell’acculturazione di massa di cui questo straordinario “serbatoio” di formazione musicale rappresenta un significativo esempio.

Ma forse non è del tutto corretto denunciare l’assenza di fonti. Certo, le voci e le testimonianze dei più anziani sono andate irrimediabilmente perdute, ma c’è la voce di chi è ancora in vita, i cui ricordi possono spingersi anche al di là della loro generazione; e poi ci sono gli Archivi Comunale e Parrocchiale da esaminare con attenzione; ci sono i piccoli ma preziosi archivi privati e i cassetti pieni di foto; ci potrebbero essere i diari e le lettere. Si tratta, prima ancora di trovarli, di prendere coscienza della loro importanza, di comprendere che la vicenda della banda può illuminare, per la sua costante presenza sulla “scena” cittadina, la storia di un paese che sta rischiando di perdere la memoria di sé, dimenticando e negando una storia ricca e complessa.

Con queste pagine vorrei allora tentare di focalizzare quale è il ruolo di una banda in un paese, come si intreccia con la storia del territorio su cui agisce, come ne rappresenta lo spirito e i sentimenti. E tenterò di soffermarmi con dei “flash” su quei momenti della sua storia rispetto ai quali a volte una foto, a volte una piccola raccolta documentaria, possono offrire inaspettate linee interpretativa.

2.

Non sono molte le fotografie rimaste a documentare la storia della banda serravallese nei primi novant’anni della sua vita, o almeno non sono molte quelle conservate presso la sede sociale, ed è un po’ strano per un’associazione attiva con continuità, sia pure tra alterne vicende, da centocinquanta anni. Sono convinto ce ne siano molte “nascoste” in quale casa o in qualche cantina, e sarebbe bello se questa pubblicazione contribuirà a riportarle alla luce.

La banda di Serravalle a Montespineto (1939 ca)

Dunque, questa foto. Al contrario di quasi tutte le immagini disponibili per i primi decenni di vita della Banda, non è una fotografia “ufficiale”, ma la testimonianza, probabilmente, di un momento di socialità; forse un pranzo, forse una gita “fuori porta”, forse la partecipazione un poco estemporanea a qualche festa presso il Santuario. A indicarla c’è unicamente la data, e dunque si possono fare solo congetture sull’occasione in cui venne scattata. Però, proprio per il suoi carattere informale, essa ci rivela alcuni tratti caratteristici della banda serravallese che ritroveremo, ricorrenti, nel tempo.

Nella foto sono ritratti una ventina di musicisti: la loro età è molto varia, uno di loro sembra piuttosto anziano, alcuni componenti possono avere tra i quaranta e cinquant’anni; la maggioranza sono giovani uomini intorno ai trent’anni, e poi ci sono alcuni ragazzi, con il loro strumento d’ordinanza. E’, questo, il primo elemento caratteristico della nostra banda e rappresenta uno dei segni distintivi della tradizione bandistica italiana: quello di essere un veicolo estremamente importante per l’incontro tra le generazioni e la trasmissione della memoria. Non è solo l’amore per la musica e per gli strumenti che si trasferisce da una generazione all’altra (e già questo è merito non indifferente in una nazione assai disattenta, a livello scolastico, all’insegnamento musicale) ma è anche la memoria condivisa; in Banda si raccontano storie e si racconta la storia, si fraternizza con persone di generazioni diverse dalla propria. E’, questa, una funzione ancora attualissima:

“Il Gein era un personaggio spassosissimo. – ricorda l’attuale clarinettista della banda Enrico Grosso – Aveva una memoria vivida, lucidissima, raccontava sempre della sua Campagna d’Africa, a differenza invece di mio nonno che partecipò anche lui alla spedizione in Etiopia del 1936 ma aveva un po’ rimosso, parlava con entusiasmo dei paesi, delle donne a seno nudo incontrate, di come erano fatte le capanne; aveva ancora impresse, dopo quasi cinquant’anni, le immagini dei villaggi che descriveva con dovizia di particolari”.

La Banda acquista in questo modo anche un ruolo di coesione sociale, destinato ad ampliarsi ancora in tempi recenti quando nell’organico faranno finalmente ingresso alcune ragazze, rompendo quella caratteristica di universo maschile mantenuta dal complesso musicale per più di cent’anni.

Nella foto di Monte Spineto compaiono anche diversi bambini piuttosto piccoli, sicuramente figli, o nipoti, dei musicisti. La banda è dunque anche luogo di socialità,  intorno ad essa si sviluppavano legami familiari e di amicizia spesso molto solidi e duraturi.

Conviene infine soffermarci su un altro elemento leggibile in questa fotografia. Nonostante si tratti di una occasione informale, molti musicisti fanno bella mostra della loro divisa, chi la indossa per intero, chi il solo cappello. Un segno certo di appartenenza, ma anche l’indizio che la banda, nonostante il difficile momento (siamo alla vigilia della guerra, e probabilmente alcuni componenti sono assenti perché sotto le armi), riesce a mantenere una solida struttura e una buona capacità organizzativa. possiamo dunque pensare che la Banda, pur con molti alti e bassi, continua senza interruzione a “suonare” e a fare attività pubblica dal momento della sua fondazione ad oggi.

Insomma, questa fotografia, nella sua semplicità, ci dice molte cose  riguardo al corpo bandistico serravallese: esso si  caratterizza come una delle principali associazioni ricreative e culturali del paese; è testimone e protagonista della storia sociale, politica e religiosa di Serravalle;  contribuisce a mantenere viva un’identità sempre più destinata a smarrirsi.  Rappresenta dunque un punto di osservazione privilegiato sulla storia della comunità serravallese, e ne riflette, almeno in parte, le modificazioni sociali che l’hanno investita nel corso dei decenni. Ecco perché sarebbe assai importante poterne ricostruire la storia, perché l‘analisi delle sue vicende ci potrebbe aiutare a capire anche la storia della comunità serravallese nel suo complesso.

Di questo percorso qui possiamo solo cercare di tracciare alcune tappe utilizzando, insieme alle poche fonti disponibili,  anche l’unico fondo archivistico cospicuo di cui si dispone e  sinora del tutto ignorato: il ragguardevole deposito di libretti e partiture, viva testimonianza di un’attività intensa e multiforme.

