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PIANA, Giovanni Marco

Giovanni Marco Piana (di Giuseppe Piana e di Maria Piccone / Spinetta Marengo, Alessandria, 26 aprile 1913 / Addi Arcai, Eritrea, 4 aprile 1938).

Operaio, autista, vittima civile in Africa Orientale Italiana.

Giovanni Marco Piana, di origini alessandrine, nacque a Spinetta Marengo, sobborgo di Alessandria, il 26 aprile 1913, figlio di Giuseppe Piana, operaio, e di Maria Piccone, casalinga. Orfano di guerra, crebbe in umilissime condizioni con la madre vedova e due fratelli. Trasferitasi la famiglia a Serravalle, la madre prese in conduzione un fondo agricolo con contratto di mezzadria nella campagna in località Fabbricone. Giovanni Piana, per contribuire al sostentamento economico dei suoi cari, decise di emigrare in Africa Occidentale Italiana. Operaio trafilatore, trovò un’occupazione alle dipendenze della “Società Nazionale Trasporti” dei Fratelli Gondrand di Milano, come autista. Nel 1937 la “Gondrand” era salita alla ribalta delle cronache nazionali per aver trasportato a Roma la famosa Stele di Axum, trafugata dagli su ordine del Duce, per celebrare il venticinquesimo anniversario della Marcia su Roma ed il primo dell’Impero (Nella foto in alto, tratta dal sito www.acciesse.org, il trasporto sulle piste d’Etiopia di uno dei tronconi della Stele di Axum, da parte del personale della Gondrand ). Giovanni Piana morì Il 4 aprile 1938, in Eritrea, ad Addi Arcai, nella zona del Torrente Enzò, ucciso durante un’aggressione armata da parte di un gruppo di guerriglieri abissini, subita nella zona del Torrente Enzò.

Numerosi furono gli attacchi portati dalla resistenza locale ai cantieri ed ai convogli di lavoratori italiani, spesso con esiti sanguinosi come accadde il 13 febbraio 1936 nel cantiere della “Gondrand” di Mai Lhalà, in Etiopia, che si risolse in un eccidio: 68 italiani e 17 eritrei trucidati. La società Gondrand onorò la memoria di tutti i suoi dipendenti caduti sul campo, con una cappella edificata nel 1937 all’interno del Cimitero Cristiano di Asmara (Eritrea) nell’area riservata al Cimitero Militare. Il sacrario è dedicata a coloro – civili o militarizzati – che avevano perso la vita in terra d’ Africa per malattia o per atti di guerra. Il Sepolcreto custodisce le spoglie di 778 italiani, di cui 6 Ignoti, deceduti dal 1890 al 1950. (Nella foto di lato, tratta dal sito www.acciesse.org, la cappella Gondrand, Asmara).

Sul “fronte del lavoro coloniale” perse la vita anche un’altro lavoratore serravallese, Fedele Alberto Raviolo, detto “Berto”, di Pietro Raviolo e Carlotta Mazzacane, nato il 7 giugno 1899, a Serravalle. Nel 1928 si trasferì a Genova. Emigrato in A.O.I., giunto in Eritrea, nel 1938 acquistò un autocarro con un connazionale di Assab, effettuando autotrasporti su ingaggio al servizio di ditte italiane locali. Sciolta la società, proseguì l’attività in altre forme. Nel mese di maggio 1939, durante un viaggio di lavoro a Gondar, in Etiopia, alla guida del suo camion, mentre si trovava a circa 30 chilometri dalla destinazione venne colto da un’improvviso malore. Ricoverato nel locale ospedale militare vi morì il 1 giugno per gli esiti di “perniciosa malattia”. Un gruppo di altri serravallesi emigrati in A.O.I., colpiti dall’improvvisa scomparsa di Raviolo, si impegnarono con la famiglia a posare una lapide in ricordo dell’amico “Berto”. Il fratello minore di Fedele Raviolo, Mario Giuseppe Raviolo, milite della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, era deceduto, anch’esso in terra d’Etiopia, il 4 febbraio 1936, stroncato dal tifo petecchiale. Un’altro fratello, Luigi Raviolo, era già morto eroicamente durante la la Prima Guerra Mondiale, ferito gravemente in combattimento sul Carso, decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Tra i serravallesi che emigrarono in Africa Orientale Italiana per lavoro anche Giuseppe Bagnasco, antifascista, detenuto politico, operaio alle dipendenze della ditta “Puricelli”, arruolato con un contingente di 200 operai dalla Delegazione di Busalla (GE) del Commissariato per le Migrazioni Interne. Partito nella primavera del 1936, vi rimase sei mesi e poi rientrò in patria.

