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Servizio civile a Libarna

Conobbi la Dottoressa Silvana Finocchi esattamente 2738 anni dopo che Romolo fondò Roma.

Silvana Finocchi nel 1963

Mi fu presentata dal presidente della Pro loco di allora, Italo Rava. Ci eravamo dati appuntamento a Libarna la domenica mattina del 21 aprile 1985. Da pochi giorni stavo svolgendo il servizio civile presso tale area archeologica.

La Dottoressa e Rava attraverso un sopralluogo avrebbero deciso come preparare l’area in occasione di un convegno sulla città Romana, che si sarebbe tenuto il sabato successivo 27 aprile, al cinema Lara di Serravalle. Mi chiese se ero appassionato di storia e che studi avessi fatto. In parte delusa dalle mie velleità in campo sanitario, mi disse che collaborando avremmo comunque potuto fare grandi cose per Libarna. Io non capii bene cosa intendesse ma percepii che quel luogo e quell’incontro mi avrebbe forse cambiato la vita.

Sabato 27 di buon mattino ero già seduto in prima fila al Cinema Lara munito di block notes e registratorino. Non potevo lasciarmi scappare un’occasione simile. Ero a Libarna da pochissimo tempo e il “fato” mi stava dando l’opportunità di apprendere tutto su Libarna in un giorno solo, per di più’ stando comodamente seduto nel cinema del mio paese. Avrei anche conosciuto i titolati relatori che avevano studiato e scavato a Libarna, come il dottor Carducci predecessore della dottoressa Finocchi. Mi si stava presentando una proposta simile a quella che ricordo di aver letto su un cartello di una agenzia turistica romana: tutta Roma in un giorno solo, Papa compreso.

Al convegno la Dottoressa raccontò di Libarna con tanta enfasi ed entusiasmo che sembrava parlasse della sua amata figlioccia. Quello che mi colpì di lei, oltre alla profonda conoscenza della materia e le sue capacità espositive, fu soprattutto la passione per l’archeologia e per la storia. Capii allora che poter collaborare con lei per me sarebbe stato un privilegio, un arricchimento a 360 gradi che capitano raramente nella vita. Mio cugino “e Gancein”, oltre a mia nonna, mi diceva sempre : “Sta a tacu ai libri e sta a tacu a e persoune in gaumba”. E così feci; appena la Finocchi ricapito’ in zona le dissi che, visto che il servizio civile sarebbe durato due anni, mi saprebbe piaciuto imparare i rudimenti dello scavo archeologico.
Non se lo fece dire due volte, tipo invito a nozze. Mi rispose che era ben lieta di farlo. Aggiunse che un’area archeologica è viva e vitale se vi si svolge attività di scavo e di ricerca. A breve si sarebbe presentata l’occasione, infatti la Dottoressa stava giusto programmando la campagna di scavo estiva e i primi di giugno avrebbe voluto indagare un’area inesplorata della città, nell’abitato di sud ovest. Io felice come una Pasqua non stavo più nella pelle, mi ripassai un po’ di storia romana, lessi qualcosa di Vitruvio (famoso Architetto romano) e dello scavo archeologico stratigrafico. Non vedevo l’ora di affondare le mani nella terra e nella storia “a tacu” ad una persona che mi avrebbe insegnato tutti i trucchi del mestiere di Indiana Jones. Oltretutto, ciliegina sulla torta, avrei scavato anche un po’ nel mio passato di serravallese per parte materna, dunque discendente dei Libarnesi.

Arrivò l’agognato giorno dell’inizio dei lavori. La Dottoressa si presento’ con un Fiorino della soprintendenza guidato dall’architetto Lorusso, armato di tutti gli strumenti del mestiere. La Finocchi mi spiegò che avrebbe voluto indagare un incrocio tra due vie perpendicolari della città (cardini e decumani). Per questo motivo si consultarono mappe della città e si misuro’ più volte’ per cercare di azzeccare il punto esatto .