3.

Il primo accenno “ufficiale” alla banda serravallese lo troviamo in un verbale della seduta del Consiglio Comunale del 19 ottobre 1863. In quell’occasione viene discussa l’istanza del Consigliere Rebora “di dare un qualche sussidio alla Banda Musicale” mediante “l’acquisto per uso della medesima di un Pelittone” (uno strumento, il cui nome deriva dalla ditta produttrice “Pelitti”, corrispondente all’odierno bassotuba, di notevole importanza poiché ad esso veniva affidata la principale sezione di accompagnamento delle esecuzioni).

La Banda, dunque, in quell’anno già esiste, anche se probabilmente da poco tempo, e cerca di darsi una struttura più definita attraverso l’acquisto di uno strumento fondamentale e costoso, indispensabile per completare la propria dotazione.

La proposta di Rebora viene accolta “pienamente”, e il Consiglio stanzia la somma di lire 160 per l’acquisto dello strumento. Si tratta, per l’epoca, di una cifra consistente (utilizzando una “Tabella di rivalutazione monetaria”  possiamo ricondurre quella somma al suo valore odierno: circa 800 euro). La concessione di un simile contributo indica che la Banda è con ogni probabilità già attiva, il suo ruolo riconosciuto, e la sua richiesta di organizzarsi “pienamente” condivisa dal Consiglio Comunale.

Al momento dell’Unità d’Italia a Serravalle Scrivia è dunque già attiva una Banda Musicale il cui prestigio è destinato a crescere nel volgere di pochi anni, come ci dimostra un altro “flash” documentario di cui disponiamo. Nel 1873 si svolge a Torre Ratti, una frazione del Comune di Borghetto Borbera, un Convegno zeppo di autorità ed esperti per discutere i progetti costruttivi della nuova strada destinata ad unire Serravalle Scrivia all’Alta Val Borbera: all’epoca è una direttrice viaria indispensabile per rafforzare il legame tra la Valle, allora assai popolata e piuttosto rilevante economicamente, e Serravalle, importante località di scambio e di commercio sia per i paesi della Val Borbera sia per quelli della Val Lemme (nell’ottocento oltre al mercato tradizionale del martedì, in città si tiene quasi quotidianamente attività di commercio ambulante legato all’attività agricola). Il servizio musicale per l’occasione viene affidato proprio alla banda serravallese, a testimonianza della sua importanza anche fuori dei confini municipali e, probabilmente, del fatto che si tratta dell’unico complesso allora esistente in zona.

La data di fondazione della Banda di Serravalle Scrivia è in effetti piuttosto precoce: basta pensare che in un paese “gemello” come Arquata Scrivia si dovrà attendere sino al 1929 per  vedere la fondazione di un complesso musicale cittadino.

Vale la pena provare a offrire qualche spiegazione, o meglio, ad avanzare qualche ipotesi, riguardo alle ragioni che consentirono a un paese di soli 4.000 abitanti di disporre di un complesso musicale destinato a sopravvivere senza interruzioni sino ai giorni nostri.

Un fattore determinante potrebbe essere proprio la vocazione e il ruolo commerciale di Serravalle di cui si è appena detto. Grazie ad esso Serravalle è aperta al nuovo, ha facilmente contatti con l’esterno e ciò favorisce l’arrivo delle “novità” dell’epoca, comprese evidentemente quelle di carattere musicale.

Inoltre commercio significa anche maggior abitudine alla scrittura, alla lettura e al fare di conto. Non bisogna dimenticare che al momento dell’Unificazione italiana il tasso di analfabetismo in Italia è pari al 78 per cento. Anche in Regioni in cui le cose vanno meglio, come il Piemonte, si raggiunge un tasso del 57 per cento. A Serravalle Scrivia con ogni probabilità la situazione è ancora migliore proprio in relazione alle necessità “economiche” legate alle attività commerciali così diffuse in paese, le quali imponevano a chi le svolgeva di padroneggiare lettere e numeri. Una maggior anche se rudimentale frequentazione con la pagina scritta rappresenta una condizione di vantaggio anche per chi ha l’occasione di accostarsi alle partiture e per “riuscire” a leggere la musica e iniziare quindi l’apprendistato in banda.

Un altro motivo fu sicuramente la presenza a Serravalle, già in epoca preunitaria, di una guarnigione della Guardia Nazionale con al seguito una propria Banda musicale. In un’epoca in cui non sono rare le occasioni per ascoltare musica, se non nei teatri riservati a un pubblico colto e benestante, l’arrivo del complesso della Guardia Nazionale dovette rappresentare un evento rilevante per il paese.

Proviamo a immaginare cosa può essere successo a Serravalle con l’insediamento di una Banda militare stabile. Per la prima volta anche le classi meno abbienti possono ascoltare musica in occasioni pubbliche, possono scoprire il fascino delle esecuzione dal vivo, arie di cui hanno forse sentito parlare senza però aver mai avuto la possibilità di ascoltarle.. Per i più giovani, poi, ecco l’occasione per “conoscere” gli strumenti musicali, forse per poterli maneggiare e, per i più fortunati, suonicchiare. Ma probabilmente anche il parroco, le Confraternite e le Associazioni religiose, osservando le parate della Guardia Nazionale preceduta dalla sua Banda, iniziano ad accarezzare l’idea di poter accompagnare con la suggestione della musica i loro riti e le loro processioni…

La Banda della Guardia Nazionale diventa così un potente strumento di educazione musicale per l’intera cittadina.

4.

Dopo la notizia relativa all’esecuzione del 1873 la memoria documentaria torna a sonnecchiare, e non è facile sapere cosa succede nei decenni successivi. Possiamo solo affidarci ad alcune tracce documentarie scovate frugando tra gli spartiti e i pochi altri documenti conservati nell’archivio sociale.

