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Via Montespineto

Cronache di vicinato

Quando abbiamo costruito la nostra casa a Serravalle (1973) ci aspettavamo di dover affrontare alcuni problemi pratici, ma non certo quello del recapito della corrispondenza. Non avevamo considerato però che il cancello della casa, in Via Montespineto, al civico 45, è inevitabilmente collocato sul confine del mappale di proprietà, che è in Serravalle, e coincide perfettamente con il confine comunale tra Serravalle e Stazzano. Cosicché il solerte portalettere non concepiva l’assurda (per lui) idea di recapitare la posta ad un indirizzo di una strada del paese confinante. Invano abbiamo tentato di illustrargli i misteri dell’agrimensura e gli incidenti amministrativi che originano dai confini. Una laboriosa conferenza di Yalta in sedicesimo (alla quale non partecipò il tetragono portalettere in carica) portò alla soluzione del problema, mediante attribuzione di una casella presso il locale Ufficio postale, dalla quale ritirare la corrispondenza.

Da allora il progresso ha cambiato le cose: le caselle postali si sono trasformate da gratuite ad onerose; le Poste Italiane sono diventate una banca e malvolentieri si occupano di corrispondenza; i portalettere si sono piegati a sconfinare (dopo la rinuncia alla costosa casella postale e le nostre vibrate proteste circa il diritto a fruire del servizio di recapito della corrispondenza) e i navigatori satellitari ed i corrieri che li impiegano sistematicamente, vanno in totale confusione sull’ambiguità del riferimento dell’indirizzo, recapitando a me pacchetti indirizzati ad un signore che sta a Stazzano, per quanto al mio stesso numero civico.

Questo aneddoto evidenzia, oltre al rigore con il quale praticano l’osservanza del mansionario i portalettere e ai benefici del progresso, la peculiarità della Via Montespineto, che, salendo dal Lastrico, in territorio di Serravalle, e da Via Umberto I (la locale Via Montenapoleone) in quello di Stazzano, ma con identico nome, reca, come unica destinazione, al Santuario di Nostra Signora del Montespineto. Già la partenza dal Lastrico è piuttosto singolare; dopo un primo tratto rettilineo e un angusto passaggio obbligato sotto un fornice di altezza ridotta, che sottopassa la linea ferroviaria Genova – Milano, la via sembra finire contro un terrapieno: ma poco a sinistra, dopo l’incrocio con la Via Vecchia Vignole (ovviamente dotato di apposito segnale di stop e di specchi convessi), riprende, in lieve salita, verso l’oratorio di S. Michele, dove nuovamente sembra finire.

L’oratorio di S. Michele

Con sorpresa di chi perseverasse a procedere, di fianco all’oratorio, tra l’edificio di sinistra ed un muraglione di grandi conci di pietra, sempre ornato di bei muschi verdeggianti che ne testimoniano la veneranda età, la strada prosegue con una curva a gomito.

L’edificio sulla sinistra, di cui si diceva, è la ex Villa Delfino: abitata tempo addietro dalla famiglia Delfino.

In casa mia si diceva, abbassando un po’ la voce (in quei tempi vicende come queste non erano consuete, o almeno, non era abitudine parlarne), che negli anni ’50/60, il capofamiglia fosse stato associato alle patrie carceri (“…l’hanno messo in gattabuia!”).

La villa aveva un parco che scendeva fino alla via vecchia Vignole; in parte venduto (forse espropriato) per costruire le case GESCAL ; in parte acquisito dal Comune – credo in conto oneri di urbanizzazione – per realizzare un “parco” pubblico: una vera idiozia urbanistica! Non ci va mai nessuno, è tenuto in modo infame ed è un puro costo a bilancio. La casa invece, ampiamente rimaneggiata, è ora un normale edificio residenziale.

Di fianco all’oratorio di S. Michele, quasi allineata allo spigolo posteriore sinistro, una sbarra chiude una strada di accesso alla villa dei Casareto. Io non ci sono mai stato, ma mi dicono sia molto grande e in completo abbandono (a causa delle miriadi di eredi, sparsi per tutto il mondo. Fa quasi rimpiangere l’antico sistema della primogenitura: il patrimonio al primogenito, e gli altri preti – o suore, a seconda del genere – o militari di carriera!). Sul terreno di proprietà, che circonda la piazzetta acciottolata di fronte a S. Michele e scende fino alla Via Vecchia Vignole crescevano alcuni annosi esemplari di robinia (gaggia, secondo la dizione locale) ed il Comune aveva imposto, con sindacale ordinanza, di potare i rami pendenti sulla sede stradale della Via Vecchia Vignole: l’improvvida decisione dei proprietari di risolvere radicalmente il problema, abbattendo tutti gli esemplari esistenti su quell’appezzamento, ha portato al paradossale risultato che oggi esso si è trasformato in un arruffato ed incolto intrico di giovani robinie (venti volte il numero delle preesistenti), che presto rinnoveranno la problematica alla quale cercava di porre rimedio l’ordinanza del Sindaco. 

