Castagne! Il buono dell’autunno
Se decidessimo di andare a fare una passeggiata nei boschi delle nostre valli e ci confrontassimo con nostri compaesani che sono già in là con le primavere, scopriremmo che molto è cambiato negli ultimi cinquant’anni.
Fino alla fine degli anni Sessanta, infatti, l’albero prevalente nelle zone boschive non esposte a sud era sicuramente il castagno e i marroni provenienti dalla nostra zona non avevano nulla da invidiare a quelli del cuneese.
Ricordo quando ero bambina che il noto pasticcere genovese Romanengo (Pietro Romanengo, fu Stefano, come recitava il marchio di fabbrica sugli incarti degli squisiti dolci) veniva a rifornirsi di marroni per preparare i suoi marron-glacé proprio qui a Serravalle.
Poi, con lo spopolamento delle campagne, qualcosa è cambiato. Il boom economico, il maggior benessere diffuso e la sempre maggiore disponibilità di alimenti di ogni tipo ha relegato un po’ nel dimenticatoio quella che fino a pochi anni prima ere stata una risorsa fondamentale di una gran parte della popolazione locale.
C’erano boschi di castagni, con alberi abbastanza radi per dar luce al sottobosco dove cresceva spontanea l’erica (Calunna vulgaris), regno di funghi di ogni tipo, tra i quali spesso capitava di trovare l’Ovolo buono (Amanita cesarea).
Queste zone, all’apparenza naturali, erano però frutto di molto lavoro. I boschi venivano costantemente governati, cioè tenuti puliti; e, durante la stagione del raccolto, si mandavano i ragazzini a sorvegliare le castagne, perché qualcuno non se ne appropriasse. I preziosi frutti erano poi raccolti in apposite costruzioni (metati) che in genere si trovavano presso i boschi e comunque non troppo lontani dalle cascine di pertinenza, detti Alberghi; messi a bagno per alcuni giorni e poi fatti asciugare sul soppalco di legno che si trovava all’interno dell’immobile, sopra un braciere.
Molteplici erano gli usi delle castagne, soprattutto come alimento. La farina di castagne, per un lungo periodo un po’ dimenticata, è stata riabilitata dall’inizio di questo secolo, perché è diventata di moda nella cucina alternativa.
Poi che cosa è successo? L’abbandono dei terreni in quota, di più difficile coltura, a favore di quelli in pianura, progressivamente liberatisi a causa dello spopolamento delle campagne di cui si è detto, ha causato l’abbandono anche della pulizia del sottobosco.
Il castagno è un albero estremamente longevo: cresce adagio ed impiega molto tempo a raggiungere la maturità.
Negli anni 50-60 la robinia, pianta pioniera a crescita rapidissima, ha cominciato a invadere poco alla volta i castagneti. In breve, le nuove piante hanno colonizzato i boschi secolari; la loro crescita velocissima ha fatto si che in pochi anni le robinie superassero in altezza le preesistenti specie arboree, privandole della luce.
Soprattutto hanno invaso il sottobosco moltiplicandosi in maniera esponenziale e soffocando completamente il novellame delle altre specie.
Dalla fine degli anni Settanta in poi ci si è messo anche l’ailanto, ancor più invadente e a crescita rapida, che ha dato il colpo di grazia a quanto rimaneva dei vecchi castagneti.
E adesso? Possiamo solo sperare che una nuova generazione, più attenta della nostra, ne comprenda il valore e voglia dedicare un po’ di attenzione a questa come a tante altre antiche colture che si stanno lentamente estinguendo.
Ma, finché ne abbiamo a disposizione, che cosa possiamo fare con le castagne? In primis le caldarroste il cui profumo, nelle prime giornate di nebbia, si spande per le vie dei paesi, ricordandoci che l’estate è proprio finita. Poi i baletti: castagne lessate intere che si possono gustare tagliandole a metà e scavando con un cucchiaino. E ancora le pelate: castagne lessate prive della prima buccia, poi private, dopo cottura, anche della seconda e mangiate a bagno nel latte caldo.
Ci sono poi ricette più elaborate come la marronita, il castagnaccio, il monte Bianco. solo per citare le più diffuse.
Scrivo la ricetta di quest’ultimo, come lo faceva mia nonna.
Monte Bianco
1kg di castagne fresche, private della prima buccia
250 cl di panna fresca, da montare
Due cucchiai di cacao amaro
Tre cucchiai di zucchero
Una presa di sale
Un rametto di finocchio selvatico (fondamentale per togliere l’eccesso di dolcezza all’impasto)Lessare le castagne, private della prima buccia, in acqua leggermente salata con il rametto di finocchio. ATTENZIONE vanno poi subito liberate dalla seconda buccia, prima che si raffreddino: altrimenti è quasi impossibile farlo.
Passare la polpa così ottenuta nel passaverdura (funziona anche con lo schiacciapatate, ma si fa più fatica). Si otterranno dei vermicelli di polpa di castagna; aggiungere cacao e zucchero e mescolare. Per l’aggiunta di cacao e zucchero funziona molto bene introdurre i vermicelli in un sacchetto di plastica (quelli da cibo per il congelatore): si aggiunge lo zucchero ed il cacao all’interno del sacchetto e, dopo averlo chiuso lo si scuote fino a che il contenuto si amalgami.
Si ripassa con il passaverdura il contenuto per restituire sofficità e omogeneità all’impasto.
Disporre i vermicelli a piramide su un piatto tondo, avendo cura di non schiacciarli. Montare la panna e ricoprire la piramide servendosi di una siringa per dolci o di un sac à poche. Spolverizzare (a piacere) con cacao amaro, servendosi di un colino, e servire.