Cominciamo proprio dalle partiture: rovistando tra spartiti e libretti possiamo troviamo alcuni documenti interessanti. Si scopre ad esempio una trascrizione datata 1879 ad opera del Maestro cav. Luigi Facchinetti (era uno dei primi direttori della Banda  serravallese? Non lo sappiamo) di un Gran Valzer di Joseph Lanerc. In realtà si tratta di Joseph Lanner, un compositore viennese di inizio Ottocentro considerato tra i padri del valzer; scoviamo poi un altro valzer di un autore meno noto, I baci degli angeli, la cui trascrizione data al 1896. Ed ecco una ancor più interessante partitura del duetto tra Carlo e Rodrigo tratto dal Don Carlo di Giuseppe Verdi, “ridotto” per banda nel 1868. Torneremo più avanti in dettaglio su questi spartiti. Qui ci possono offrire qualche aiuto per illuminare l’attività del complesso musicale nell’ultimo scorcio dell’Ottocento: già In quegli anni la Banda ha in repertorio anche musica d’autore di un certo impegno e destinata evidentemente a esecuzioni in occasioni di feste da balli o comunque di carattere laico e civile. Lo spettro delle sue “presenze” sulla scena serravallese dovette essere quindi, da subito, piuttosto complesso e variegato: occasioni di carattere religioso e di carattere patriottico-politico, ma anche presenze legate a situazioni di svago e ricreative.

Spostandoci un poco avanti nel tempo, un altro punto fermo diventa l’anno 1908: a quell’epoca risale infatti la prima fotografia “ufficiale” della banda di Serravalle arrivata sino a noi.

Come sappiamo la fotografia vide i suoi albori in Italia solo alla fine degli anni cinquanta dell’Ottocento, con l’apertura del celeberrimo studio Alinari di Firenze, e si diffuse poi lentamente nel resto della penisola.

Nel 1908 lo “scatto” di una fotografia è ancora un avvenimento piuttosto raro per un piccolo paese come Serravalle. L’esistenza di questa fotografia  ci stuzzica perciò a lavorare un po’ con la fantasia immaginando quell’anno come una possibile data simbolo per il complesso serravallese. Che so, tanto per azzardare, il cinquantesimo della fondazione, così da far retrodatare il momento della sua costituzione al 1858? Allo stato delle cose si tratta di una semplice ipotesi e tuttavia plausibile, confortati anche dalla “delibera del pelittone” che potrebbe rappresentare la ratifica e il giusto premio per un’attività già consolidata da alcuni anni.

Ma lasciamo stare la fantasia e proviamo ad analizzare nel dettaglio questa fotografia.  Innanzitutto il numero dei componenti. Nell’immagine sono ritratti 30 musicisti: un organico di suonatori assai vicino a quello codificato proprio in quegli anni da Alessandro Vessella (pianista, compositore, e consulente di bande militari) per definire la cosiddetta “banda piccola”: 35 elementi per la banda piccola, 54 per la banda media, 80 per la banda grande. Secondo lo schema Vessella questi organici consentono di eseguire trascrizioni ed esecuzioni di notevole complessità, tali da elevare le bande municipali a vere e proprie “forme d’arte”. Con questi organici, in altre parole, le bande municipali cessano di essere complessi dilettantistici e improvvisati per avvicinarsi alle forme delle bande militari “professionali” e delle fanfare più prestigiose.

Ad attestarne ruolo e prestigio, tutti i componenti ritratti nella fotografia sono naturalmente in divisa: berretto con visiera, giacca con fregi, pantaloni con banda dorata. Anche gli strumenti visibili ci parlano di un organico modulato proprio sulla “banda piccola”.

Immaginando qualche defezione nella fotografia, dobbiamo quindi immaginare per la banda di Serravalle Scrivia nel 1908 un organico tale da posizionarla tra i complessi più importanti della Valle Scrivia e modulato secondo i canoni delle più note bande militari.

Infine, questa fotografia conferma una caratteristica a cui già abbiamo accennato:  uomini fatti a cui si affiancano non pochi giovani e alcuni ragazzi (tra essi Pippo Bagnasco, musicista di talento morto a soli 37 anni e a cui nel dopoguerra la banda verrà intitolata). La Banda è dunque anche una “scuola di musica”, una palestra di educazione musicale per quei giovani che garantiscono il ricambio generazionale. Ma non solo: se ricordiamo il livello a cui era la scolarità a quel tempo è evidente che essa svolge anche un importante ruolo educativo per la gioventù del paese.

Partecipazione al congresso di Torre Ratti; presenza nell’archivio delle partiture di complesse trascrizioni operistiche e classiche databili agli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento; questa fotografia del 1908. Pochi indizi, certo, ma tutti concorrono a far pensare che in questi decenni la banda continuò a svilupparsi e a prosperare, diventando uno dei simboli della città e un importante veicolo di diffusile della cultura e della musica a Serravalle Scrivia.

Nella limitata documentazione a nostra disposizione la fotografia del 1908 rappresenta però uno spartiacque: subito dopo si apre un piccolo buco nero nel quale le tracce della Banda serravallese si perdono per quasi trent’anni.

5.

Siamo alla vigilia di anni difficili, alle porte c’è la Grande Guerra, l’immane tragedia europea costata oltre 15 milioni di morti e 20 milioni di feriti. Nel corso della Grande Guerra muoiono 680.000 giovani italiani, più di uno ogni dieci mobilitati: una vera e propria carneficina destinata a falcidiare un’intera generazione. Anche Serravalle Scrivia, naturalmente, deve piangere molti suoi ragazzi. La lapide collocata sul Monumento ai Caduti di piazza delle “Aie” ci racconta di 57 giovani serravallesi uccisi al fronte, a cui bisogna aggiungere i feriti, i prigionieri, i traumatizzati in modo grave.

Non  è ancora terminata la guerra, e già su scala mondiale si va sviluppando un’epidemia destinata a sterminare, tra il 1918 e il 1920, 50 milioni di persone: la febbre spagnola. In Italia i morti sono stimati tra i 400 e i 600 mila, i contagiati e i debilitati molti di più.

