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A pusiscioun ‘d l’Adulurata. Gerarchie confraternali tra vecchi e novizi

Dopo i gruppi fin qui descritti (donne e ragazzi inquadrati), è il momento delle confraternite. Protocollo vorrebbe che per diritto di precedenza partano per prime le più antiche ed a seguire le più recenti. A Serravalle è il contrario. I “bianchi” partono dopo, preceduti dai “rossi” visto che cronologicamente questi ultimi si sono inseriti successivamente nella storia del nostro borgo. L’ordine interno di sfilata è anche qui una “processione nella processione” che inizia con i giovani confratelli che recano la “lancia” (con la statuina del titolare del sodalizio di appartenenza) a cui fanno ala gli “angioletti” e quelli che si fanno carico delle bandiere (i “bianchi”) o degli stendardini (i “rossi”) in stoffa del colore dell’Oratorio di competenza, decorati con simboli affini a quelli delle sergentine, poi le due teorie di confratelli adulti, il gonfalone, il “Cristo” piccolo e quello grande, accompagnati dai lampioni, infine gli Officiali (Priore e suo Consiglio), riconoscibilissimi perché indossano tabaréini ricamati che indicano le loro cariche ed impugnano appositi pastorali in legno dorato ed intagliato. Il Priore poi indossa una cappa in seta, che indica il suo rango; non è da sottovalutare che in epoca comunale questa figura aveva un ruolo pubblico anche di natura civile, ed aveva diritto all’anello come gli altri dignitari. Che il suo abito per il servizio liturgico fosse poi così prezioso lo si deve certamente all’influenza genovese nel nostro Oltregiogo, così come l’impiego di croci arricchite di motivi floreali, di grandi dimensioni (alberi della vita) e loro modo di farle sfilare con l’immagine del Signore rivolta all’indietro, verso la strada già percorsa, come se Gesù volesse farsi vedere dal popolo che lo segue.
In realtà portare la sua immagine in questo senso risale ad una concessione fatta al tempo delle Crociate ai cavalieri genovesi, sconfitti alle Crociate, i quali ottennero dal Pontefice questo uso a memoria del fatto che i musulmani non vollero riconoscere il Redentore cosicchè risultando infruttuoso il mostrarglielo, venne sancito di voltarlo per non farlo oggetto di scherno (e questo uso rimase pressochè in tutti i territori che ebbero a che fare con la Repubblica di Genova).
Nelle foto d’epoca si vede chiaramente che parecchi confratelli adulti hanno a fianco, per mano, o innanzi/attorno a sé un buon numero di bambini parimenti in abito confraternale. Nei nostri Oratori ci sono ancora parecchie cappe da bambino, sarebbe bello ripescare i baby-confratelli di allora per vedere se son cresciuti bene, e soprattutto per vedere di riprendere l’uso di invogliare le giovani generazioni. Una pia e tipica usanza non solo nostrana, era infatti quella di iscrivere i propri figli alla propria confraternita al momento stesso della nascita. Di solito si faceva questo passando davanti al proprio Oratorio mentre si andava in chiesa parrocchiale per il Battesimo, cosicchè in pratica si diventava confratelli prima ancora che divenire cristiani!!
Sotto cappe e tabarri si riconoscono gli esponenti delle storiche famiglie serravallesi: Allegri, Cremonte, Chiappella, Bisio (Gigio ed Amedeo, figli dei Tanèin fanno tutt’ora parte dei “bianchi”), Fossati (Franco “scagasa”), Mongiardini (Elena fa tutt’ora parte della Confraternita con sede in Roma che raccoglie i residenti nell’Urbe provenienti dai territori ex repubblica o feudi liguri), Ferrari, Aragone (“Cichino” -papà del veterinario e del professore di matematica- che fu Priore dei “bianchi” per decenni, contendendosi il record di carica con Piero Gatti per i “rossi”), ed altre casate ora scomparse o ritiratesi dalla scena.