Libarna negli anni 70 come appariva appena terminato lo scavo ed il restauro condotto dalla Dott. Finocchi

Lei sperava di mettere in luce i quattro angoli di quattro diversi isolati. Con un po’ di fortuna sarebbe stato possibile trovare anche i resti di una fontana. Ubicate generalmente in tali posizioni, famose e numerose quelle di Pompei ed Ercolano, a Libarna, fuori dalla cinta metallica, verso Picareto di Sotto, se ne intravvede una. Eravamo all’interno di un pioppeto non lontano da Cascina San Giovanni, per intenderci verso la fabbrica “La Suissa”.

destra unIl pioppeto: in alto a destradestra un
Cesare Canegallo e Silvana Finocchi

Quel giorno era presente anche il mio amico Cesare Canegallo, che collaborava di tanto in tanto con la Pro Loco, anche lui come molti altri incuriosito dallo straordinario evento.

Ricerca del sito di scavo
L’inizio dello scavo
Scavo nel pioppeto

Fatti gli opportuni studi e rilievi, la Dottoressa individuò il sito dove il giorno seguente avremmo affondato vanghe zappe e cazzuole. A rigor di tecnica si sarebbe dovuto intraprendere uno scavo cosiddetto stratigrafico. Purtroppo è molto complicato e costoso da mettere in atto, lo possono eseguire solo archeologi esperti. Le finanze su cui potevamo contare erano quelle della Pro loco e Italo Rava, sborsando spesso anche anche di tasca sua, si limitava a far miracoli sulla moltiplicazione dei pani, tutte le notti nel suo forno, ma non degli archeologi.

Termine dello scavo
Raccolta dei reperti
Foto ricordo. Da sinistra: l’allora Assessore al Turismo, Emanuele Parodi, Mino, la Dottoressa Finocchi, Francesco Dattilo, Renzo, Rebora e Pipòun.
Foto ricordo. Da sinistra Parodi, Italo Rava, Finocchi, Francesco Dattilo, Rebora, Pipòun e Renzo

Fatto sta furono ingaggiate quattro persone esperti di edilizia e di agricoltura ma pur sempre in grado di scavare sotto le direttive di una archeologa navigata. La Dottoressa purtroppo fu trattenuta in ufficio a Torino da un imprevisto. Mi telefonò a casa la sera prima e mi spiegò per filo e per segno come avremmo dovuto iniziare la ricerca. Se fosse saltato fuori qualcosa di interessante avrei dovuta ricontattarla telefonicamente all’ora di pranzo. Nominato archeologo sul campo dalla Dottoressa, cercai di mettere in pratica ciò che mi aveva minuziosamente spiegato. D’altronde mio cugino “e Gancein” aveva una impresetta edile e spesso lo avevo aiutato a fare la calce, col badile ci sapevo fare ed anche con la cazzuola. Avremmo dovuto scavare due trincee, di forma rettangolare, tre metri per uno, parallele tra di loro e distanti circa tre metri. Saremmo scesi nel terreno quindici centimetri alla volta e ci saremmo fermati solo se fosse apparso qualche struttura. A scavare eravamo in cinque: io, Renzo il più giovane, Pipòun, anzianotto molto alto e muscoloso contadino che abitava lì in zona, Francesco papà di un mio amico e un certo Rebora. Tutti allegri e scherzosi. Tuttavia ero perplesso; non pensavo che, così lontani dalla strada per Arquata ed anche dall’area archeologica, avremmo trovato qualcosa. Dopo poco invece, mentre tutti si auguravano di trovare la proverbiale cassa piena di monete d’oro con la quale avremmo cambiato vita, comparirono delle pietre legate da malta. Le guardai bene, chiesi conferma ai miei compagni archeologi e fermai i lavori. Non aspettai l’ora di pranzo ma andai subito a telefonare alla Dottoressa che mi rispose dall’ufficio. Contenta mi disse di continuare a scavare in prossimità delle pietre lasciandole in sede; probabilmente si trattava di un muro di una casa romana. Capii dal tono della sua voce che avrebbe voluto poter prendere un elicottero e fiondarsi sullo scavo per provare anche lei quell’emozione che mi fece battere il record del mondo dei 3000 siepi, passando attraverso i campi coltivati, verso il telefono del bar della Libarna.

