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BOSCO, Giuseppe

Giuseppe Santino Bosco (di Bartolomeo Bosco e Margherita Raimondo / Serravalle Scrivia, 10 novembre 1896 / Bregu Rapit, Albania, 10 marzo 1941).

Impiegato spedizionere, Ufficiale dell’Esercito, Capitano di fanteria, pluridecorato al valore militare, caduto nella 2° Guerra mondiale.

Giuseppe Bosco

Giuseppe Bosco, figlio di Bartolomeo Bosco, maestro e di Margherita Raimondo (Raimondi), casalinga, nacque a Serravalle Scrivia, il 10 novembre 1896. Trasferitosi a Torino, si diplomò al Liceo Ginnasio e trovò un impiego come spedizioniere. Il 25 settembre 1915, fu dichiarato abile arruolato alla leva militare ed in novembre chiamato alle armi nella Prima Guerra Mondiale. In dicembre raggiunse il reparto di prima destinazione, il XXXIIX Reggimento di Fanteria, assegnato al deposito. Nel maggio del 1916 venne promosso a Caporale. Il 4 giugno 1916 venne trasferito in zona di guerra in forza al LXXIV Reggimento di Fanteria. In luglio transitò al CXLIV Reggimento di Fanteria. In ottobre venne ammeso al corso allievi ufficiali di complemento. Il 24 maggio 1917 lasciò la linea del fronte per le ferite riportate in combattimento. Riassegnato al CCLXI Reggimento Fanteria. In luglio è ospite del convalescenziario di Treviso per poi ritornare in zona di guerra al LXIV Reggimento Fanteria di Marcia. Il 18 agosto è in forza al Battaglione Complementare della Brigata Vicenza, in settembre al CCLXXIX Reggimento Fanteria. Aspirante Ufficiale di Complemento, in novembre passa al CCLXXVIII Fanteria. Il 14 febbraio 1918 è nominato Sottotenente di Complemento dell’Arma di Fanteria. Il 14 aprile, in zona di guerra, prestò il proprio giuramento di fedeltà. Il 30 giugno è effettivo presso il Deposito militare di Bra (CN). Il 7 gennaio 1919 serve nel XXXV Reggimento Fanteria Mobilitato.

Egli combattè con onore nella Prima Guerra mondiale e venne decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, per fatti d’arme verificatsi sul fronte Sloveno, al Monte Vodice, nel quadrante del fiume Isonzo. Così si legge nella motivazione: «…aspirante ufficiale reggimento di fanteria, rintuzzava il nemico attaccante e lo contrattaccava con impeto sebbene gli fossero rimasti pochi uomini e poche munizioni, venendo infine ferito…». Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale Giuseppe Bosco (nella foto in lato, tratta dal quotidiano “La stampa” del 27 maggio 1941), conseguito il grado di Capitano, fu assegnato al 64° Reggimento Fanteria “Cagliari”, reparto impiegato nel 1940 sul fronte alpino occidentale, in Francia e l’anno successivo inviato al fronte greco-albanese. Il 3 aprile 1939 l’Italia inviò un ultimatum al Regno d’Albania. Il 6-7 aprile, appena una settimana dopo la fine della Guerra di Spagna, l’esercito italiano invase il territorio albanese ed in quattro giorni raggiunse i confini con Jugoslavia e Grecia, piegando facilmente le esigue difese albanesi.

