Chi trova un amico trova un tesoro: Giorgetti e il “Rein” Celotto
by Lorenzo Bisio
Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene e tutta una vita per dimenticarla !
(Charlie Chaplin)
Il “Rein” Celotto, come tutti lo chiamavano e lo conoscevano, era per me uno di famiglia, un parente stretto, tanta era l’amicizia che lo legava a mio padre e a mia madre, una persona speciale per generosità e nobiltà d’animo.
Era il fratello della Ida, titolare insieme al marito, Carlo Punta, di un elegante negozio di abbigliamento situato in via Berthoud, accanto al negozio di ferramenta di Romeo Canuto, padre di Tonino, soprannominato “e mulita ” perché molava e affilava forbici e coltelli (dove oggi sorge la pasticceria di Franchino Carrea).
L’ho conosciuto da piccolino perchè il “Rein”, nonostante in gioventù possedesse una lavanderia a Sestri Ponente, alla vita da play boy e all’aria di mare della Riviera preferiva i suoi amici “discasè e legere” di Serravalle e il fumo delle sigarette, fitto come la nebbia di Milano, del Bufè da Stascioun.
Il primo ricordo che ho di lui è quello di un signore magro e abbronzatissimo, in camicia estiva, col sorriso stampato sulle labbra, sempre pronto ad offrire da bere a tutti, alla guida di una fiammante Spider decapottabile.
Mio padre Giorgetti, pur avendo la patente, non ha mai guidato una macchina in vita sua; “vox populi” dice che questa sua paura, al limite della fobia, fosse dovuta al fatto che, da neopatentato, nella rotonda della stazione a Novi Ligure avesse leggermente urtato, alla velocità stratosferica di 10 km all’ora, una donna, facendola cadere a terra, fortunatamente senza alcuna conseguenza.
Sta di fatto che era rimasto scioccato per cui anche a me era inibito, pena delle interminabili ramanzine, salire in macchina con chiunque, anche se parenti, ad eccezione del “Cilu” Sericano, che aveva sposato Maria, la sorella di mia madre Lucia, e di professione faceva il taxista, e del “Rein Celotto”.
Così, non appena avevo visto la sua spider cabrio mi ero letteralmente tuffato sul sedile anteriore, e lui sorridendo mi aveva portato a fare un giretto ad Arquata Scrivia.
Come Vittorio Gasmann e Jean Louis Trintignant nel film “Il sorpasso” di Dino Risi, lungo il rettilineo che dagli scavi dell’antica Libarna porta alla località Picareto (quella del famoso “Tou d’ è Picaè”) avevamo superato tutte le macchine incontrate sul percorso, e lui, che mi aveva messo al collo il suo prezioso foulard in seta bordeaux con i dadini blu, suonava il clacson in continuazione, facendo di me il bambino più felice del mondo.
Lui e Giorgetti avevano in comune due doti assai rare nel genere umano, la generosità verso il prossimo e la capacità di sorridere alla tristi vicende che la vita aveva e avrebbe loro riservato, e due passioni, se così possiamo chiamarle (qualcuno li chiamerebbe vizi), che li accompagneranno per tutta la vita, a prescindere dall’età e dalle disponibilità economiche, le sigarette e il gioco delle carte!
I suoi tour settimanali a Serravalle avevano un preciso scopo; incontrare gli amici della sua giovinezza, farsi una partitina a “gofu” (in italiano goffo) gioco d’azzardo di origine spagnola, o un bel “girone” (tressette, scopa quindici, briscola e cirula) ed ascoltare un po’ di “cetti” (pettegolezzi) sui vari personaggi del paese.
Mia madre gli raccomandava sempre quando rientrava a casa alle 2 – 3 di notte, dopo estenuanti tour de force al tavolo da gioco : “Am racumaundu Rein, va pian”.
E lui sorridendo : “Lucy sta tranquila!”
Finchè una sera, sulla autostrada A7 Genova – Serravalle, tornando verso il paese che tanto amava, non lo colse un malore improvviso (ictus? ischemia cerebrale ?); ebbe la prontezza di accostare la macchina su una piazzola per non provocare un incidente e crollò privo di sensi.
Lo trovò una pattuglia della Polizia Stradale in piena notte; fu prontamente ricoverato all’ospedale di Busalla ma purtroppo riportò una menomazione permanente al braccio e alla mano, credo sinistra.
E questo avvenimento, se cambiò e condizionò pesantemente le sue abitudini (ritornò a vivere a Serravalle e fu costretto a ritirarsi dal lavoro), non cambiò affatto la sua filosofia di vita.
Me lo ricordo sempre sorridente, al mattino, dal mitico barbiere Peo a sparare “belinate” insieme a Lucianino Cartasegna, al “Bresso” Ferrari, al “Ciuein”, al “Gilu” Bergonzo e a “Bonhof” Bonoldi, e al pomeriggio al bar con le carte in mano, che sistemava a fatica, ma con grande cura e meticolosità, tra le dita.