Alla sera del primo giorno di scavo era stato riportato alla luce parte di quello che aveva effettivamente tutta l’aria di essere un muro di pietre. Il mattino dopo attesi che venisse chiaro, poi una forza interiore mi trasportò immediatamente sullo scavo. Saranno state le sette quando vidi una figura camminare a fatica tra le zolle e venire verso di me. Non capivo chi potesse vagare a quell’ora in mezzo ai campi. Era la Finocchi. Pensai che entrambi avevamo fatto passare velocemente la notte, una voce suadente ci voleva lì. La febbre dell’archeologia che aveva contagiato la Dottoressa in gioventù si era impossessata anche di me. Se la febbre mi faceva quell’effetto ero ben contento di essermi ammalato. Negli anni successivi grazie a Libarna, alla Finocchi, ed anche a Italo Rava, che mi aveva voluto come obiettore nella Pro loco Serravallese, provai sensazioni ed emozioni bellissime.

La campagna di scavi si protrasse per qualche settimana. La Dottoressa Silvana Finocchi interpretò le strutture emerse come vani abitativi che facevano capire quanto vasta fosse la città. Trovammo una moneta tagliata a metà e alcuni frammenti di ceramica. In quell’estate del 1985 si fecero ancora parecchi “scavetti” o assaggi come li chiamava Lei. Cercammo la cinta muraria in più zone della pianura, senza successo.

Alla ricerca della cinta muraria

Scavammo anche sul monte Castello a Serravalle. La Dottoressa voleva capire se la base delle mura avesse fattezze romane. In quei due anni di servizio civile la Dottoressa era diventata come un datore di lavoro che stimavo molto con cui sentivo di condividere ormai la stessa passione. Lei era la mente ed io il braccio.Tanti piccoli scavi li facemmo insieme: io scavavo e fotografavo, lei documentava scrivendo per ore seduta all’ombra di qualche alberello. Attorno a noi uno struggente connubio tra natura, archeologia e pace. Lei che viveva in una caotica città sembrava apprezzare molto l’atmosfera un po’ bucolica che si respirava lì. Arrivando da Torino in treno scendeva a Novi dove andavo a prenderla quasi sempre in moto che non disdiceva neanche quando arrivava vestita con la gonna.

Mino e la sua moto

Si infilava il casco e, come una ragazzina, mi chiedeva spesso di portarla in perlustrazione dei dintorni di Libarna. Una volta mi chiese di portarla nella tenuta di Precipiano, senza aver preso appuntamento con i proprietari. Pare che la città romana fosse collegata alla Val Borbera con un ponte verso appunto Precipiano. Varcammo in moto il cancello d’ingresso, girammo in lungo e in largo il grande cortile e il giardino fino ai vicini torrenti Scrivia e Borbera. Non incontrammo nessuno; dopo mezz’oretta riuscimmo e la Dottoressa mi raccontò divertita quando in Palestina, dove prese parte a ricerche archeologiche, si travestì da uomo per entrare in un luogo di culto proibito alle donne. Transitando per Serravalle ci fermavamo quasi sempre al Forno di Italo e di sua moglie Adriana. La Finocchi ed Italo erano sempre pronti a collaborare per il bene di Libarna. Uscivamo sempre con grissini e focaccia che avremmo mangiato arrivati sugli scavi. Una volta dentro all’anfiteatro le gazze ci rubarono parte della nostra colazione. Le raccontai che da ragazzino giocavo a calcio con gli amici nell’anfiteatro. Eravamo penso tra i pochi al mondo ad aver avuto questo privilegio. Rispose che era al corrente di questa usanza ed ora aveva capito chi fossero gli sciagurati. Pranzava sempre al ristorante Eur, spesso con Italo, qualche volta m’invitò e pranzammo insieme. Un giorno la portai a casa mia a conoscere i miei. Mia mamma e Lei erano “di leva”, entrambe nate nel 1924. Tra gli scavi fatti con la Dottoressa ci fu anche un breve tratto dell’acquedotto (in zona Moriassi, vicino alla Cementir), che arrivava in città partendo da Borlasca, alcune tombe per inumazione alla “Cappuccina” (di cui una fu trovata durante la costruzione della Suissa) e alcune urne cinerarie.