Tuttavia, con l’apertura del difficile fronte greco e l’accanita resistenza ellenica, riaccese e con nuova determinazione la lotta di liberazione degli albanesi, cui le forze d’occupazione italiane reagirono con durissime repressioni e rappresaglie anche contro i civili. Così il sito www.regioesercito.it ricostruisce l’impiego del “Cagliari” oltre l’Adriatico: «...Nell’ultima decade del mese di gennaio la divisione viene trasferita in Albania e dislocata prima nella zona di Berat dove riceve il battesimo del fuoco l’8 febbraio e poi, proseguendo verso Perpanit – Paraboar, il 12 febbraio si schiera nel settore compreso tra Chiaf e Bubesit e Proi Vibes, nella regione Tomori – Osum. Raggiunta la linea del fronte nel corso di una robusta offensiva nemica, le unità della divisione sono impegnate nella difesa del settore. Fermato il nemico, la divisione lo impegna in attacchi locali l’11 marzo a Bregu Rapit e sul Bubesi, di cui conquista alcune quote; il 13 marzo concorre con altre grandi unità all’azione su q. 731 di Monastero, quota che viene tenacemente contesa, mediante attacchi e contrattacchi di estrema violenza, sviluppatisi giornalmente dal 14 al 19 marzo…». Durante le operazioni in Albania Giuseppe Bosco fu ferito in combattimento e ricoverato nell’ospedale da campo nr. 481, a Bregu Rapit, ove il 10 marzo 1941 morì, forse per le conseguenze delle ferite riportate o nell’occorso mitragliamento aereo Alleato dell’ospedaletto italiano. L’eroismo dimostrato in combattimento da Bosco gli valse comunque una seconda decorazione di guerra, una Medaglia d’argento al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione: «…ardito, comandante di compagnia fucilieri avanzata, alla testa dei suoi fanti si lanciava all’attacco di munita postazione nemica. Ferito una prima volta da schegge di granata rifiutava ogni soccorso e si portava a più stretto contatto dell’avversario. Nuovamente e più gravemente colpito continuava indomito nella sua azione di comando per quanto conscio della gravità del proprio stato. Al nemico che lo investiva violentemente con raffiche di mitragliatrici ostentava come suprema sfida le ferite riportate. Acconsentiva ad essere trasportato a essere trasportato al posto di medicazione solo dopo aver accertato che tutti i feriti erano stati soccorsi e si rammaricava di non poter rimanere con i suoi fanti fino alla vittoria…». Lasciò la moglie e quattro figli. Lo piansero la madre anziana e la sorella invalida, cui provvedeva.

Giuseppe Bosco

Nella sua attività lavorativa Giuseppe Bosco (nella foto a lato tratta da “La Stampa” del 4 aprile 1941) fu impiegato spedizioniere presso il quotidiano “La Stampa” di Torino che diede ampia eco alla notizia della sua morte: «…Giovanissimo era partito per la Guerra mondiale e sui campi di battaglia aveva forgiato e temprato la sua anima maturandola nel clima ardente dell’eroismo. Tornato era rimasto un soldato. Si era conquistato le stellette di capitano combattendo nella Grande guerra e si era pure guadagnato una medaglia di bronzo. Se volevate vederlo sorridere e sognare dovevate parlargli del tempo in cui indossava la gloriosa divisa. Era venuto ad annunciarci che l’avrebbe rivestita, e gli occhi gli splendevano. Aveva ritrovato i suoi vent’anni… Ci aveva lasciato sorridendo di gioia e lo avevano accompagnato i voti augurali di tutti perchè nei dieci anni che servì al nostro giornale… si era acquistato la simpatia e l’affetto di tutti per le sue doti di mente e di cuore. Dal fronte scriveva infiammate lettere ai suoi cari in cui vibrava fra riga e riga un amore di patriota, ardente e fiero. Nella vita civile pure le sue qualità erano state quelle di un soldato: inflessibile nell’adempimento del dovere, pronto ad ogni sacrificio, incurante di ogni fatica nel portare a fine quanto gli era affidato. E soprattutto era semplice, modesto, buono, profondamente buono. La nuova vita, rude ed eroica, l’aveva trovato pronto e preparato. Le lettere che dal fronte aveva inviato al nostro direttore amministrativo erano lo specchio dei suoi nobili sentimenti. Ferito in combattimento poco si era potuto sapere da lui, parco di parole sempre quando si trattava della sua persona. Da un nostro dipendente, il tipografo Jacomuzìo, che militava nello stesso reggimento si ebbero i primi particolari. Il capitano Bosco era stato colpito agli arti inferiori mentre usciva dalle posizioni riparate e si poneva alla testa dei suoi nomini per lanciarli all’attacco…».

