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Il figlio del “Campionissimo”: storia di Ettore Girardengo

Partire da un nome per raccontare un’epoca lontana, che non esiste più. Aprire l’album di ricordi di famiglia e lasciarsi andare alla nostalgia. Tutto o quasi ruota attorno allo sport. Il nostro amato territorio come cornice di sfide in bicicletta o dentro campi di calcio. Le due discipline popolari per antonomasia, almeno sino alla metà del secolo scorso.

Constantino Girardengo è il nipote del “Campionissimo” e figlio di Ettore, terzino cresciuto nel settore giovanile dell’Alessandria per arrivare sino al Milan. Una vita, perlomeno quella sportiva, tranciata in due dallo scoppio del Secondo conflitto mondiale. Un racconto che dall’amato genitore si snoda sino al calcio attuale, per poi tornare all’era dei forzati della strada, per dirla con le parole del giornalista francese Albert Londres. Il filo conduttore resta un nome. Un emblema. Girardengo.

Il nostro protagonista in maglia grigia

In famiglia abbiamo sempre preferito tenere basso il profilo. Difficile, se tuo nonno è stato il primo Campionissimo, mentre zio e papà si erano dedicati al pallone”. Senza contare il ramo dei Bailo. Luigi, ciclista “indipendente”, come si diceva all’epoca, e Osvaldo, gloria serravallese delle due ruote. “Lo sport andava preso in maniera seria. Non era un divertimento e nemmeno uno svago. Mio padre lo ripeteva spesso. Se ti piace una disciplina, devi dedicarci anima e corpo”. Il nostro interlocutore è stato giovane portiere del vivaio dell’Alessandria, prima di intraprendere la carriera medica. “E ai Grigi sono, anzi, siamo sempre stati legati”. Ettore Girardengo. “Classe 1918. Terzino. Prodotto delle giovanili alessandrine”. Una semina dorata. Forse, per i giovani d’oggi, che non staccano gli occhi dai video dei vari Neymar e Vinicius su TikTok, questi nomi diranno poco o nulla. Invece sono l’emblema del miglior periodo della fu gloriosa nazionale italiana. Banchero, Baloncieri, il bicampione Giovanni Ferrari. Coppa Internazionale, bronzo olimpico, due mondiali. Tutti partiti con la maglia grigia indosso. “Lo acquista la Cremonese, in Serie B, in prestito dal Milan. Poi, il grande salto al Diavolo. Debutta a Bari, Serie A 1938/39. Sconfitta per 2-1. Poteva essere l’inizio della sua carriera in rossonero, invece…”. Invece la Guerra è una parentesi sanguinosa e tremenda che spazza via tutto.

Ettore Girardengo con il colori milanisti (da magliarossonera.it)

La gioia di giocare a calcio, i sogni di un ventenne novese che aveva appena accarezzato cosa vuol dire arrivare nel gotha di questo sport. Uno dei pochi, ricordiamolo, calciatori del territorio ad aver calcato i prati della massima serie. “Quando l’Italia entra nel conflitto, viene chiamato alle armi. Per sei anni è stato lontano da casa. Fatto prigioniero a Bardhia, in Libia, finisce addirittura in India. Gli australiani deportano lui e altri commilitoni a Bophal. Città che diverrà tristemente nota per l’incidente del 1984. In tutto, rimase imprigionato per cinquantadue mesi. Ci mise un anno a tornare a casa, era il 1946”.

Il mondo non è più lo stesso. L’Italia non è più la stessa ed Ettore si ritrova a essere un ragazzo a cui la furia omicidia di un dittatore ha rubato gli anni più belli. Quelli della gioventù. Nel Paese cosparso di macerie, dove il dualismo Coppi – Bartali e il Grande Torino cercano di rincuorare gli animi della popolazione, occorre rimboccarsi le maniche. La fabbrica di bici di papà Costante. Il matrimonio con Pinuccia. I tre figli. Elena, Paola, mancata dopo appena un anno, e Costantino. Che racconta che sì, Ettore non si è mai staccato del tutto dal calcio, ma guardandolo da una diversa prospettiva. “Sabato e domenica andava a vedere qualche partita delle squadre locali, Novese e Alessandria su tutte. Molti lo riconoscevano e lo fermavano. Non solo allo stadio. Ricordo bene le passeggiate per Novi. Un passante lo salutava e quel saluto durava mezz’ora. Eppure, mio padre ha sempre mantenuto molto riserbo. Non era il tipo che si dava delle arie, che usava il suo nome in maniera pomposa. Un modo di fare che abbiamo ereditato in famiglia”.

Inutile pensare a quante persone lo abbiano bloccato per raccontare un aneddoto, ancora uno solo, sul “Gira” e i suoi rivali. Binda, Guerra, Belloni, Piemontesi. Grandi Giri, classiche, mondiali. Le mitiche Sei Giorni “e in una di queste mio nonno e Alfredo non si parlarono mai. Binda era un galantuomo, sempre pronto a mediare, molto intelligente. Nonno era un peperino, si accendeva in un attimo. Eppure, hanno sempre avuto un rapporto di grande amicizia”. La memoria va ai racconti del Campionissimo a quel nipote che quasi porta il suo nome. “Al Mondiale del Nurburgring, il primo della storia, nel 1927, arrivarono tre italiani sul podio. Girardengo medaglia d’argento, dietro al grande Binda”. Grande anche una volta sceso dalla bicicletta. “Quando i francesi, per ravvivare l’interesse verso il Tour, si inventarono le nazionali, toccò a lui, ottimo stratega, dirigere l’Italia di Coppi e Bartali per dodici edizioni della Grande Boucle”.

Costante Girardengo e un piccolo Ettore al Criterium degli Assi a Milano (da magliarossonera.it)

La parentesi calcistica la dobbiamo, però, riaprire. Perchè Ettore, e con lui suo fratello Luciano e lo stesso Costantino, erano amanti del pallone. “E come puoi pensare, con quel nome sulle spalle, di avvicinarti alla bicicletta?! Nessun figlio di campione è mai riuscito a emulare il padre. A memoria, l’unico che ci ha provato, con coraggio immenso, è stato Axel Merckx”. Il quale conta, nel suo palmares, una tappa al Giro e un bronzo olimpico, tanto per rendere l’idea della distanza lunare con il Cannibale Eddy. Sono sicuro, però, che a mio padre il calcio odierno non gli sarebbe piaciuto. Come non piace a me. La velocità ha cambiato tutto. Sino agli anni Sessanta, la classe e la tecnica la facevano da padrone”. E cita un esempio su tutti. “Mario Corso. Di certo non una saetta, eppure aveva un sinistro che metteva la sfera dove voleva. Tanto gli bastava per essere una spanna sopra gli altri”. Vi era anche chi di spanne, ne aveva troppe rispetto alla media. “Gianni Rivera. Un fenomeno. Un giocatore completo, il migliore. Peccato solo che non esistano più di calciatori così. L’ultimo, a mio modo di vedere, è stato Pirlo”. E di peccati e rimpianti si tinge l’ultima parte della chiacchierata. “Non è più il calcio dei presidenti padroni. Comandano i fondi d’investimento e, a traino, il marketing e tutto il contorno extra campo. Arabi, cinesi, indiani e americani hanno spinto forte sull’acceleratore. Con il risultato che in molti si stanno disamorando del pallone”. Come avrebbe fatto Ettore Girardengo. Un suo ricordo? Chi pensa a una definizione calcistica è fuori strada. “Era mio padre. Una brava persona. Gli volevo bene”.

(estratto da un articolo pubblicato su “Panorama di Novi” il 19-07-2024)

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