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La mia Serravalle

IL NONNO RICORDA. Pochi flash scattati da un settantenne su una Serravalle che non c’è più

INTRODUZIONE (concione che si può anche saltare)
Quando mi si presentano davanti certe immagini legate a dei ricordi lontani almeno quaranta o più anni, mi scappa proprio di pensare che sono diventato vecchio!
Mi sono accorto che da qualche tempo evito persino di passare davanti agli specchi e tralascio di radermi la barba proprio per non vedermi troppo da vicino ma… nonostante certi sotterfugi davvero infantili, devo ammettere che è perfettamente inutile cercare di nascondere a se stessi quello che gli altri vedono tranquillamente. I capelli, quei pochi che mi sono rimasti, sono ormai diventati tutti bianchi e sulla mani la pelle comincia a raggrinzirsi.
La barba, non aggredita dal rasoio, si allunga sempre ogni giorno di più ma il fenomeno sembra che non mi interessi più di tanto visto che più volte al giorno mi riprometto di andarmela a radere e continuo a non farlo.
Quando ero un ventenne, durante l’ultimo mese del servizio militare c’era la tradizione di farsi crescere baffi e pizzetto, avrei voluto esibirne uno alla Bob Taylor nei ”I cavalieri della Tavola Rotonda” ma ogni pelo che mi cresceva aveva un colore tutto suo per cui, nonostante la curassi per benino e crescesse in lunghezza regolarmente, non prendeva né la forma e né il colore che avrei voluto io ed onestamente era proprio brutta da vedersi.
Purtroppo oggi il sostantivo “bruttezza” si è messo bene in evidenza ed è il suo significato è peggiorato notevolmente da quando ai peli di tutti i colori si sono aggiunti quelli dal color bianco argento che a venti anni non erano ancora presenti.
Chi mi vede oggi con la barba lunga, la moda la pubblicizza mostrandola su dei modelli super palestrati che da almeno una settimana non usano il rasoio, non mi considera un “tipo interessante” come dicono di loro ma un clochard, il classico barbone che dorme sulle panchine dei giardini pubblici e si ripara dal freddo con coperte di cartone ondulato.
E’ del tutto inutile che qualche volta il solito buontempone, intenzionato ad omaggiarmi col classico contentino compassionevole, mi voglia far credere che porto bene gli anni che ho e che si dimostri persino pronto a giurare che ne dimostro molti di meno, purtroppo il mio atto di nascita parla chiaro, sono nato nella prima metà del secolo scorso. Io sono un nonno felice con un nipote di sette anni, la sua mamma ne ha 46 mentre lo zio 40 ed inoltre sono prossimo alle nozze d’argento.
Mangiando a dismisura mi sono regalato anche una bella pancia falstaffiana che mi crea tutta una serie difficoltà quando mi devo infilare le calze o legare le scarpe.
A me è sempre piaciuto vestire in modo elegante ed un tantino ricercato anche se mai griffato; la prima volta che ho incontrato mia moglie indossavo un doppio petto blu con la cravatta di seta e non per ostentazione ma solo perché così vestivano quasi tutti i giovani “seri” quando decidevano di andare a ballare e in blu mi sentivo proprio a mio agio!
A venti anni da quel primo incontro lei un giorno mi ha confessato, con una marcata ironia poco distante dalla derisione, che quando mi aveva avvicinato per la prima volta e mi avevano presentato, davanti a lei ero impacciato ed impalato come un autentico pinguino.
Naturalmente non avevo dato troppa importanza alle sue affermazioni pronunciate forse anche con qualche traccia di cattiveria, le sue amiche me l’avevano presentata nel 1969 ed erano gli anni in cui ragazzine che andavano ancora a scuola o che si erano diplomate da poco tempo, erano ancora troppo negativamente influenzate dal sessantotto e lei aveva diciotto di anni ed era fresca fresca di esami.
Adesso voglio svelare un segreto.