Insomma, anni tremendi e luttuosi, destinati a lasciare segni profondi su tutto il tessuto sociale europeo. Anche la banda serravallese dovette scontare le conseguenze di questi due avvenimenti così tragici e ravvicinati e la storia faticosamente tracciata nei decenni precedenti subisce quasi certamente un’interruzione. Non è tempo per la musica, per lo svago, per le fatiche davanti a uno spartito. Probabilmente  anche alcuni componenti della Banda non ci sono più, portati via dalla guerra e dalla spagnola. Ma la documentazione manca, e cosa succede alla banda possiamo solo immaginarlo.

Anche per gli anni successivi, ossia per il periodo fascista, la documentazione è quasi del tutto assente, e ci viene in soccorso soltanto qualche esile brandello di memoria destinato a incrociarsi, casualmente, con la mia storia familiare.

6.

Nel 1998 il Comune di Serravalle pubblica un elegante volume, a cura di Claudio Ciarlo e Stefano Sassi, ricco di immagini e testimonianze dedicate alla storia di serravalle tra Ottocento e Novecento dal titolo La Luminosa. Protagonista di un capitolo del libro è la Banda, ricordata tra le altre da una testimonianza di Angelo Pallavicini, storico Maestro del complesso serravallese per più di quarant’anni. Pallavicini ricorda così i tempi del suo “esordio”:

“Noi due [Giovanni Romagnoli, ndt] e altri due amici, tutti del rione della Piazza della Chiesa, siamo entrati nella banda verso i quindici anni, grazie a Ghedini, che suonava la tromba e insegnava la musica agli allievi”.

Virgilio Ghedini era mio nonno. Ho lavorato molti anni con le testimonianze orali, eppure non mi sono mai “sentito” di intervistare proprio mio nonno, e ora mi ritrovo a rimpiangere quella scelta… Ma così è, dunque posso fare affidamento solo sulla mia memoria per provare a ricostruire, utilizzando il ricordo dei suoi racconti, le vicende della banda negli anni tra le due guerre.

Mio nonno, nato nel 1893, fa il cestaio e, dopo varie peregrinazione tra Emilia-Romagna e Polesine, giunge a Serravalle insieme a mia nonna Francesca subito dopo la nascita della loro terza figlia, ovvero nel 1925.

Nel 1911 Virgilio inizia il servizio militare che dura diversi anni, guerra di Libia compresa. Per sua fortuna sa suonare, e viene inserito nella banda del Reggimento. Riesce così  a perfezionare la conoscenza del suo strumento, la tromba. Il suo percorso di “musicista” deve essere simile a quello di molti altri componenti la banda di Serravalle. Sicuramente è identico a quello di Pippo Bagnasco, nato nel 1894:

“Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale – racconta il figlio Gigi – mio papà, viene arruolato il 15 maggio del 1914 e trasferito al 44° Reggimento Fanteria dove gli viene affidato il ruolo di Primo Trombettiere della banda del reggimento”

Segue lo stesso percorso anche un altro componente storico della Banda, “Geassa”, Vittorio Bailo. L’esercito rappresenta dunque una vera e propria scuola di musica per diversi componenti dell’organico, e contribuisce, contemporaneamente, anche all’ampliamento del futuro repertorio della Banda, con l’introduzione di marce e melodie più complesse e l’affinamento delle esecuzioni secondo i canoni rigorosamente codificati per gli organici delle bande militari.

Ma il servizio prestato nelle bande militari, come detto, consente a quei giovani ragazzi autodidatti di perfezionare la conoscenza della musica e di poterla a loro volta insegnare. Proprio grazie ai lunghi mesi prestati nell’esercito Virgilio può accollarsi il compito di insegnare musica ai più giovani, garantendo il ricambio generazionale indispensabile per garantire la sopravvivenza della banda anche in un frangente di relativa crisi organizzativa. Così negli anni venti e trenta, anni in cui la banda versa come ci ricorda Pallavicini in un momento di difficoltà, è probabilmente grazie al lavoro di mio nonno, e di altri come lui, che la banda riesce a sopravvivere avvicinando alcuni giovani alla Banda e offrendo loro: rudimentali corsi di musica che però tengono vivo il lume di un complesso cittadino costretto, per i servizi pubblici, a chiedere aiuto all’esterno, come ricorda anche Pallavicini nella sua testimonianza.

Tuttavia la banda, ci tiene a ricordarlo Pallavicini, continua con assiduità la sua attività: “La domenica si andava in giro a suonare, e sempre in paesi diversi”. Con ogni probabilità non  si tratta solo dei servizi di carattere religioso e civile, ma anche di concerti legati a occasioni di festa popolare e ricreativi, come attesta la fotografia scattata a Monte Spineto.  Ma con quale repertorio si affrontano queste occasioni?

Posso dire che mio nonno è stato un grande appassionato di musica lirica e ora so che nell’archivio della banda fanno bella mostra di sé moltissime partiture tratte proprio da opere liriche: Difficile dire se fu lui a propiziare l’introduzione nel repertorio della banda di queste arie, Sicuro è però che proprio in quegli anni la banda amplia il suo repertorio e dà modo ai ragazzi che frequentano le pur semplici lezioni tenute da Virgilio di avvicinarsi a quella musica e a quelle partiture.

Sono, questi, gli anni del regime fascista: la banda di Serravalle naturalmente viene mobilitata – lo ricorda ancora Pallavincini – per partecipare,  insieme a tutti gli altri complessi  attivi in Provincia, all’”adunata oceanica” in occasione dell’avvenimento del decennio, la visita di Mussolini ad Alessandria nel maggio 1939. Tuttavia il legame con il regime non deve essere stato particolarmente profondo. Nella fotografia di Monte Spineto, nonostante sia scattata alla vigilia della guerra, in epoca grondante di retorica e di consenso, non ci sono camice nere, fez, bimbi in divisa e altri orpelli tipici del fascismo. Obiettivamente, la cosa è abbastanza sorprendente, segno con ogni probabilità di un legame non profondo con il regime.

Del resto la fotografia scattata a Monte Spineto non è l’unica arrivata a noi da quegli anni. C’è anche un’immagine che ritrae la banda in servizio nel corso della Processione dell’Assunta nel 1941 e anche qui nessun musicante ostenta segni esteriori che rimandano all’estetica e all’iconografia fascista.

