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Back in 70’s. Edizione di Natale

Quando sui quaderni spuntano file di pungitopo verde e bacche rosse al posto delle cornicette di fiori, questo è davvero un primo indizio che Natale è alle porte.
La percezione diventa realtà quando la maestra propone di comporre il testo per la letterina e un lavoretto da donare ai genitori. Di solito si tratta di confezionare un piccolo oggetto tipo portacandele con il das o portapenne di mollette dipinte. Quest’anno invece la Signora Montessoro ha optato per una grossa chiave che con l’aggiunta di un gancetto funge da portachiavi a muro e che dovremo dipingere e decorare a nostro piacimento.
Si è fatta tagliare le sagome di compensato da Motta e Di Dio, la falegnameria in Via Molino dove i ragazzi delle medie si procurano la tavola 50×70 per i disegni grandi, portando a casa, oltre a uno dei sorrisoni che Motta dispensa a profusione, anche un po’ di quel sentore di legno fresco che riempie la bottega.

Elisabetta “Bibi” Raviolo

L’otto di dicembre ci si butta definitivamente a pesce nello spirito festivo con l’allestimento del presepe nell’ingresso di casa. Un lavoro certosino, dalla carta blu piena di stelle per il fondale comprata dall’Angelina, alla “tepa” raccolta ai bordi delle strade di campagna per il terreno e la mangiatoia.
In preda all’horror vacui finiamo per ficcarci dentro più cose del necessario dando vita a un paesaggio surreale con statuine di altezze diverse e proporzioni inverosimili. La pecora sembra portare a passeggio il pastore e il mulino a vento richiama le verdi pianure d’Olanda piuttosto che le lande assolate di Betlemme, mentre la carta stagnola per il fiume e il laghetto aggiunge all’insieme un tocco futurista e vagamente distopico. Niente però scalfisce la nostra soddisfazione e fino allo smantellamento l’unica preoccupazione sarà il ripescaggio della stella cometa che già in fase di montaggio si stacca facilmente precipitando con orbite ellittiche dietro la capanna.
Riposti i Re Magi con i cammelli e il Bambino Gesù in una scatola da aprire a tempo debito per farli apparire solo la notte del 24 dicembre, si corre dalla nonna dove, per ragioni di spazio, si addobba solo l’albero.

Noi sotto col naso all’insù mentre la Lina, traballando in punta di piedi su una sedia, trae a fatica dallo sportello superiore dell’armadio un vecchio scatolone con la “reclam” della Pernigotti. All’interno una marea di palline di epoche diverse, dagli ultimi acquisti in plastica alle vecchie decorazioni di vetro che a occhio e croce hanno almeno quarant’anni. Per queste ultime si esige un’attenzione da chirurghi e il divieto di appenderle ai rami in alto. Il compito viene quindi affidato in larga misura a nostra mamma.


L’albero, non certo all’ultimo grido, ha fronde ordinate a raggiera molto distanziate tra loro per cui bisogna agganciare palle a iosa e metri di fili d’oro e d’argento per riempire i buchi e non farlo sembrare un triste spaventapasseri. Richiede parecchio tempo e, mentre mamma si dà da fare, preferiamo accomodarci davanti alla tv in bianco e nero che trasmette la nuova attesissima puntata di Supergulp con i cartoni di Nick Carter, i Fantastici 4, Sturmtruppen e Alan Ford con il gruppo TNT.

Nick Carter a “Natale”


Cogliamo l’attimo anche per mettere in atto la strategia nient’affatto velata di dimenticare Topolino casualmente aperto sulla pagina della pubblicità del Dolce Forno, giocattolo all’avanguardia sognato ad occhi aperti, senza illuderci troppo dato che i tentativi di persuasione cozzano senza posa con la concisa quanto risolutiva risposta “E’ pericoloso. E su pia fögu?”.

IL Dolce Forno

Tanto più ci si avvicina alle feste tanto più la Lina si fa prendere dal furfur.
Missione numero uno affrettarsi alla bottega dei “Veloci” per assicurarsi fondi di prosciutto cotto, crudo e mortadella, indispensabili per il ripieno di tortellini e ravioli. Una vera “mission impossible” perché la maggior parte delle massaie del paese brama gli stessi preziosi ingredienti.