Se ho dimenticato nell’armadio giacche e cravatte, non è soltanto perché ci sono stato costretto a farlo a causa dei chili di troppo, ma soprattutto perché ho capito che le belle signore, quando ancora mi vedevano in “alta uniforme”, se mi parlavano sorridendo era solo perché erano naturalmente molto educate ma soprattutto mi consideravano un vecchietto arzillo sempre allegro, capace di scherzare e di far battute spiritose senza mai essere volgare e senza la minima intenzione di invischiarsi in avventure galanti, ricche di proposte maliziose, di cene a lume di candela con “coccole” come dessert.

I RICORDI COMINCIANO DA QUESTO PUNTO

Com’è mio solito, aveva ragione chi mi diceva che sono un terribilmente prolisso, ho scritto una concione di più pagine solo per riuscire poi a fare un banale elenco di attività e di personaggi che sono stati i protagonisti della Serravalle degli anni sessanta.
In quegli anni ricordo di aver contato: nove macellerie, nove coiffeur pour homme ed altrettanti pour dame, c’erano clienti per tutti e al sabato i parrucchieri chiudevano sempre a dopo le undici di sera. Oltre le piccole botteghe dei fruttivendoli e di generi alimentari, c’era persino chi era specializzato unicamente in uova e polli, c’erano quattro norcinerie di un ottimo livello e quattro fornitissime drogherie; una di quelle penso che servisse i suoi clienti da almeno cento anni e un numero imprecisato di panetterie che sfornavano oltre al pane e la verace focaccia ligure, ottima per far colazione col latte delle tre latterie.
Una della salumerie poteva vantare di avere un forno con cui produceva il pane in proprio oltre ai grissini ed ai dolcetti di pastafrolla.
I grissini che sfornava si potevano classificare tra i migliori di tutto il Piemonte e i migliori ristoranti della zona, del livello del Corona di Novi, si potevano vantare di servirli ai clienti.
Questo e quello che ricordo di aver contato io da ragazzo quando avevo provato a fare un confronto tra la via principale di Serravalle e quella e la via Girardengo di Novi, ma i negozi che avevo preso in considerazione erano una minima parte di quelli che esistevano veramente e, forse perché mi è sempre piaciuto mangiare, avevo preso in considerazione principalmente quelli di genere alimentare.
Sapevo per certo, lo diceva la mamma che era una novese convinta della via Cavanna, che molte delle sue conoscenti partivano da Novi per venire ad acquistare in via Berthoud i loro capi di vestiario. Potevano fare le loro scelte tra tre forniti e raffinati negozi di abbigliamento, e mai ritornavano a casa senza visitare prima quei quattro che esponevano nelle vetrine calzature di gran classe (ricordiamoci che uno dei più rinomati di via Girardengo, era emigrato dopo aver fatto una lunga esperienza qui da noi ed aveva inaugurato le sue vetrine in fianco al cinema Moderno).
Bisogna tener presente che quando facevo certe considerazioni il paese non arrivava a superare i quattromilacinquecento abitanti e… le zone al di là del cimitero (vecchio) e di porta Genova erano ancora ritenute di periferia.
Provo a ricordare adesso esclusivamente le attività commerciali che caratterizzavano il tratto di strada che partiva da casa mia in piazza delle Aie, per arrivare alla Chiesa Parrocchiale dove andavo a Messa la domenica. Proprio davanti al Monumento, tutte le mattine arrivavano due carretti che si trasformavano in un attimo in bancarelle di frutta e verdura, le distanziavano tra loro quel tanto che bastava per dimostrare che erano concorrenti e che le due donne che servivano e che badavano alla cassa non erano del tutto amiche. Praticavano naturalmente gli stessi prezzi e il numero di clienti era proporzionato al grado di simpatia che le due “besagnine” suscitavano in loro e forse anche all’appartenenza ad un partito di destra o di sinistra,
Sotto il mio palazzo c’era un bar ed un parrucchiere di cui, per comodità, sia io che papà eravamo diventati clienti fissi nonostante che i due figaro che lo gestivano non fossero dei maghi delle forbici ma erano seri e soprattutto non erano amanti del pettegolezzo, forse di parole ne dicevano anche troppo poche.
Il bar era molto frequentato anche perché nella sala sul retro si poteva giocare a bigliardo e naturalmente anche a scopone o a “cirula”. Uno degli habitué era un personaggio che tutti chiamavano Voghera, ed il motivo lo si capiva dalla cadenza che aveva nel parlare, si capiva chiaramente che era lombardo.