Che dire? Mio nonno era sicuramente antifascista, “Geassa” ritratto nella fotografia di Monte Spineto al centro in basso con il suo corno, e Casonato, con la tromba al suo fianco, furono nel dopoguerra militanti comunisti, mentre erano di area socialista il maestro Pallavicini e Giorgetti…  Anche qui possiamo solo azzardare qualche ipotesi: possiamo allora pensare che la banda continua certamente a vivere durante il ventennio, e anche nei primi anni della guerra, ma probabilmente si mantiene un poco discosta rispetto al pomposo e imponente apparato ricreativo e dopolavoristico caratteristico del totalitarismo fascista. Ciò, del resto, aiuterebbe a spiegare perché la banda attraversa in quegli anni un periodo piuttosto difficile. Tollerata ma non amata dal regime, probabilmente non godette di particolari favori e finanziamenti. Ma siamo appunto nel campo delle ipotesi, di pochi fatti in grado di suggerire una possibile interpretazione, da verificare e precisare attraverso ricerche e studi più puntuali e documentati.

7.

Prima di riprendere con i nostri “flash” e addentrarci nei decenni a noi più vicini, vale la pena proporre ancora alcune considerazioni particolarmente significative proprio per il periodo che termina con gli anni trenta: il tema è quello, a cui già si è accennato, del ruolo sociale e culturale della banda.

Come è noto l’URI, poi EIAR, l’Azienda radiofonica italiana inizia le proprie trasmissioni nel 1924, ma si diffonde con una certa lentezza. Alla fine del 1928 gli abbonati in tutta Italia sono solo 61.500. Anche i grammofoni sono un genere di gran lusso e poco diffusi, e negli anni Venti i pochi esemplari presenti nelle case italiane si dividono ancora tra quelli capaci di riprodurre i più moderni dischi microsolco e quelli più arcaici  a “cilindro”.

Almeno sino alla fine alla seconda guerra per le classi popolari le occasioni per ascoltare musica dal vivo, continuano ad essere molto rare. Certo, esistono le squadre di canto, ma il loro repertorio è limitato quasi esclusivamente alle melodie tradizionali o di carattere patriottico-militare; ed esistono le orchestrine da ballo, capci magari di diffondere qualche “ritmo” più moderno, ma non molto di più.

La banda musicale rappresenta dunque, per molti decenni, uno dei pochi strumenti a disposizione delle classi popolari per accostarsi, gratuitamente, alle forme musicali più colte, le sinfonie e le opere liriche, anche se in versioni “ridotta” e trascritte per organici di soli fiati. Abbiamo già avuto modo di indicare alcuni “segni” che testimoniano questa attività, ma la documentazione più robusta del suo ruolo di diffusore della musica colta è sicuramente la considerevole molte di partiture conservata nell’archivio sociale. Si tratta di partiture edite tra gli anni Venti e gli anni Quaranta (a testimonianza che per la Banda il ruolo di diffusore della musica colta continua anche nei primi anni del secondo dopoguerra) e mostrano uno proposta musicale di notevole vastità e complessità. Troviamo naturalmente brani celeberrimi: lo struggente Duetto finale di Aida, il brioso Intermezzo e brindisi dalla Cavalleria Rusticana, varie arie tratte da Rigoletto e dal Trovatore, le stranote Sinfonie che aprono Nabucco e L’Italiana in Algeri, l’immancabile Ballo Excelsior della gloria locale Romualdo Marengo; ma ci sono, ed è più sorprendente, anche altre melodie sicuramente meno frequenti nel repertorio di una banda di “paese”. Citando qua e là: In un mercato persiano Di Albert Ketekbey, un compositore inglese di inizio Novecento;  l’Angelus di Jules Massenet; la Fantasia dal Faust di Charles Gounod; Gaite Parisienne, suite dal balletto di Jacques Offenbach.

Una proposta di tutto rispetto, la cui esecuzione era possibile solo a fronte di  un complesso di ottimo livello quale doveva essere quello serravallese. Per molti anni la Banda continua ad assolvere un vero e proprio  compito di acculturazione popolare che resta sicuramente come suo merito specifico, forse il maggiore della sua storia lunga centocinquanta anni.

8.

Se la prima guerra mondiale è stata terribile per la gioventù serravallese, il Secondo conflitto non è certo da meno: il Monumento ai Caduti ci ricorda che 56 furono i serravallesi nel corso del conflitto. Molti di loro hanno perso la vita combattendo contro i fascisti e i nazisti.

Come è noto la zona intorno all’antico convento della Benedicta è stata teatro di uno dei più tragici rastrellamenti antipartigiani compiuti dai nazifascisti nel corso dei venti mesi di occupazione. Nelle cascine intorno alla Benedicta si raccolgono anche molti giovani serravallesi: 15 di loro vengono trucidati nei giorni del rastrellamento, altri trovano la morte nel campo di concentramento di Mauthausen

I giovani partigiani trucidati alla Benedicta trovano sepoltura nel cimitero di Serravalle soltanto nella tarda primavera del 1946, a più di due anni dall’eccidio e a un anno dalla Liberazione. In quell’occasione la Banda è al suo posto. Solo qualche berretto, nessuna divisa, ma la banda c’è, e accompagna, con le sue musiche, una cerimonia dolente a cui partecipa tutta la popolazione di Serravalle.

La presenza ai funerali del 1946 non rappresenta solo un fatto rimarchevole e degno di menzione etica e civile nella storia della Banda, ma consente anche di offrire, retrospettivamente, un’interpretazione più precisa a una delle date cardine di della sua storia.

Siamo nel 1952, e per la banda di Serravalle è una data di svolta. Il complesso musicale serravallese realizza quel processo di riorganizzazione destinato a segnare tutta la storia successiva della Banda. Intorno al nuovo Presidente Vittorio Guido (Futuro Presidente della Cassa di Risparmio di Alessandria e tra gli uomini politici più noti di Serravalle) viene eletto un Consiglio direttivo numeroso e qualificato; la Banda si dota di una nuova divisa che richiama in diversi elementi quella delle formazioni storiche ottocentesche; “ufficializza” la direzione del maestro Angelo Pallavicini destinato a diventarne l’indiscusso animatore nei decenni successivi; addotta per la prima volta un nome, quello di “Pippo Bagnasco”, uno dei suoi più valenti componenti prematuramente scomparso.