Imboccata la via che sale dopo la stretta curva, se si prosegue diritto (la via Montespineto curva invece a destra) si arriva dopo breve stradina al cancello di Gazo; è una vecchia cascina, una volta di proprietà della famiglia Risso (la Villa Risso è più avanti ed ha accesso dalla via vecchia Vignole – o forse da viale Regina Elena – ma già in Stazzano); oggi abitata dai Toniolo, che dai Risso discendono.

Salendo e trascurando le quattro abitazioni, da sempre a carattere agricolo, sulla sinistra (Villa Elisetta, la Gnocca – absit iniuria verbis – Villa Lillo Jolanda e Villa Negro, si incontra al civico 35 il cancello (la villa è assai più in alto) di Villa Erizzo (per i nativi Marenco o “È palàciu”: sembra che la ragione di quest’ultimo appellativo risieda nel fatto che originariamente la facciata principale della parte padronale dell’edificio fosse decorata a trompe–l’oeil  con colonne e lesene barocche: superstite solo un tondo con madonna sotto il colmo degli spioventi del tetto).

Rielaborazione dell’autore (2011) di una cartolina disegnata dal pittore Vsevolode Nicouline per gli amici Erizzo

Proseguendo, sulla destra si intravvede nel folto del bosco che fiancheggia la via, una stradina che dà accesso al Cascinotto (proprietà dei Casareto) e, poco dopo, in corrispondenza della palina arancione dell’oleodotto, sulla sinistra, ormai quasi invisibile a causa dei rovi, l’accesso alla Ciapette (di proprietà del “materassaio” Canegallo e di circa un milione di eredi sparsi per il mondo – credo che non riusciranno mai a vendere, anche per lo sproposito che chiedono per quel rudere).

Salendo ancora, poco dopo, a sinistra sorge un doppio cancello, l’un dei quali dà accesso a San Biagio (è Talian) dimora estiva amata (poco all’inizio e moltissimo poi) di Ettore Erizzo e dei suoi discendenti.

Subito dopo , un altro cancello dà accesso alla parte colonica di San Biagio: usciti a San Martino gli ultimi “manenti” è stata gradevolmente colonizzata dagli Erizzo (rectius dai Cambiaso, che degli Erizzo sono discendenti) per ampliare la parte residenziale.

Proprio di fronte una strada attraversa la valle, con ripida discesa e, giunta al fondo, con inversa inclinazione risale l’opposto versante, dando accesso al “La ginestra”, casa di residenza dell’arch. Dazzi (fratello dell’ex Sindaco, Emanuele) con annessi e connessi. Il nome – un po’ esotico – testimonia tuttavia la grande diffusione in valle, qualche decina d’anni fa, della ginestra (Cytisus scoparius e Spartium junceum ); oggi quasi scomparsa.

Al culmine di un tratto della via con maggior pendenza, sulla destra, in corrispondenza di un tornante, un cancello chiude l’aia della cascina le Monache, (abitazione della famiglia Merlo); un tempo faceva parte della proprietà Erizzo ed era stata lasciata dal padre, Paolo Francesco, in eredità a sua figlia Bianca: lei, andata sposa a tal Pippo Giglio, possessore di un’altra casa serravallese (la Volpara, sull’altra sponda della Scrivia) se ne liberò prestamente vendendola. Il problema è che il sig. Pippo Giglio pensò bene di liberarsi a sua volta della moglie, Bianca, lasciandola così senza “residenza estiva” e, ovviamente, senza marito.

Ora la via Montespineto sale a destra verso il Santuario (qui iniziano le cappellette della Via Crucis) e scende invece a sinistra verso Stazzano.

Optando per la discesa verso Stazzano, si percorre un tratto di via, fiancheggiato sulla sinistra da una siepe di arbusti spinosi: è una siepe di Maclura pomifera (o Arancio degli Osagi: con il suo legno, duro ed elastico, i nativi d’America fabbricavano archi da caccia); è una stazione unica nei dintorni. Produce un frutto assolutamente non utilizzabile, ma è bello a vedersi ed emana un lieve profumo di agrume.