Prosegue l’articolo, toccando le corde patriottiche, concedendosi alla prosa di propaganda di guerra: «…Dall’ospedale scrisse: poche righe tranquillizzanti sulle sue condizioni (a Pasqua sarò a casa – diceva -) mentre pagine intere vergava per inneggiare all’immancabile vittoria delle nostre armi. La sua gloriosa morte è stata annunciata al nostro direttore amministrativo cav. di Gran Croce Cesare Fanti dallo Jacomuzio: “Egli è caduto da eroe… Tutti i fanti del reggimento lo amavano. Era ardito fra gli arditi. Il suo spirito era nobile, quello spirito vero e proprio dei “Fanti d’Italia”. Eravamo amici oltre che camerati. Eravamo de “La stampa”, ed il ricordare i camerati del giornale era per noi ragione di commozione. Ricordatelo, ricordatelo a tutti e dite chi era il capitano Bosco. Chiederò al mio colonnello, anche a nome vostro, che mi conceda il permesso di recarmi al cimitero dove il nostro Bosco riposa, e a Lui porterò l’estremo saluto di tutta la famiglia de “La stampa”. Il nostro Bosco non è morto pelle ferite riportate in combattimento. Egli avrebbe potuto effettivamente, come aveva scritto, venirsene a trascorrere la convalescenza a Torino, fra i suoi cari, se con la consueta irriducibile perfida volontà di distruzione, non degli obìettivi militari ma di quelli che per i popoli civili dovrebbero essere sacri, squadrìglie di aerei nemici non fossero scesi a mitragliare l’ospedale da campo dove il capitano Bosco era degente. Fu. in quella ignobile aggressione che il nostro Bosco ha trovato la morte. Una volta ancora il secolare nemico dell’Italia fascista, si è macchiato dì una di quelle colpe che contrassegnano la brutale sua malvagità. Il pensiero di tutti i componenti la grande famiglia de “La stampa” accompagna in spirito il nostro Jacomuzio nel suo pio pellegrinaggio alla tomba del nostro caro compagno di lavoro. Giuseppe Bosco sarà sempre presente fra noi, nelle ore di lavoro e nell’ora luminosa dell’immancabile vittoria. Con la famiqlia del caro nostro compagno dilavoro siamo solidali e vicini in quest’ora dì dolore e fierezza...». La testata piemontese lo ricorda anche in un successivo corsivo pubblicato il 19 aprile 1943: «…Egli apparteneva alla grande famiglia de “La stampa” dove aveva saputo conquistarsi la unanime simpatia, l’affetto di tutti. In riconoscimento delle sue schiette splendide virtù, di soldato, alla memoria del nostro carissimo camerata è stata conferita la medaglia d’argento al valor militare… esemplare impiegato della nostra amministrazione. Giuseppe Bosco nelle ore decisive alcuni passi di una lettera che un nostro bravo tipografo, il camerata Jacomuzio, pur esso combattente nel Reggimento del capitano Bosco, ci scriveva dal fronte. Egli diceva tra l’altro: “Il nostro Bosco è caduto da Eroe. Il suo spirito era veramente quello del “Fante d’Italia”. Ora un alto ufficiale (di cui per ovvie ragioni di riserbo non facciamo il nome) così scrive al nostro direttore amministrativo, camerata Cesare Fanti “Ho conosciuto personalmente il capitano Bosco e posso assicurare che era un autentico prode. Appena costituito un reparto di Arditi, nucleo di un battaglione d’assalto, ne assunse volontariamente il comando ed effettuò rischiose azioni di pattuglia per tre notti consecutive sulla fronte del mio reggimento, dato che il suo era allora un secondo scaglione. Il comandante del Reggimento di Fanteria al quale apparteneva il capitano Bosco mi ha parlato di lui con entusiastica ammirazione. Sull’azione nella quale è stato mortalmente ferito, mi ha cortesemente fornito i seguenti particolari: il 10 marzo il capitano Bosco comandava una Compagnia avanzata che mosse all’attacco di una munitissima posizione avversaria. Il nemico reagì con un lento e preciso tiro di artiglierie di mortai e di armi automatiche che causò gravi perdite. Il Bosco fu ferito da una scheggia alla spalla, ma, incurante del dolore, continuò nell’azione, rifiutando ogni soccorso. Fu ferito una seconda volta e gravemente, quando col suo reparto si era portato a contatto con la posizione avversaria. Con sovrumana energia, vinse il dolore e lo spasimo e, reggendosi con le forze del suo animo indomabile, rincuorò i suoi fanti, li incitò a persistere nell’attacco e ostentò al nemico le sue profonde ferite. Fu soltanto al termine dell’azione, e quando si rese conto che tutti gli altri feriti avevano avuto i più ingenti soccorsi, che acconsenti a farsi trasportare al posto di medicazione, esprimendo il rammarico di doversi allontanare dalla lotta e di non poter essere presente al momento della immancabile vittoria. Sopravvisse ancora alcuni giorni alle gravi ferite e morì in un ospedaletto da campo, malgrado fosse stato sottoposto alle più assidue cure. La stupenda figura del nostro compagno di lavoro, fascista e soldato di fortissima tempra, autentico conduttore di uomini, integro cittadino e valorosissimo combattente, che consacrò tutto se stesso alla vittoria da lui presentita con saldissima fede, e anche per il suo mirabile sacrificio raggiunta. Per tutti noi de “La stampa” il nome di Giuseppe Bosco rimarrà a simboleggiare le più belle e forti virtù della Razza; rimarrà come titolo di supremo onore per la nostra grande famiglia che in Lui ambirà sempre specchiarsi come in fulgidissimo esempio…».

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