Alcune pubblicazioni d’occasione leggono quella data come una vera e propria rifondazione. La Banda ha attraversato una lunga e profonda crisi, e ora, finalmente, riparte la sua attività: questa sembra la tesi diffusa e accreditata.

In realtà la situazione a me pare un poco diversa. La banda, lo abbiamo appena visto, rimane attiva anche negli anni della guerra, e lo è negli altrettanti travagliatissimi mesi del difficile dopoguerra. E dovette sicuramente continuare a vivere e a suonare anche negli anni successivi, sia pure in condizioni di grande precarietà, come ricorda Giovanni Romagnoli, Nino, in una sua intervista:

… [ dopo il 1941] tanti sono partiti per il militare e per qualche anno la Banda non ha più suonato. ma abbiamo ripreso subito dopo il 25 aprile: il primo maggio 1945 abbiamo fatto il corteo, [ma] dopo ci siamo trovati in difficoltà… Non riuscivamo ad avere un direttore in pianta stabile. Allora Carando, un bravo musicista, ha indicato lui, Pallavicini, e ha detto: “C’è lui che può farlo!”

Il ruolo di Pallavicini, tuttavia, diventa subito molto più complesso. Forse è proprio la memoria delle modalità con cui lui e suoi coetanei si sono avvicinati alla Banda che induce il nuovo Maestro a dedicare grande impegno non solo all’attività di direzione, ma anche a quella di insegnante di musica per i più giovani:

Avevo iniziato a dirigere e dovevo suonare anch’io perché eravamo veramente pochi. Nominato maestro ho subito iniziato a far lezione ai ragazzi e da allora ne saranno passati centinaia.

Quella funzione didattica svolta da  mio nonno per lui e per i suoi coetanei, ora Pallavicini la intraprende con ancor più convinzione per i ragazzi del dopoguerra. E come “Ghedini” era riuscito a costruire un piccolo ricambio generazionale in grado di tenere       viva la fiammella della banda nei difficili anni Trenta, ora Pallavicini si adopera per costruire quel serbatoio di giovani musicisti destinato a diventare il nerbo della Banda nei decenni successivi.

Al fatidico 1952 la Banda di Serravalle arriva a mio avviso perfettamente in piedi. Pallavicini, e con lui Gianni Casonato, Ercole Pozzi, Carlo Grosso, Franco Morando, Giovanni Romagnoli, Duilio De Negri, Armando Milanesi e tanti altri, sono riusciti  a dare continuità alla Banda, a mantenerla in attività e ad avvicinare alla musica tanti nuovi giovani strumentisti. E’, ancora una volta, grazie a questo ricambio generazionale che la Banda può dilatare il proprio organico e tornare ad essere un complesso musicale di tutto rispetto.

Certamente il 1952 è un anno importante e decisivo nella storia della Banda, che assume in quell’occasione un volto più “moderno” e un organizzazione al passo con i tempi, quel modello, insomma, giunto sino ai giorni nostri. Ma ciò che avviene in quell’anno non è, a mio avviso, una rifondazione ma piuttosto la lungimirante intuizione di dotare di un’organizzazione solida, stabile ed ufficialmente riconosciuta un complesso che ha saputo sopravvivere anche in anni di grande difficoltà economica, sociale e politica.

La nuova divisa, l’intitolazione a “Pippo Bagnasco” e tutte le altre novità del 1952 rappresentano dunque il nuovo e necessario abito di cui si veste una Banda che aveva saputo resistere alle difficili vicende degli anni precedenti.  Il merito di ciò va ascritto in primo luogo a quei ragazzi che iniziarono a suonare negli anni Trenta  e ora sono diventati adulti: sono loro, con la loro tenacia, ad avere il merito di tenere viva la Banda, di aver cocciutamente ripreso in mano i loro strumenti anche nei giorni più tristi e difficili.

La foto ufficiale della cerimonia di intitolazione della Banda a “Pippo Bagnasco” – qui pubblicata in seconda di copertina – ci mostra un complesso forte di circa quaranta elementi, composto come sempre da uomini fatti, giovani e alcuni ragazzi. Un organico così non si improvvisa, ma è frutto sicuramente del lavoro e della passione di molti anni.

Seduti, insieme al nuovo Presidente Guido, tutte le autorità di Serravalle (qualcuno potrebbe notare con un po’ di sorpresa l’assenza del Parroco, ma probabilmente era solo impegnato altrove…): la “Pippo Bagnasco” è ora, anche ufficialmente, la banda “del” Paese.

La storia della banda da questo momento in poi, anche se continua la carenza di documentazione di cui si diceva, è sicuramente più conosciuta. Diversi suoi componenti attuali hanno vissuto, magari anche solo all’inizio della loro esperienza di “musicanti”, gli avvenimenti successivi alla “rifondazione”, le fonti a stampa, i documenti e le fotografie cominciano a essere più numerose, e spuntano anche i primi filmati, come quelli realizzati da Carlo Punta e pubblicati recentemente nella serie di CD Serravalle è bella edito dal Comune di Serravalle Scrivia e da “Libarna Arteventi”. La storia della “Pippo Bagnasco”, lunga ormai sessant’anni, si potrebbe dunque iniziare a scrivere. Nell’attesa converrà qui sottolineare almeno un passaggio di quella storia, riproponendo un ultimo flash ben vivo e presente, è facile scommettere, nel ricordo di molti lettori.

9.

Gli anni ancora difficili del dopoguerra e della ricostruzione volgono al termine, e si affacciano i primi segni di quella stagione di crescita e miglioramento della qualità della vita dei cittadini entrata nella memoria collettiva con il nome di boom economico.