Era un omino che quasi certamente andava anche a letto col borsalino in testa e il mezzo toscano all’angolo della bocca, aveva una voce stridula ed acuta e sembrava che nessun tipo di problema l’avesse mai turbato tanto era ridanciano e scherzoso con chiunque incontrasse. Viveva grazie alla generosità dei pizzicagnoli e dei macellai ai quali tutte le mattine scopava gli ingressi, scuoteva gli zerbini, faceva loro qualche commissione come quella di andare a comperare il giornale. Loro lo ricompensavano generosamente con un pacchetto contenente della carne di manzo, di cavallo, di maiale che lui portava immediatamente dalle suore dell’asilo come ringraziamento per ospitarlo a mangiare sia a pranzo che a cena.
I soliti ben informati dicevano che fosse un ex ergastolano in libertà per buona condotta, sussurravano che avesse accoppato la moglie e da come salutava i carabinieri facendo ruotare più volte il Borsalino, si poteva dedurre che in quelle dicerie qualcosa di vero magari ci fosse. Tutte le mattine andava a fare colazione nel bar anche l’edicolante che aveva il chiosco sulla destra del monumento proprio vicino al marciapiede. Era un anziano con tutti i capelli bianchi che probabilmente, senza averne assolutamente l’intenzione, aveva anticipato di qualche anno la moda dei “capelloni”; lui li portava già allora tanto lunghi che quasi arrivavano a toccargli le spalle. Quando usciva dal bar entrava nell’edicola, prendeva un fascio di quotidiani, se li metteva sul braccio sinistro ed andava a venderli ai passanti a venticinque lire la copia. Aveva due figlie che si occupavano del chiosco, la più grande aveva sposato un amico di papà.
Papà per distinguerlo tra gli altri suoi compagni che magari avevano lo stesso nome, lo chiamava semplicemente il “Ferraiolo”, appellativo che voleva anche essere un complimento perché era risaputo che fosse un carpentiere che sapeva veramente come addomesticare il tondino per ricavarne armature per il cemento armato. Discuteva spesso con lui e naturalmente frequentavano la stessa sezione del Partito. Non mancavamo mai, nei tre giorni del Festival de l’Unità in piazza Bosio, di andare a veder ballare il Ferraiolo in coppia con la moglie. Valzer, tanghi e mazurche, diventavano veramente uno spettacolo, quei due erano paragonabili a Fred e Ginger, lui solitamente indossava un abito bianco rigato di nero e lei vestiva elegantemente anche se non era in abito da sera.
In fianco all’inizio di via dei Cappuccini una latteria era diventata per tutti il bar degli immigrati che dal sud erano venuti a cercare un posto di lavoro nelle aziende della zona. Anche se qualcuno di loro aveva pensato bene di imparare immediatamente e con ottimi risultati il nostro dialetto , quando andavo a comperare il litro di latte potevo ascoltare una miscellanea di lingue che partendo dal napoletano arrivavano al trapanese.
Le pie donne che quando erano finiti i Vespri o la messa delle cinque per tornare a casa erano costrette a passare sul marciapiede opposto al bar dei “terroni” acceleravano immediatamente il passo e sussurravano tra di loro: “Un se pò passò li davaunti ‘ncu tuti si muri neigri! L’è periculusu i gan saimpre e cuté in ta staca”.
Forse erano le stesse donne che facevano mettere ai loro mariti, sui portoni dei condomini, “Non si affitta ai Meridionali”.
La mattina di certi giorni della settimana una sorta di cow-boy che però parlava con una spiccata cadenza romagnola e non texana faceva le “vasche” sù e giù per il paese tenendo in mano le briglie di due puledri. Era il sistema che Fernando il macellaio aveva escogitato per far pubblicità alla sua carne ed ai suoi salamini, che erano veramente insuperabili e lui ci teneva a far sapere a tutti che macellava solo puledri e non vecchi ronzini!
Per dimostrare che non faceva i soliti mastruzzi quando il negozio era chiuso, i salamini li impastava ed li insaccava sul momento davanti al cliente.
