PONTE DI PRAROLO. Cultura materiale nella costruzione della ferrovia Genova-Torino
Ponti, viadotti e gallerie della ferrovia Genova-Torino segnano inevitabilmente la viabilità di un territorio orograficamente tormentato come quello della Valle Scrivia, dove il fiume scorre incassato tra meandri e forre. Queste imponenti realizzazioni non mancarono di suscitare l’ammirazione di viaggiatori anche illustri. È del settembre 1852 una lettera di Alessandro Manzoni alla seconda moglie, Teresa Borri Stampa, in cui si descrive il tratto tra Ronco e Pietrabissara:
«[…] ponti giganteschi, viadotti lunghissimi ed altissimi, per una serie di grandi arcate, e di pilastri che paiono massi di montagna e precipizi: una galleria di 795 metri, aperta e finita: due altre che passano sotto due be’ pezzi di monti e sono riunite da un ponte sullo Scrivia: una di 400 metri, già finita, un’altra, del doppio, e già portata avanti […]».
I ponti della ferrovia a Mereta e Prarolo sono citati anche nell’Enciclopedia Tecnica Hoepli del 1941:
«[…] in Italia, nella ferrovia Torino-Genova si ricorse all’interessante ma antieconomica soluzione dei ponti a torre (luce di 40 m a Prarolo e a Mereta), dove le spalle sono cilindriche e le volte hanno l’intradosso formato da una particolare superficie le cui sezioni con piani paralleli a quello medio sono archi di cerchio con la monta costante e con la corda crescente dal mezzo alle fronti in relazione con la fronte delle spalle[1] […]».
La frase, un po’ criptica, sopra riportata, significa che per costruire questi due ponti, obliqui sulla Scrivia, si ricorse a spalle rotonde e non, come d’uso generale, a sezione quadrata o rettangolare: il motivo era di offrire minor resistenza all’acqua delle piene. Tra l’altro esse sono vuote all’interno. La difficoltà stava nel congiungere al centro dell’arco (in chiave) i due archi di cerchio che partivano dalle torri. Per capirlo bene bisogna andare sulla strada per Prarolo e osservare dal di sotto il ponte ferroviario: ci si chiederà allora chi fu quel carpentiere che riuscì a sagomare le centine in legname con una forma così difficile. Non era la sola difficoltà: alla fine della costruzione bisognava togliere l’armatura che era stata eseguita in modo tale da sostenere l’arco in costruzione più del dovuto (circa 25 centimetri): a quel punto l’arco doveva cedere di mezzo centimetro alla volta e si irrigidiva mentre i cunei all’intradosso e all’estradosso si serravano. Solo così si era sicuri che il ponte avrebbe retto i carichi previsti. La tratta Arquata Scrivia – Busalla venne inaugurata il 10 febbraio 1853 ed era suddivisa in alcuni lotti di costruzione.
Il ponte a torre di Prarolo è alto circa 22 metri e largo 9,50: essendo la linea ferroviaria in curva (raggio di 400 metri) è stato costruito appositamente più largo del normale. Ha una luce di 40 metri e 20 metri di saetta. Per la costruzione di questi arditi manufatti furono gettati ponti provvisori di cui ancora si vedono le spalle in mattoni o pietra come a Prarolo, Creverina e Mereta: purtroppo qualcuno li ha presi in considerazione come resti di ponti di epoca romana.
Il progetto e la realizzazione della linea ferroviaria sono frutto delle esperienze di matrice francese degli ingegneri del Genio Piemontese e le rielaborazioni di Isambard Kingdom Brunel (che costruì anche porti, navi, sistemi di trazione, ospedali) e del belga Henry Maus, che, come sovrintendenti, contribuirono alla costruzione delle maggiori opere d’arte, compresa la galleria dei Giovi (3.264,76 m). Per quest’ultima, secondo Corrado Lesca, furono scavati ben 14 pozzi (anche se ci sembrano un po’ tanti) che permisero di realizzare un numero doppio di fronti di avanzamento. I progettisti non avevano l’esperienza odierna né tanto meno gli strumenti adatti: la galleria tra Busalla e Piano Orizzontale fu scavata con le braccia dell’uomo e la polvere da mina.