In quegli anni Serravalle è uno dei centri con il più significativo e rapido tasso di incremento della popolazione dedita all’industria ,della Provincia di Alessandria e della Valle Scrivia. La situazione fotografata dal Censimento generale della popolazione del 1961 segna un incremento impressionante delle persone occupate nell’industria e nel terziario rispetto a dieci anni prima: il 24,29 per cento! I simboli industriali di quell’epoca sono le due industrie “storiche” della cittadina, la Fidass e la Inga, produttrice dell’Amaro e soprattutto della Grappa Libarna giunta ai “fasti” della pubblicità televisiva nazionale (Carosello addirittura? Mi pare di sì, ma non ne sono sicuro, e neppure Google mi viene in aiuto…) e il nuovo stabilimento del Delta, poi molte altre denominazioni, e oggi Kme. Ma a simboleggiare in modo chiaro e netto il boom economico, la sua filosofia e il modo in cui influenza la cultura e la vita quotidiana degli italiani del tempo, c’è anche un pezzettino di storia della banda di Serravalle, ed è la nascita e l’attività del nuovo complesso folkloristico la “mitica” Bufa e scrola.

La Bufa e scrola nasce nel 1965 per iniziativa di uno dei più noti componenti della “Pippo Bagnasco”, Mario Bisio “Giorgetti”. Al contrario del Maestro Angelo Pallavicini, severo e  serioso e quindi per carattere poco adatto a immaginarsi come anima di una banda folkloristica (e infatti molte testimonianze ci ricordano la sua ritrosia e la sua diffidenza verso quell’esperienza), “Giorgetti” sembra nato apposta per quel ruolo: alto, magro e un po’ dinoccolato, è conosciutissimo in paese per il suo carattere solare, per la sua ironia e per le sue battute fulminanti.

Il successo della Bufa e Scrola è immediato. La nuova Banda, protagonista di molti concerti e di molte sfilate sia in paese sia in trasferta, diventa subito popolarissima in città: la sua vicenda meriterà, nell’auspicata storia della Banda di Serravalle Scrivia, un capitolo tutto suo, perché si accompagna alla storia della Banda “ufficiale” ma anche se ne allontana, percorrendo strade proprie e, per certi versi, inesplorate dal complesso “maggiore”. Qui tuttavia voglio limitarmi a chiarire perché la Bufa e Scrola a me pare un simbolo, e dei più rilevanti, del miracolo economico in versione serravallese.

Il boom non rappresenta soltanto un periodo di grande svolta e di grande sviluppo economico, ma segna  anche una cesura decisiva nei comportamenti e nel senso comune collettivo. Le accresciute disponibilità economiche determinano modifiche enormi nella mentalità e nella psicologia collettiva: la tristezza ora è sostituita dalla voglia  di vivere; il pessimismo dall’ottimismo; la paura dalla speranza. Il benessere economico tocca per la prima volta, anche se in misura diversa,  tutti i ceti sociali e consente alle classi popolari l’acquisto di quei beni capaci di modificare in modo decisivo la loro vita quotidiana e il loro uso del tempo e la loro percezione dello spazio. Le “500” e le altre utilitarie facilitano gli spostamenti e ampliano gli orizzonti dello spazio vissuto; gli elettrodomestici “aiutano” le famiglie a dilatare il tempo libero. Come è arcinoto è soprattutto la televisione a modificare radicalmente comportamenti, gusti e abitudini, anche a livello musicale (aiutata in questo dai suoi “fratellini” minori, i giradischi, i “mangiadischi” e i registratori più o meno portatili).

La Bufa e scrola diventa la più chiara e limpida espressione del nuovo spirito del tempo, della voglia di divertirsi, di stare insieme, di guardare con fiducia al futuro: il suo repertorio attinge a piene mani dalle nuove mode musicali e dalle melodie diffuse ora quotidianamente e in tutte le case dalla televisione. Con l’afermarsi della radio e della televisione la Banda non è più un veicolo di diffusione della musica per le classi popolari, ma diventa uno strumento di mediazione musicale. In questo ruolo la Bufa e Scrola, proprio per le sue caratteristiche di Banda “comica” e votata alla spensieratezza, si trova particolarmente a suo agio: ripropone le melodie diffuse dai mass media  e diventate di “moda” per riadattarle al contesto festoso in cui si esibisce. Non un ruolo minore rispetto a prima, si badi, ma un ruolo diverso, espressione piena dei tempi.

Ma la Bufa e scrola, come molti dei complessi folkloristici nati in quegli anni, non è un semplice “altoparlante” della musica di massa proposta e veicolata dalla TV e dalla radio. Il suo ruolo è molto più complesso. Essa si pone, per usare un’espressione cara alla storia sociale, all’incrocio tra tradizione e innovazione: la sua caratteristica è infatti quella di mischiare e riadattare temi e simboli della tradizione popolare con i nuovi simboli e i nuovi prodotti della cultura di massa che negli anni Sessanta sta rapidamente diffondendosi in Italia.

E’, questo, un terreno di studio particolarmente stimolante, al quale le fonti orali potrebbero  offrire un contributo assai interessante. Ma qui, per capire la natura di questo intreccio, è sufficiente ricordare alcuni degli elementi caratteristici delle modalità attraverso cui la Bufa e Scrola si presenta al pubblico. La sua divisa, ad esempio, chiaramente attinta alla cultura carnevalesca, con i buffi cappelli e i colori sgargianti, oppure la grancassa adagiata su un carrettino, o i campanelli suonati muovendo due enormi forbicioni, quasi a ricordare i carri e le sfilate allegoriche; proprio su questi elementi riconducibili alla tradizione popolare e carnevalesca, tuttavia, si inseriscono e si mescolano inserti e oggetti tratti di peso dalla nuova dimensione della cultura televisiva, come il Topo Gigio “gigante” che diventa a furor di popolo uno dei tratti distintivi e di riconoscimento del complesso.

Stessa commistione la ritroviamo nel suo repertorio, dove melodie tradizionali convivono fianco a fianco – e a volte in curiose e divertenti miscellanee – con i brani che “scalano” la classifica di Hit parade e riempiono gli schermi da cui si trasmettono il Festival di San Remo, Canzonissima e il Cantagiro, le trasmissioni simbolo della musica di massa radiotelevisiva (Azzurro, di Paolo Conte ma portata al successo da Adriano Celentano, diventa quasi la sigla della Bufa e Scrola).