Sopra e sotto: l’acquedotto verso Moriassi
Tomba di inumazione “cappuccina”
Tomba per inumazione

Urna cineraria

Durante la stagione invernale l’attività di scavo veniva interrotta e la Dottoressa la sentivo solo al telefono di tanto in tanto. Un altro mio compito in Libarna, oltre a quello di tenere in ordine l’area tagliando erba e rovi potando e innaffiando le rose e altre piante, era quella di fare un po’ da Cicerone. Accompagnavo le scolaresche e le comitive raccontando la storia della città e anche un pochino la tecnica di scavo. Ai bambini delle elementari che mi chiedevano se la ferrovia fosse già stata presente in epoca romana, rispondevo di sì, aggiungendo però che i treni erano di pietra. Non si facevano ingannare perchè ridevano da matti. Qualche volta capitò che fosse presente anche la Dottoressa, curiosa di ascoltare anche lei il mio sermone arricchendolo di ulteriori spiegazioni e colorendolo con esperienze sue su Libarna. In quel posto mi trovavo veramente bene, avevo tutto lo spazio per passeggiare, il tempo per leggere, chiacchieravo spesso con i visitatori ed amici. Alla fine del 1986 Marco Pavani, dipendente del Museo Archeologico di Torino si trasferì con la famiglia a Libarna. Ragazzo poliedrico con fantasia e umanità da vendere. Scrisse la storia di Libarna a fumetti che andò a ruba in tutte le scuole.

Marco Pavani, fumettista

Ma lo scavo più entusiasmante, che mi fece toccare il cielo con un dito, fu lo scavo dei POZZI che si trovano nelle case di abitazione dei due isolati dell’attuale area archeologica.

Il pozzo di una casa di abitazione romana

Purtroppo Libarna è povera di reperti rinvenuti in fase di scavo. Ciò è dovuto al tipo di abbandono che ha subito la città. Gli abitanti probabilmente hanno avuto il tempo di trasferirsi altrove portandosi via tutto quello che potevano. Mi riferisco a tutto ciò che si trovava all’interno delle case. La Finocchi, che stava scrivendo una pubblicazione sulla città, avrebbe voluto trovare qualche utensile, moneta, suppellettili che potessero arricchire la sua opera. Mi disse che avrebbe voluto provare a scavare dei pozzi con la speranza di trovare oggetti caduti o gettati all’interno degli stessi. I pozzi di quell’area della città erano stati utilizzati circa per quattro secoli. Era alta la probabilità di trovarci dentro qualche cosa.

Imbocco del pozzo

Scavare pozzi è molto costoso, tenuto conto del disagio nell’operare e della pericolosità. Sono profondi circa sei metri e mezzo, con diametri variabili tra 70 e 120 cm.

Pozzo a Libarna

Le pietre che li compongono sono messe a secco. All’interno nel periodo estivo c’è circa un metro e mezzo d’acqua. Io , Italo e Renato, segretario della Pro loco cercammo di organizzare lo scavo in economia. Italo mise a disposizione la pompa idrica del suo pozzo di Gazzolo, io chiesi in prestito qualche secchiello da muratore e corda al Gancein. Contattammo due giovani nostri conoscenti tuttofare e si diede fuoco alle micce.

All’insaputa della Dottoressa, che temeva per la mia incolumità, presi parte anch’io al lavoro La mia scusa fu che ero il più mingherlino e contorsionista di tutti. In realtà, come al solito non stavo più nella pelle; quindi uscii dalla pelle ed entrai nei pozzi. Il lavoro durò circa un mese.

Una foto che non feci mai vedere alla Finocchi

La Dottoressa veniva una volta alla settimana ed io in quei giorni mi presentavo in giacca e cravatta per non destar sospetti ma appena la riaccompagnavo al treno indossavo la muta subacquea e scendevo all’interno dei pozzi ricchi e generosi come quello di San Patrizio.Trovammo tantissimi oggetti di uso domestico come ceramica, lucerne ad olio, chiavi di porte, qualche moneta, una trottola, degli aghi, ossa di animali, ecc ecc.

