attività industrialiDeltaEnciclopediaenciclopedia-approfondimentiRacconti, testimonianze, favole, poesie

Maestri

Quanti maestri hanno contribuito a formare la mia personalità la mia cultura, il mio saper vivere?
In quanti si sono spesi per far sì ch’io migliorassi, giorno dopo giorno?
Non parlo soltanto dei miei genitori, di mia zia Maria, dei miei nonni, degli insegnanti, dei professori e dei sacerdoti che hanno avuto a cuore la mia educazione e ai quali mi sentirò grato in eterno.
Voglio parlare anche di quelle persone, che ho conosciuto, nel corso degli anni, negli ambienti più svariati, che con il loro comportamento, la loro coerenza la loro dignità sono stati per me un grande, imprescindibile, punto di riferimento e alle quali sarò per sempre altrettanto grato.

Fra i tanti, vorrei ricordare qui, oggi, un personaggio davvero singolare che mi ha insegnato la bellezza dell’ironia, la necessità di non prendersi mai troppo sul serio, la capacità di riconoscere in tempi brevi il momento di “scendere dal fico” quando fosse stato il caso.
I suoi modi erano scarni, bruschi, a volte addirittura sarcastici, il suo parlare era un misto di genovese stretto e di italiano maccheronico; il suo mestiere era fare l’elettricista nell’officina di manutenzione elettrica del Delta dove anch’io, diciannovenne avevo appena cominciato a muovere i primi passi. Si chiamava Nicola Mas…lli (il suo nome tradiva le sue origini pugliesi, anche se lui si considerava un genovese di ferro).
I nostri rapporti nun furono molto cordiali, all’inizio.

Serravalle Scrivia, Delta – fine turno

Per lui, nonostante il mio fresco diploma di perito elettrotecnico ero un “pollo d’allevamento”; non così per l’Azienda che voleva che i posti di responsabilità fossero coperti da diplomati e che – per il semplice fatto che avevo conseguito un diploma con ottimi voti – mi aveva assegnato il ruolo di vice capo officina anche se avevo soltanto diciannove anni e fossi alla mia prima esperienza lavorativa.
Superai i primi tempi grazie al mio capo Bruno Paini che mi facilitò l’ambientamento in mille modi insegnandomi quello che a scuola non avrei mai appreso.

Avvenne così che, dopo sei mesi, Paini mi affidò il compito di selezionare dei candidati al ruolo di elettricista di turno. Mi disse che avrei dovuto far fare il “capolavoro” ad un candidato proveniente da Genova, uno che lui conosceva e col quale era amico, perché avevano anche lavorato insieme al porto per molto tempo quando erano entrambi più giovani. Proprio per il fatto che erano amici Paini, volle evitare di esser lui a doverlo giudicare.
Il “capolavoro”, di solito consisteva nel “creare un guasto elettrico” su una macchina e, in ragione della complessità della simulazione, assegnare al candidato un tempo più o meno lungo per risolverlo.

Non ricordo cosa mi frullò in testa quel giorno, fatto sta che per il povero Mas…lli allestii una vera e propria carognata: altro che guasto: andai su un carroponte e sollevai le spazzole dei motori di traslazione del ponte. E questo non era simulare un guasto (è impossibile che tutti contatti a spazzola si “sollevino” contemporaneamente). Insomma, come dicevo, una carognata, perchè a nessuno sarebbe venuta in mente la possibilità di un “guasto” simile!

Il Delta visto dall’elicottero (foto Manuel Bottino – Mino Schiaffino)


Mi presentarono Nicola al quale spiegai brevemente che c’era una gru ferma e che aveva un’ora per farla ripartire.
Egli sentendo parlare di guasto a una gru si rinfrancò: era il suo campo, veniva si o no dal porto?
Ma trascorse quasi tutta l’ora e il problema non era ancora stato risolto.
“Strano”, disse Paini,- intanto sopraggiunto. – “di che guasto si tratta?”-
Quando gli dissi cosa avevo combinato sulla gru, il capo si arrabbiò sul serio:
“Ma ti rendi conto? Questo non è un guasto possibile, questo è un sabotaggio… e quell’uomo è disoccupato e ha una famiglia da mantenere… rischia di non venire assunto… non si può scherzare con certe cose!”
Fui assalito dal rimorso e mi precipitai sul carroponte ove trovai Nicola attaccato al quadro elettrico, sudatissimo e col tester che stava per cadergli dalle mani tanto tremava di rabbia.