A mia memoria la Bufa e Scrola fu la sola banda comica della nostra zona: chi studierà gli anni del miracolo economico in questo territorio, teatro di uno dei più intensi sviluppi industriali del Nord Ovest, dovrà occuparsi anche della sua storia, perché essa rappresenta una spia e un simbolo della mentalità e del senso comune di quel tempo.

10.

Quando ho accettato di lavorare a questo testo avevo immaginato, proprio in ragione della scarsità e frammentarietà della documentazione, di buttar giù una decina di pagine. Ora mi accorgo di aver già scritto molto di più, e di aver ancora molte cose da dire. Decidete voi se qui ci sono cose intelligenti o meno, se queste pagine si fanno leggere o sono noiose: io voglio semplicemente rimarcare che pur con poca documentazione si riescono a scrivere molte pagine perché emergono numerosi temi e linee di ricerca, perché la vicenda della Banda è variegata e complessa, a riprova dell’utilità che potrebbe avere ripercorrere dettagliatamente la sua vicenda vecchia di centocinquant’anni.

Ma qui è necessario per ragioni di spazio, e forse anche conviene, far punto. Con il secondo dopoguerra, e con la Bufa e Scrola, siamo arrivati alla storia del Complesso Musicale “Pippo Bagnasco”, alla storia degli ultimi sessant’anni, e, come ho già detto, le sue vicende si possono ricostruire più facilmente. Certo, anche per questi ultimi sessant’anni la documentazione è per ora insufficiente, ma può essere recuperata rapidamente: Anche la memoria diretta dei protagonisti è ancora viva, a patto di varare subito un progetto di raccolta e di recupero.

Questo scritto, forse è giusto concludere così, non ha perciò bisogno di un finale ma di un impegno. Quello di provare a mettere mano, già nei prossimi mesi alla storia della banda di Serravalle Scrivia “cominciando dal fondo”, dalla ricostruzione delle vicende della “Pippo Bagnasco” e dei suoi protagonisti.

La forma potrà essere la più diversa visto che ormai ci si può sbizzarrire: un ebook, un’implementazione documentaria e storica del sito internet della “Pippo Bagnasco”, un volume magari corredato da CD (e non è detto che una scelta escluda l’altra), o latro ancora. Lìimportante è non sciupare , ancora una volta, l’occasione.

Di questi ultimi sessant’anni è doveroso tuttavia cogliere, rapidissimamente, almeno alcuni aspetti, particolarmente importanti per dimostrare la vitalità della Banda e la sua capacità di rinnovarsi.

Il primo aspetto da sottolineare è la presenza della “Pippo Bagnasco” in tutti i momento più significativi della storia di Serravalle: tra essi occorre sicuramente ricordare almeno l’alluvione del 1977, costata a Serravalle molti danni e tre morti. Ai funerali delle vittime la Banda era al suo posto.

Una seconda questione è l’ingresso in banda di suonatrici di sesso femminile avvenuta alla fine degli anni Settanta. Anche se questa “apertura” si è realizzata con qualche ritardo rispetto a quanto si stava muovendo nella società italiana, essa rappresenta ora un tratto distintivo del complesso musicale serravallese: oltre il 25 per cento degli attuali componenti sono infatti donne.

Infine, terzo aspetto meritevole di attenzione, alcuni giovani avviati alla musica nei corsi organizzati dalla banda e atraverso la sua attività sono diventati dei professionisti. E’ il caso di Vito Marsico, scomparso prematuramente lo scorso anno: prima strumentista e poi Direttore della “Pippo Bagnasco”, allievo del Conservatorio di Alessandria, era diventato uno dei più apprezzati giovani jazzisti italiani, conosciuto in Italia e all’estero, in particolare negli Stati Uniti, dove risiedeva negli ultimi anni della sua giovane vita. Ed è il caso dell’attuale Direttore Giuseppe Carlone anche lui diplomato al Conservatorio di Alessandria e oggi insegnante di musica nelle scuole.

La Banda ”Pippo Bagnasco” oggi consta di 38 elementi (9 sono le donne) “rinforzati” in parecchie occasioni da qualche aiuto esterno. 26 musicanti sono residenti a Serravalle, gli altri provengono da cittadine vicine. 11 componenti hanno tra venti e quarant’anni, altri 11 tra i quarantuno e i cinquanta, 6 tra i cinquantuno e i sessanta, 7 sono ultrasessantenni: un organico in gran parte giovane, e nel quale si riconferma  quella spiccata commistione tra le generazioni che rappresenta la più importante risorsa di “autoriproduzione” della Banda.

Naturalmente è continuata e si è rafforzata l’attività di avvicinamento di giovani e meno giovani alla musica, con l’organizzazione di corsi dedicati a tutti gli strumenti previsti nell’organico bandistico: oggi le possibilità di accedere ed ascoltare musica sono pressoché infinite, e così, per le Bande, si è di sicuro ridimensionata la funzione di veicolo di diffusione e conoscenza della musica. Ma la Banda resta per Serravalle un indispensabile strumento per consentire a molti ragazzi di compiere un salto di qualità, dall’ascoltare la musica a saperla leggere ed eseguire.

L’attività pubblica continua ad essere ragguardevole: tra le quindici e le venti “uscite” annue, di cui cinque per le strade di Serravalle e almeno due in forma di concerto.

Questi sono i “numeri” odierni della Banda di Serravalle. Gli ultimi, in ordine di tempo, di una vicenda molto complessa e coinvolgente. Quanti suonatori avranno sfilato per le vie di Serravalle nel corso di questi centocinquant’anni? Sicuramente molte centinaia. E quante famiglie, direttamente e indirettamente, sono state coinvolte? Anche qui, molte centinaia. E molte centinaia sono state le uscite e i concerti, i brani eseguiti, le storie raccontate, i momenti di gioia e le occasioni di dolore, i ricordi sedimentati nel tempo. Numeri considerevoli, tali da farmi indulgere, se me lo perdonerete, a un poco di retorica: possiamo davvero dire che la Banda è sfilata per le vie del paese e Serravalle è sfilata davanti alla Banda.

Un amore… di banda

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