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Back in 70’s. Edizione di Natale. Seconda puntata

Fuori fa un freddo che la Lina definisce “kaein” e il contrasto tra la temperatura esterna e il caldo delle pentole sul fuoco fa appannare i vetri alle finestre. A me non resta che disegnarci sopra tanto nonna è troppo indaffarata per accorgersene.

E’ il momento di inforcare gli occhiali e mettersi in azione per il pranzo di Natale.

Annodato stretto il grembiule con il piglio di un cavaliere con l’armatura, la Lina posiziona la grande asse di legno sopra il tavolo. Questo tavolo da una decina d’anni è il must di un sacco di cucine di Serravalle e non solo: è il modello in formica laccata con le gambe di metallo, venduto in blocco con  sedie e credenza pendant. Versioni disponibili in giallo, rosso o verde pisello. Molti, abbagliati dalla modernità, hanno rinunciato ai mobili di legno, spesso belli e funzionali, per questi obbrobri dei quali sarebbe interessante l’analisi chimica delle sostanze, temo nocive, contenute nelle parti cromate. Ma ogni epoca ha gusti e mode differenti e la nonna non ha resistito al fascino del verde pisello, a differenza di sua cognata Mariuccia che, al piano di sotto, va fiera della gradazione giallo pulcino.

Fissato saldamente il tritacarne con la manovella, la Lina gira più veloce della macchina elettrica  carne di vitello e insaccati, aggiungendo poi il necessario per il ripieno dei “kapléti”, piatto clou del pranzo di Natale. Per completare l’opera, con i ditoni da gigante dopo anni a maneggiare aghi da cucito enormi, cava da un minuscolo contenitore di vetro la noce moscata da grattugiare a piccole dosi.

Adelaide Alice (Lina a Capòuna) con la nuora Angela Casonato

Nel frattempo mia mamma che usa per questa sessione culinaria grembiule e strofinaccio con l’immagine del calendario dell’anno passato tanto in voga (il solito regalo di zia Nuni), barcamenandosi come un giunco nel mare in tempesta dell’esuberante suocera, tira la pasta in lunghe strisce sottili.
Carponi sulla sedia, il mio compito è schiacciarci sopra a stampo un bicchierino tondo custodito a mo di reliquia in un anfratto recondito della credenza ed esposto per questo solo e unico scopo possedendo, come il metro-campione conservato in Francia dal 1795, il diametro esatto per tortellini perfetti. 

Angela Alice, zia “Nuni”

Ottenuta una notevole quantità di kapléti, la frase di rito “Cos’ti disi, fèma àunke dùi anlóti?” scatena la catena di montaggio che riparte daccapo: fornelli, pignatte e ripieno, con la Lina “tùrna” alla manovella e mia mamma a tirare la sfoglia.
Durante la produzione dei ravioli mi impossesso della rotella per tagliare la pasta con il caratteristico zigzig. La mia partecipazione però dura poco perché alla prima riga priva dei tratti di un’autostrada ma irta di curve come una vetta di montagna, tempo zero l’attrezzo non l’ho più. Non mi dispiace affatto perché gli anlóti sghimbesci autoprodotti li adagio sulla stufa di ghisa. Anlóti fatti in casa arrostiti e croccanti, una delle cose più buone mai mangiate.

Tralascio l’elenco delle altre prelibatezze cucinate con una sola piccola menzione alla cima genovese colmata a grandi manate di ripieno e cucita come fosse un calzino da rammendare.

La cima genovese

Lasciando la Lina a completare il menu di Natale, mia sorella ed io saltiamo con la mamma alla prossima missione prenatalizia: il vestiario. Consuetudine vuole che, mentre si dà relativamente poca importanza agli abiti durante l’anno, è buona prassi procurarsi una mise nuova per le feste importanti, soprattutto per le funzioni in Chiesa. Nel caso di Natale presumo ci sia pure la complicità della tredicesima.

Tutte pimpanti entriamo da Cavo Abbigliamento e ne usciamo, quasi come ogni volta, con vestiti diversi solo per colore e taglia.
Siccome mamma, sarta dilettante, oggi si sente stilista, facciamo anche una capatina al negozio di Algeri che ha assortimenti a non finire di stoffe e tessuti e a noi sorelle viene lasciata la scelta dei toni del tartan per la gonna scozzese a pieghe che sarà impreziosita con tanto di spillone da acquistare dalla Franco Merceria.

Intanto a casa la Lina si accorge che iniziano a scendere piccoli fiocchi di neve ghiacciata  e borbotta che rischierà l’osso del collo sul marciapiede lucido ma la Mafalda aspetta in Chiesa le tovagliette lavate e stirate per gli altari. “Um tùca ‘ndò!” e sparisce con l’ombrello sotto il braccio.

Il negozio di confezioni di Carlo Punta e Ida Celotto

Di ritorno poi, neve o no, non può esimersi dal rinnovare anche il suo guardaroba e entra in fretta nel negozio di Carlo Punta e della Ida Celotto che da anni sono passati dalla rivendita di stoffe agli abiti confezionati, indicando decisa il soprabito Vestebene adocchiato in vetrina settimane fa.
E “Perchè nó? Ma sì! Am catu aunke ‘na bèla burséta növa da’ a Pareguèa!

Vestebene

La giornata è stata lunga e faticosa. La sera, dopo aver accompagnato al loro posto i Re Magi e disteso il piccolo Gesù Bambino nella culla con la paglia, mamma ci manda a letto rimboccandoci le coperte. Dormo col l’orecchio teso verso l’ingresso perché è lì, accanto al presepe, che domani scarterò il pacco regalo.

Sarà il fantasmagorico Dolce Forno?

Lina a Capòuna impegnata in una festa gestita dalla Pro Loco: da sinistra Tonino Monteleone, la Signora Savini, Milietta Molinero, Gigino Molinero e Lina

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