Secondo Natale Rivara di Isola del Cantone, il traforo del Frejus è stato il primo a essere realizzato partendo dai due estremi opposti e i costruttori Sebastiano Grandis e Germain Sommelier
«[…] fecero i loro calcoli e le loro prove pratiche scavando la galleria di Pietrabissara, e per controllare se erano giusti eressero sulla montagna, come falso scopo, un’alta colonna di mattoni che esiste ancora oggi ma nessuno sa più a cosa fosse servita. Queste cose le so perché me le raccontò lo Zio che la costruì perché mio nonno Giuseppe Agusti aveva preso in appalto un lotto della ferrovia e precisamente quello da Prarolo alla galleria di Pietrabissara […]».
Il capitolato, conservato all’Archivio di Stato di Torino, era preciso nel richiedere la qualità dei materiali. Infatti, i legnami dovevano essere in parte in rovere, in parte in larice rosso, dritti, senza nodi, fenditure o difetti simili. I pali venivano impiegati grezzi, privi della corteccia, tagliati di fresco come tutti quelli impiegati nell’acqua. Il ferro per caviglie, chiavi e chiavarde doveva essere dolce, senza scaglie e provenire dalle migliori fucine di Aosta. Solo per le puntazze dei pali da fondazione sarebbe stato tollerato quello del Genovesato. La calce prescritta proveniva da cave dei dintorni di Vocemola, Mereta e Prarolo (frazioni di Arquata Scrivia e Isola del Cantone) ed era calce idraulica, esclusa quella distinta col nome di calce grassa e calce bianca. Veniva tollerata per le costruzioni fuori acqua la calce idraulica della cava del di Francesco Pejrano di Borlasca (Isola del Cantone). In alcuni casi era prescritta la calce idraulica artificiale di Voltaggio, dove esistevano fino a poco tempo fa i calcari dolomitici della linea geologica Sestri Voltaggio. Le pietre spaccate dovevano provenire da Pietrabissara (puddinga e arenaria) e solo per un decimo dal greto della Scrivia.
Furono utilizzati mattoni provenienti da fornaci dei dintorni e resistenti ad almeno 50 kg/cm2. Le dimensioni medie erano di 26,06 X 12,81X 6,23 cm. Ve ne erano anche da 21,00X13,00X8,00 cm, oppure, nelle volte dei sottopassi, sagomati a cuneo molto sottili. Sono misure decisamente differenti da quelle dei mattoni che si vedono nelle case e cascine a Isola del Cantone: forse il Committente, obbligando l’Appaltatore a usare simili dimensioni, voleva evitare furti in cantiere o un commercio illegale parallelo. Sarebbe interessante capire se in altre situazioni, in cui venivano fabbricate enormi quantità di mattoni per un’opera pubblica, si siano date prescrizioni simili (ad esempio durante la realizzazione di cinte urbane, caserme e forti). Le pietre da taglio, destinate al rivestimento di pile o spalle dei ponti erano di provenienza esclusiva della cava del mulino di Pietrabissara (Isola del Cantone): il Committente si riservava di eseguire prove chimiche antigelo o con mezzi fisici per provarne la resistenza. Fabio Mignone di Montecanne, attento ricercatore di notizie sulla storia locale, ha trovato sulla Gazzetta delle Alpi del 6 maggio 1852, la notizia di un incidente durante la costruzione che purtroppo costò la vita a tre operai, mentre cinque rimasero feriti.
Nota bibliografica
18??
N.N. Strade ferrate, Linea da Genova a Torino, Lotto Primo, (Capitolato per la costruzione del tronco di strada ferrata compreso tra il rivo Campasso, situato vicino a Mereta, e la prima svolta della strada reale di Genova oltre Isola del Cantone, della complessiva lunghezza di metri 4216,00).
196?
N. Rivara, Note, dattiloscritto presso il Centro Culturale di Isola del Cantone, s.i.d. ;
1985
G. Marcenaro, M. Serrano (a cura di) I viaggi e gli amici di genovesi di Alessandro Manzoni, Comune di Genova;
2003
S. Balbi, F. Ballocca, A. Gaggero, S. Martini Il ponte ferroviario di Prarolo. Preservare le infrastrutture in «Recuperare l’edilizia», n° 31;
2012
S. Pedemonte, Per una Storia del Comune di Isola del Cantone Savignone;
[1] Enciclopedia Tecnica Hoepli, 1941.