Un po’ tutti i ragazzini passavano per “à crusèta“, il Cristo piccolo dei “bianchi”, che ha un peso attorno ai 40 kg ed è un po’ l’oggetto da allenamento per chi poi passerà sotto i “Cristi” grossi ed i gonfaloni. Bisogna infatti dire che fino agli anni ‘70/’80 non esisteva un vero e proprio allenamento come in Liguria, e che in sostanza si provava a portare questi simulacri durante lo svolgimento delle processioni. Cosicché alcuni veterani gelosi della propria maestrìa difficilmente lasciavano provare ai novizi che dovevano insistere per “andar sotto”. Questo portò da una parte a squadre molto affiatate di portatori ma dall’altra ad una pia repulsione per i nuovi entrati che si cercava di non far neppure avvicinare a questi oggetti (t’in è mia bòun!). Il risultato fu che oggi non abbiamo in sostanza nessun portatore serravallese se non esigui superstiti. Qualche nome va doverosamente ricordato: Ferrari Enzo che portava benissimo e molto elegantemente il crocifisso “alla piemontese” ossia dritto, non appoggiato a faccia/spalla del portatore; “Life” (Bisio Sergio e suo figlio Marco, altrettanto ottimi portatori -tutt’ora in azione- del gonfalone dei “bianchi”); Ricci (orchestra omonima) portatore nei “rossi” così come pure “Giagi” Gennaro, “Fiurintéin” Biava e suo suocero Angelo, che forse è stato il portatore contemporaneo più longevo e che ormai novantenne (è defunto nel 2019) non potendo più camminare agevolmente, partecipava alle processioni salendo sul furgone che porta le statue ma il tragitto voleva comunque farlo, à Madona o à Trinità “u l’avreiva cumpagnò l’istésù“. Gatti padre (Piero) andava invece sotto il gonfalone. Come non dire, poi di Cesare Canegallo attuale priore dei “bianchi” (che ivi organizzò una sorta di “scuola portatori” attiva fino all’inizio degli anni 2000, mediante cui fu possibile partecipare a diverse manifestazioni in Italia e Francia), nonché delle buonanime di Egidio Derossi che originariamente era confratello e portatore dei Trinitari ma che per un certo periodo operò pure con l’Arciconfraternita dell’Assunta, ed ovviamente di “Scupelu” (Gino Cremonte, papà del dott. Maurizio). In particolare vanno poi ricordati i “Bresanteini” che in quanto componenti della famiglia Ferrari avrebbero dovuto essere dei “rossi” ma alcuni di essi passarono ai “bianchi” che posseggono un crocifisso di notevoli dimensioni e di cui si sentivano un po’ “squadra titolare” per il suo trasporto. L’ultimo fu Pipòun Ferrari che non ostante avesse quasi 80 anni provò a fare ancora una “possa” (tappa) con il Cristo dei “bianchi” appena restaurato (ed appesantito) ad inizio anni ’90. Purtroppo dovette soccombere non senza delusione al fattore dell’età oltre che all’aumento di peso del simulacro che non aveva provato preliminarmente a portare, prima della sfilata. Degno di altrettanta nota è Gigino Ferrari che era lo “stramùgu” (cambiatore) dei “rossi” (in particolare del gonfalone), il quale, quando i limiti di età non gli permisero più questo servizio, passò a fare il “bastoniere” apripista. Lo stesso Antonio Molinari (ex sindaco) portava la “crusèta” dei “bianchi” così come Fiorenzo Manfredini portava il gonfalone dello stesso sodalizio, con una tecnica tutta sua.
Molto ragazzini ora adulti passavano dunque per i “bastouni” (mazze pastorali) di un po’ tutte e due le associazioni, per le mantelline (i tabarèini) dei “rossi” più che dei “bianchi” visto che i primi ne hanno di bellissime e ricamate (l’umiltà delle stoffe dei “bianchi” li aveva fatti ribattezzare, in gergo, “i strasòùni” ma dietro questo apparente dileggio si celano invece otto secoli di storia del movimento confraternale che ebbe attori e spettatori pure nella nostra valle… e questa è un’altra delle cose trascurate, ma da recuperare perché non è “storia minore”).

Qualcuno passava poi ai lampioni ed ai crocifissi. Sarebbe importante, per provare a recuperare un minimo di attaccamento al senso di appartenenza al gruppo e di considerazione delle tradizioni, tentare almeno un censimento di coloro che passarono sotto tutti questi vessilli, nella speranza di recuperare qualcuno che in assenza di adeguata formazione (ma ora gli strumenti ci sono) o per i casi della vita, non continuò a partecipare alle attività dei nostri sodalizi. Molti ricordano di aver fatto da giovani la propria comparsa in veste di confratelli come appena dettagliato, ma i soli rimpianti contribuiscono poco a far invertire la tendenza. Una cosa invece dovrebbe essere chiara: nessuno vuol clericalizzare, nessun’altro né dare la caccia ad ex portatori da far tornare sotto i crocifissi poiché lo scopo principale delle confraternite laicali cattoliche non è quello di fare processioni ostentando forza fisica con pesanti oggetti di culto tuttavia, trattandosi di associazioni, è vitale che ci siano nuovi aderenti per garantire le numerose attività di volontariato cristiano che attendono anche oggi una mano da chi può darla.

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