Interessante la ricostruzione del lavoro italiano nella costruzione della rete stradale in A.O.I. proposta dal saggio “La realizzazione della rete stradale in Africa Orientale Italiana (1936-41)“, di Stefano Cecini, pubblicato sul sito www.dprs.uniroma1.it : «…La sera del 9 maggio 1936, Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia, annuncia alla folla la “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”… una delle prime preoccupazioni del regime, dopo aver disciplinato l’amministrazione dei nuovi possedimenti, sembra essere quella del varo del piano per la costruzione della rete stradale… L’incarico di realizzare la rete stradale è affidato… all’AASS, l’Azienda Autonoma Strade Statali nata nel 1928… I primi operai italiani “inviati dal Duce” per la costruzione delle strade fondamentali sbarcano il 9 novembre a Massaua e l’11 novembre a Gibuti. Sono un nucleo di 3.500 operai che Mussolini passa in rivista a piazza Venezia prima della partenza. Tra il novembre del ’36 e il gennaio del ’37 giungono in Etiopia dall’Italia circa 30.000 operai. Ma questi non sembrano sufficienti all’AASS che richiede un ulteriore invio di 12.000 operai che arrivano a marzo del ’37. Il Commissariato per le migrazioni interne è l’organo che ha il compito di regolare l’afflusso della manodopera dall’Italia verso l’AOI e di coordinare i trasferimenti degli operai tra i vari governatorati dell’Impero e tra le varie ditte. La presenza massima degli operai italiani presso i cantieri delle strade fondamentali si raggiunge a giugno ’37 con 63.530 unità… Il rapporto di lavoro tra gli operai dediti alla costruzione delle strade e le relative ditte assuntrici segue un difficile percorso, analogo a quello di tutti i lavoratori italiani impegnati in Africa, anche prima della conquista dell’Impero. Per quanto riguarda i lavori stradali eseguiti in Eritrea prima dell’inizio del conflitto, si impiegano decine di migliaia di operai appartenenti al Genio militare, ma anche a ditte private, tra cui la “SICELP”, la “Puricelli”, la “Parisi”, la “Vaselli”, e la “Gondrand”…».

Così si descrivono le condizioni di lavoro degli occupati italiani: «…Il Gabinetto dell’Alto commissario Emilio De Bono avoca a sé il servizio del vettovagliamento, dell’assistenza e della tutela sanitaria degli operai, con effetti disastrosi sulle condizioni di lavoro. Presso i cantieri viene meno il rispetto delle norme sindacali vigenti in patria… Pertanto gli operai sono inquadrati nelle Unità Lavoratori e suddivisi in centurie, compagnie, gruppi e raggruppamenti. Il contratto ha la durata di cinque mesi, la paga minima è di 25 lire giornaliere per i manovali, la massima è di 35 lire giornaliere per gli operai specializzati, per una giornata di lavoro di dieci ore, e mezza giornata di riposo settimanale. A volte si istituiscono turni notturni e si distribuiscono lavori a cottimo. Agli operai spettano le spese per il trasferimento al cantiere e per il vitto, spesso carente. Gli alloggiamenti sono costituiti da baracche o da tende. Lo stesso De Bono non nasconde al duce le difficili condizioni in cui gli operai sono costretti a lavorare: la questione dello alloggiamento, vettovagliamento, et assistenza morale et religiosa di questa massa operaia fu questione gravemente seria […] vi sono state molte lamentele […] dipendenti molto da promesse fatte in patria agli operai che esorbitavano dagli impegni bilaterali di contratto […] molti operai sono qui venuti senza volersi formare la coscienza dei sacrifici ai quali devono sottostare. Si aspettavano miracoli ma il miracolismo est antifascista. Le condizioni di lavoro presso i cantieri stradali eritrei sono rese ancora più difficili dalle gravi carenze della struttura medico-sanitaria che si muove al seguito degli operai… In Africa orientale quindi, la disciplina dei rapporti di lavoro è regolata da norme e principi che si discostano radicalmente da quelli applicati in patria. Infatti in Italia, come prevede l’ordinamento sindacale corporativo, gli organi preposti al controllo della corretta esecuzione dei contratti di lavoro e alla vigilanza e al coordinamento dei singoli operatori economici dipendono dal Ministero delle Corporazioni, e sono quindi organi dello Stato. In Africa orientale invece, questi stessi organismi sono nominati e controllati direttamente dal PNF… La forte caratterizzazione politica dei rapporti di lavoro è testimoniata anche dall’inquadramento dei lavoratori nazionali dell’AOI nei Reparti lavoratori della MVSN. Si tratta di una sorta di “militarizzazione” della forza lavoro nazionale che le conferisce caratteristiche diremmo quasi di “brigata del lavoro”… né va sottaciuto il fatto che in questo contesto gli operai delle strade fondamentali sono divisi in manipoli, centurie, coorti e legioni, vestiti e «equipaggiati come soldati», anche se con il fucile “70-87, modello 16 di preda bellica”. Pochi infatti “sono armati con il nostro 91″… Comunque le condizioni di lavoro degli operai presso i cantieri delle strade fondamentali sembrano migliori rispetto a quelle degli operai impegnati in Eritrea prima e durante il conflitto… La paga piuttosto alta, e la difficile situazione economica che si vive in patria, attira prima in Eritrea, e poi in Etiopia, una massa di persone… Ma anche presso gli operai ingaggiati dalla ditte private i problemi non mancano: …C’erano ditte serie e ditte che non pagavano… Se non stavamo zitti ci rimpatriavano […] eravamo tutti malati all’intestino perché si mangiava male e il cibo era poco pulito […] la ditta non ci pagava mai… Si mangiava male, molto… i sorveglianti erano tutti della Milizia fascista,… maltrattavano e… rimpatriavano…».

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