E all’ora di pranzo e cena, puntuale come un orologio, tornava a casa, nel palazzo dell’Eur, da sua madre “Suntein”, un donnino mingherlino con i capelli bianchi raccolti nel “ciuru”, che lo teneva d’acconto come un bambino.
Ogni volta che incontrava mia madre in paese, con quegli occhietti a spillo che bucavano lo schermo, le diceva : “Lucia, tenlu d’acountu è me Rein !”
La monotonia del paese veniva rotta di tanto in tanto dalle puntate al Casinò di Sanremo.
A parte quelle istituzionali all’ultimo dell’anno (in quel giorno Serravalle si spopolava e in rapporto agli abitanti penso fosse il comune più rappresentato di tutta Italia, in termini numerici, nella città dei fiori) si aggiungevano le spedizioni organizzate da Aldo Manfredi “è Capeloun”, Giorgetti, il Santino, il Rico “ei Cögu” e Marchesotti di Stazzano, e le improvvisate (toccate e fuga) con Fossati senior dell’omonimo mobilificio, “e Ministrü” a bordo di una Mercedes grigia superaccessoriata.
E il “Rein” era sempre titolare fisso!
Proprio con “è Ministrü” alla guida, una notte, tornando da Sanremo, finirono fuori strada, lui, Giorgetti e il Santino, rigando tutta la fiancata contro il guard rail, perchè, dopo la soirèe alla roulette e abbondanti libagioni al ristorante del Casinò (“è Ministrü” aveva la tessera Gold da Vip) si erano tutti addormentati durante il viaggio!
D’estate, insieme all’inseparabile Giorgetti e a Marchesotti, il “Rein” andava al mare a Ceriale in un appartamento di proprietà del Santino.
La scusa ufficiale era che Marchesotti e Giorgetti andavano per fare dei lavoretti di manutenzione, in realtà passavano le giornate in spiaggia, e in più Ceriale era un’ ottima base di appoggio per raggiungere Sanremo.
Mi ricordo una bellissima immagine del “Rein”, seduto su uno scoglio in mocassini, calzoni di lino e canottiera da muratore, “naigru n’mè na muria” (nero e abbronzato come una mora di bosco), immancabile sigaretta in bocca, che si rivolge a Giorgetti e Marchesotti che stanno facendo il bagno e li apostrofa così : “a digu beleine, nugai a riva che mi an pösu no gnive a piò!”.
Un’altra mansione di fiducia che Giorgetti & Company erano soliti assegnare al “Rein” era quella di fare da palo alle riunioni dopo cena alla bisca del Pian delle Botti.
Seduto su una poltrona, lato finestra con vista sulla strada, doveva avvisare per tempo se fossero arrivate le Forze dell’Ordine, in modo da fare sparire in quattro e quattr’otto, soldi, fiches e roulette.
Senonchè verso le 23.00, dopo l’immancabile panino al salame e un bicchiere di cancarone offerto da Renzo, padrone di casa, gli pigliava sempre un abbiocco tremendo e crollava fra le braccia di Morfeo.
Daje e daje arrivò il temuto epilogo ; al comando del maresciallo Argentieri tre gazzelle dei carabinieri con tanto di lampeggiante acceso fecero irruzione al primo piano e, visto che il “Rein ” dormiva, sorpresero in flagrante i biscazzieri, tutti schedati e denunciati per gioca d’azzardo, con tanto di titolone sul giornale “La Stampa”, a firma di un imberbe giornalista alla prime armi Walter Gianneschi.
Ma come si faceva a prendersela col “Rein”; malgrado le temute spiegazioni da dare in famiglia, e la necessità di nominare un legale, tutti la presero sul ridere, tanto che, calmatesi le acque, ripresero le serate a tema, in altra località, in mezzo ai boschi del territorio stazzanese, nella cascina del “Lein” Ercole.
E da persona riservata qual’era, il “Rein” scelse di andarsene in silenzio, quasi per non disturbare nessuno, addormentandosi sulla poltrona di casa davanti alla TV , senza più svegliarsi la mattina successiva.
Ricordo che Giorgetti, che non avevo mai visto piangere nemmeno quando raccontava le tragedie familiari dei suoi fratelli Giorgio e Armando, saputa la notizia corse a casa; appena varcato l’uscio informò mia madre con un laconico “Il Rein non c’è più”, e una lacrima gli solcò il viso rugoso come una pigna secca.
Sono sicuro che sono tutti e due in Paradiso e magari, se trovano il tempo di leggere queste quattro righe raffazzonate a loro dedicate, tra una sigaretta e una partita a carte, gli scappa pure un sorriso !