Graziano “Veloce” Freggiaro


L’incombenza numero due consiste invece nel procurarsi un cappone per il brodo per il quale credo si rifornisca direttamente da un contadino dal momento che l’operazione di spiumaggio la Lina (detta la Capouna… nomen omen) la esegue direttamente a casa e la cucina si riempie dell’odore pungente di penne bruciate quando passa sul fornello la povera bestia per eliminare ogni traccia di impurità.

Ad essere sinceri la nonna le botteghe le gira tutte: carne da Maggiolino, vino da Pollero, caramelle, leccornie varie, mostarda da Sancristoforo e latticini da Puncroun, negozio dal quale una volta mia sorella Marina è scappata a gambe levate inorridita davanti all’ “arbanella” del formaggio con i vermi.

Marina Raviolo


C’è poi da fare il pieno dalle “Albigne” (Albinio – oggi Mersoni in Piazza Coppi), due sorelle di qualche anno più anziane di mia nonna che mandano avanti la grande bottega dopo Piazza delle Aie. Pareti di scaffali da terra a tetto zeppe di commestibili e in prima fila sul bancone tre scatole quadrate di latta, una rossa una blu e una verde, per canestrelletti, baci di dama e funghetti, dolci che sono la storia di Serravalle insieme ai grissini e alle crostate che la Lina non manca di comprare tutto l’anno e in gran quantità a Natale come omaggio ai parenti in visita.

Angela (1904 – 1994) e Gaetana (1907 – 1988) Albinio.

Parenti che si presentano in pompa magna senza preavviso durante tutta la settimana. Li conosce talmente bene o forse sono particolarmente metodici perché, nonostante sia più in giro della scopa, nonna non manca mai di farsi trovare pronta in casa.
Ci sono le nipoti abbienti avvolte in pellicce maculate come star di Grand Hotel e la zia Palma da Quinto attorno alla quale aleggia un lieve profumo di olio d’oliva, sarà per uno smodato uso che le è entrato sotto pelle?
E la Natalina che ha sposato in seconde nozze lo zio Gigi, fratello di mia nonna. Porta uno strano cappellino nero, non so se di pelo animale o di fibra sintetica, che forma un tutt’uno con i capelli dello stesso colore e, nonostante mi sforzi, non riesco a stabilire dove finisce lei e comincia il copricapo.

Numero uno in classifica tuttavia è per me il vedovo dell’Antonietta, un’altra sorella della Lina.

Zia Antonietta e suo marito


Quando compare sulla porta sgrano gli occhi e mi volto di scatto verso la nonna che annuisce con la testa “Siii l’è vea.. u smia l’artista d’ Via cu e Vaintu … Clargable!”. Sa che ho visto il film e conosce bene la mia mania di fantasticare su somiglianze o assonanze tra le persone che mi capitano a tiro.
Viene davvero da un’altra epoca: viviamo i variopinti anni 70 eppure quest’uomo resta felicemente ancorato al 1930, impeccabile nell’abito d’antan marrone, la cravatta e i capelli stirati dalla brillantina. I baffetti sottili e lo sguardo sornione ricordano il divo di Hollywood, così aspetto con ansia che di botto esclami “Francamente me ne infischio!”, al contrario con riverenza si sfila il cappello e con mio grande scoramento si mette a chiacchierare dei tempi passati.
E’ stato dirigente della filanda di Precipiano dove lavoravano tre su quattro delle sorelle Alice. Lì aveva conosciuto e poi sposato l’Antonietta con la quale era tornato a Novara, sua città natale, per aprire una gioielleria. Alla terza rapina (i tempi cambiano davvero?) avevano deciso di chiudere l’attività. Purtroppo il cuore avrebbe giocato poco dopo un brutto scherzo alla zia, strappandola alla vita terrena prematuramente.

Terminata la settimana di visite, auguri e preparativi vari si entra spediti come fusi nella fase cruciale: domani è la vigilia, le pentole scalpitano… (Segue nella prossima puntata: clicca qui)