I “pomi” della Maclura

Alla prima curva, sul lato a sinistra, un cancello verde dà accesso a la Pietra (nome desunto dal Regalo del Mandrogno per esplicita indicazione/dolce imposizione di Ettore Erizzo), che è la casa ed il cancello di cui si parlava all’inizio di questo racconto. A destra del cancello sbuca sull’asfalto il sentiero che, partendo da Stazzano, sale al Seminario (oggi RSA Castello di Stazzano) e poi sino a qui; il lato sinistro del sentiero segna il confine tra i due Comuni, per la gioia di tutti i portalettere.

Scendendo, sulla destra, si incontra, in posizione poco più elevata rispetto alla strada, Casareggio (proprietà del Santuario, cioè del Vescovo di Tortona – attualmente disabitata e in vendita). In origine la casa e gli annessi rurali erano complanari alla strada, ma, dopo che una grande frana aveva interessato il tratto di strada che li affianca, il ripristino della sede stradale è avvenuto su un piano a quota inferiore, considerato il volume di materiale che è slittato a valle. La frana sta lentamente ma inesorabilmente muovendosi di nuovo. La cascina possiede un bellissimo orto nel fondovalle (ancora in esercizio, ovviamente in concessione), affiancato dal rio, che garantisce abbondante provvigione d’acqua.

Poco più a valle, sulla destra il cancello con la strada di accesso alla Ganöfra , di proprietà della famiglia Balbi (farmacia), ampiamente ristrutturata e dotata di piscina. Qui un giovane (che io non ho mai conosciuto) aveva collocato una batteria, evidentemente ricevuta in dono da saggi genitori che gli avevano intimato di collocarla “in campagna”. Per un lungo periodo, in estate, si è impegnato in esercizi di percussione, condotti con particolare vigoria (da qui la deduzione sulla giovane età), in momenti postprandiali, quando la quiete intorno avrebbe indotto al riposo, per la delizia dei suoi vicini (cioè noi, che siamo, per quanto dall’altra parte della valle, suoi dirimpettai!). Da qualche tempo non ne ho notizia (sonora). O si è stancato delle percussioni, o è stato scritturato da qualche orchestra: in quest’ultimo caso gli auguro ogni fortuna e lunghe tournee: all’estero!

Proseguendo la discesa, a destra un cancello chiude un’erta che mette capo alla Cascina Il governo.

Decisamente più in basso, a sinistra, una stradina si inerpica sul versante, dando accesso ad una cascina (la Micca) trasformata in residenza estiva da un architetto milanese (questi architetti milanesi …!).

Poco più oltre a sinistra, ad una quota inferiore al piano della strada, la cascina Cifulada, dove si possono vedere ancora bestie al pascolo (oves et boves) sui prati dei terreni di competenza della cascina; è ormai diventata una visone singolare, quasi unica in tutta la vallata. È l’ultima costruzione isolata, prima dell’inizio dell’abitato di Stazzano.

Proprio sull’altro lato una strada asfaltata (almeno nella tratta visibile) si diparte dalla principale per condurre, stando ai cartelli che così recitano, a due cascine situate a mezza costa: S. Pietro ed Erminia.

La Via Montespineto scende, attraverso le case a sinistra ed uno scosceso costone di arenaria a destra; poi, divenuta completamente urbana, tar le case del paese, fino a congiungersi con la centrale Via Umberto I, ma con un ultima sorpresa: un vero coup de théâtre, perché l’ultimo tratto è a senso unico (in salita), costringendo chi scende ad una svolta in via Vallescura (il nome è già un programma!): una strada a doppio senso, la cui ampiezza garantisce il passaggio ad un solo veicolo per volta; ragion per cui bisogna affacciarvisi e scrutare alla fine della strada, cinquanta metri più avanti, se non sopraggiunge nessuno; solo allora conviene avventurarvisi, sperando che nessuno la imbocchi nel frattempo in senso opposto.

La Via Vallescura non è certo più larga della Via Montespineto in quel tratto finale tra le case: è solo più corta. Ma l’urbanista che è in me si domanda per quale mai ragione la Via Vallescura non sia a senso unico, in direzione opposta alla tratta conclusiva della via Montespineto: così da una parte si sale, dall’altra si scende. Mah!? La prima volta che mi capiterà di incontrare il portalettere al cancello, gli chiederò lumi in proposito.

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