Si era impegnato anche a fare i salami stagionati ed ogni qualvolta che andavamo a comperare da lui, ce ne regalava uno, per convincerci che erano migliori di quelli di porco del “Cisculo”. Ci aveva provato molte volte ed ad “onor del vero” non erano nemmeno tanto male ma non era riuscito convincerci a diventare consumatori abituali. Papà aveva espletato il servizio di leva in cavalleria ed aveva trascorso sei mesi in sella a Quassolo, un mezzosangue sauro bellissimo che misurava ben due metri al garrese.
Sembra impossibile ma lungo solo poco più di cinquanta metri della via Berthoud si potevano trovare: un negozio di stoffe, la macelleria bovina di cui eravamo clienti, un ferramenta, il bar tabaccheria dell’Angelo, una salumeria, un negozio di abbigliamento che mi vedeva spesso tra gli acquirenti, un mobiliere e, a fare angolo con la salita che portava alla Parrocchia, l’unica Farmacia. Io che ero stato abituato sino da bambino ad entrare in quella di Dellepiane in fondo a via Roma o da Giara in Via Girardengo, l’avevo trovata enorme e soprattutto forse era anche la prima volta che mi era capitato di vedere una donna laureata in farmacia, avevo sempre visto dottori e commessi.
Un particolare che caratterizzava il Bar tabacchi e che mi era rimasto impresso, aveva un banco enorme dove teneva in tantissimi piccoli loculi le sigarette sciolte di tutte le marche, ne vendeva anche una con tanto di bustina e riusciva persino a dare il resto a chi pagava con le mille lire. Il banco bar aveva un’altezza insolita e quando qualcuno ordinava un caffè era lui che stabiliva quanti cucchiaini mettere col cucchiaino nella tazzina e glielo mescolava anche, non voleva assolutamente che lo facesse il cliente!

Sull’altro lato della strada c’erano forse meno attività commerciali; vi si trovavano: un secondo negozio di abbigliamento e una terza macelleria, questa era bovina, le Poste e Telegrafi con sportelli ed uffici e la sede dell’ACLI dove l’avvocato Allegri aveva provato ad insegnarmi il tedesco ma con scarso successo. Sotto l’egida de Patronato teneva settimanalmente corsi serali per adulti, naturalmente gratuiti, di lingua Francese, Inglese e Tedesca.
Il Nene di lingue ne conosceva e soprattutto ne sapeva insegnare almeno sette, considerando il fatto che stava imparando anche il cinese.
Dopo la sede dell’ACLI c’erano una parrucchiera per signora ed la “salumo-pannetteria” le cui titolari erano due donne nubili che io studente trovavo già anziane allora e che erano anche amiche del Cisculu al quale non avrebbero mai cercato di fare concorrenza e tantomeno di rubare i clienti. Era proprio quella di cui ho fatto qualche cenno prima e che era famosa, oserei persino dire in tutta la provincia, per i grissini all’olio ed i canestrelli di pastafrolla.
Chiudeva la rassegna dei negozi posti sul lato destro di via Berthoud, spalle a porta Genova proprio il Cisculu, l’unico negozio, di un certo livello che io abbia mai conosciuto, che non offriva al cliente tre qualità di salumi, di olio o di caffè, ma il Prosciutto, della coscia che bolliva e poi stagionava nel suo laboratorio, il Salame, di puro suino che preparava ed insaccava rigorosamente lui e che vendeva solo quando era pronto, il Caffè o l’Olio e posso garantire a chiunque che il Cisculu ed il figlio Spedito sapevano scegliere i prodotti da vendere.
Stavo dimenticando la tipografia Frascarolo, il Parrucchiere ed un calzolaio e soprattutto un piccolo particolare che forse non tutti conoscono o non ricordano Tutte le volte che nelle sale d’aspetto delle stazioni era esposto il manifesto che reclamizzava il Coricidin, una bella ragazza che stava per starnutire, papà non perdeva l’occasione per ricordarmi che conosceva quella signora, era di Serravalle ed era la titolare proprio di quel negozio di abbigliamento sul lato sinistro della strada vicino al macellaio.


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