Delta, Stabilimento di Genova

Bestemmiava in genovese sconsolatissimo. Allora cominciai a guidarlo verso la possibile causa chiedendogli se avesse guardato i motori.
“Certo”, mi rispose “e non ce n’è nessuno in corto…”
“Ma hai guardato anche sotto le cuffie?”

Mutò immediatamente espressione, corse verso il motore del ponte, aprì la scatola dei contatti a spazzola sul rotore e… mormorò tra i denti:
Ma u l’è abelinou o cossa?…
poi, a voce chiara e distesa mi chiese se avessi un panino con me:
“No, perchè?” – Domandai a mia volta,
Oh belìn, nu ghe l’ha? Beh, scià so o procuri perché le darò un cazzotto da mandarla così tanto in alto che prima che torni giù farà a tempo a morire di fame!”

Finì bene, invece. Ridemmo insieme dell’accaduto e del mio evidente imbarazzo.
Fu assunto e dimostrò di essere un ottimo elemento, il posto di turnista fu suo ed era “alle mie dipendenze”.
Questo non lo digeriva: prendere ordini da un “polletto appena uscito dall’uovo” non gli sconfinferava proprio, mi diceva ridendo.
Inutile dirvi che mi trasse dall’impaccio tantissime volte.
A scuola t’insegnano tanta teoria ma la pratica si dimostra essere sempre un’altra cosa.

Ci fu, comunque un episodio davvero singolare che spiega in modo esemplare il carattere di quest’uomo, mugugnone e allegro al tempo stesso, arrabbiato e placido in rapida successione, generosissimo sempre ma quasi sempre ironico, spesso e volentieri addirittura sarcastico.

Il lingotto a temperatura di estrusione da cui la pressa ricava il tubo che alimenterà le macchine a valle

All’interno del reparto tubificio il “terrore” dei manutentori era la Pressa Schloemann. Essa produceva (e produce ancora oggi) gli estrusi che alimentavano tutte le macchine del reparto. Una sua fermata, se prolungata, provocava (e provoca), a cascata, l’arresto del laminatoio, dei banchi di sbozzo, delle finitrici eccetera.
Un giorno di settembre, al termine del mio turno di lavoro, feci la doccia e mi vestii con un abito buono chiaro, che mi ero portato, perché alle 18 avevo appuntamento con una ragazza.
Erano le 17,30 e giunto in portineria vi trovai l’ingegner Ottonello, allora capo del reparto Tubi che saputo di un guasto alla pressa era sceso dalla macchina e si apprestava a fare ritorno in reparto. Mi vide e mi apostrofò duramente: come, c’è la pressa ferma per un guasto elettrico e io mi permettevo d’uscire? E poi che modo è, mi disse di venire a lavorare col “vestito della prima comunione?”
Immaginatevi l’imbarazzzo e il grandissimo disappunto che provai in quel momento.
Rientrai come una furia, terrorizzato perché dei circuiti elettrici della pressa conoscevo davvero poco e anche dal fatto che avrei dovuto risolvere il guasto con il fiato dell’ingegnere sul collo… senza contare che sicuramente avrei dato buca all’appuntamento con la ragazza che amavo…
Attraversando il reparto mi venne in mente che Nicola faceva il secondo turno, quindi avrebbe potuto aiutarmi e, lupus in fabula, lo vidi in fondo al reparto che stava recandosi a riparare una gru a cavalletto del Magazzino Spedizioni. Quindi, mi dissi, alla Pressa c’è l’altro turnista che non ha chiamato rinforzi…
Allora cominciai a fischiare per attirare velocemente la sua attenzione.
Continuai a fischiare intanto che mi avvicinavo a lui, che si era fermato però senza mai girarsi verso di me.
Quando lo raggiunsi gli urlai:
-“Dài Nicò è un’ora che ti fischio! Non ti sei accorto?
Sì, come no, rispose, – e tu non hai visto che è un’ora che muovo la coda?
Avete sicuramente già intuito che, da allora, non fischiai mai più a nessuno per richiamarne l’attenzione.

Torna alla HOME

Benito Ciarlo

Calabrese di Montalto Uffugo (CS), dov'è nato nel 1950. Vive a Serravalle Scrivia (AL) dal 1968.