I reperti dei pozzi

Catalogai tutti gli oggetti rinvenuti, li fotografai e li descrissi in una relazione. In una parola mi divertiti come un matto. La Dottoressa fu soddisfatta e inserì questi reperti nella sua pubblicazione che divenne la strenna natalizia di un istituto bancario di Alessandria che ne finanziò le spese ed il cui Presidente, Vittorio Guido, era di Serravalle.

I due anni del servizio civile volarono. Sfruttai un concorso statale per diventare dipendente della Soprintendenza Archeologica di Torino e rimanere ancora qualche anno a Libarna. In quelli anni andai parecchie volte con la Dottoressa a fotografare altre aree archeologiche della provincia di Alessandria: Tortona, Acqui Terme, Villa del Foro. Di lì a poco purtroppo la Dottoressa sarebbe andata in pensione, suo malgrado, per sopraggiunti limiti di età. Subentrò la sua sostituta con la quale ebbi rapporti di lavoro molto formali. Trovai gli stimoli per finire l’Università e mi licenziai. Mi fu difficile staccarmi da quel magico luogo che mi aveva dato tantissimo e al quale credo e spero di aver restituito altrettanto. Continuai a sentire la Finocchi ancora per un po’ di tempo. Le facevo alcune foto qui e la’. Lei sebbene in pensione continuava a scrivere di archeologia.

La professione di medico mi fece entrare in un vortice infinito, quasi soffocante per impegno profuso, orari micidiali e continui corsi e controcorsi di aggiornamento. Era anche soddisfacente ed entusiasmante cercare di alleviare le sofferenze altrui, ma non ebbi più tempo per me stesso, per i miei hobby e le mie passioni. Quasi dimenticai quei magnifici anni passati nel posto più bello del mondo con persone stimolanti arricchenti e buone come la Dottoressa Silvana, il Presidente Italo, il segretario Renato Savini, il Sindaco Raffaele Palamone, il collega Marco. Dopo trent’anni seppi che la Dottoressa Finocchi, ormai novantaquattrenne, sarebbe stata presente ad un concerto che si sarebbe tenuto all’interno dell’area archeologica. Andai contento ed emozionato per poterla salutare, chiederle come stava e se fosse sempre innamorata di Libarna. Purtroppo quando fui al suo cospetto mi resi conto che tanti anni erano passati, mia mamma sua coetanea ci aveva lasciato da tempo. La Dottoressa Silvana era accompagnata da una badante, seduta su una carrozzella e con difficoltà riusciva a sollevare la testa. Mi abbassai su di lei, le strinsi le mani e le dissi che ero Mino, che ero contento di rivederla e di incontrarla proprio dove avevamo passato tanto tempo insieme e tanti bei momenti. Credo che lei mi abbia riconosciuto e che sia stata contenta di vedermi. La salutai, mi feci dare il numero di telefonino della badante. Seppi che abitava ancora in Via Donizetti 2, a Torino dove ero stato una volta. Dopo una settimana chiamai la badante per sapere come stava. La badante mi fece capire che non stava bene e che non sarebbe riuscita a comunicare alla Dottoressa la notizia della mia telefonata. Non chiamai più fin quando dopo più di un anno lessi su Facebook che la Dottoressa Finocchi era mancata. La notizia mi rattristò e in un attimo ripensai a tutto quello che avevo vissuto in quegli anni. Mi venne in mente che ero stato fortunato a vivere quelle esperienze e a conoscere quelle persone. Adesso, quando mi capita di passare vicino all’area archeologica, senza che io lo voglia la mia auto sterza e mi porta davanti agli scavi dove si ferma. Io scendo, do un’occhiata dall’alto, saluto con la mano l’anfiteatro e il bambino che vi giocò al pallone e che poi giocò a fare l’archeologo ed il cicerone. Poi mi chiedo se è stato un sogno o se è tutto vero. Credo sia tutto vero poiché in questo posto mi sento bene, mi sento a casa. Se è stato un sogno che torni presto! Non vedo l’ora di ripartire dal 21 aprile dell’ 85 e rifare tutto senza cambiare niente. Pensato questo, la mia auto si rimette in moto ed io riparto leggero leggero come una piuma, con un po’ di nostalgia, ma sereno e felice di aver fatto visita a Libarna.

Pianta di Libarna utilizzata dalla Soprintendenza

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