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Il papà del regalo del Mandrogno – sessantesimo anniversario

Il 27 luglio 1962 – esattamente sessant’anni fa – moriva a Serravalle Pierluigi Erizzo, autore con il fratello Ettore de Il regalo del Mandrogno. Ettore sarebbe mancato a Genova diciassette anni dopo, il 1° agosto 1979.

Vogliamo ricordare in questo quasi comune anniversario i due avvocati, letterati, intellettuali che hanno lasciato una profonda traccia di umanità nei loro scritti e che hanno molto amato il nostro paese. Lo si può comprendere fin dalle prime pagine del loro più famoso scritto, quando descrivono quel paese immaginario dove è ambientato il romanzo, trasparente mascheramento di Serravalle:

Ettore e Pierluigi Erizzo
La sovracoperta della prima edizione, realizzata da Sevolode Nicouline

[…] quel paese povero brutto sporco e caro, dove nessuno di noi era nato, o aveva vissuto, ma che pur tuttavia era per noi qualche cosa: vorremmo dire qualcuno. Quel modesto aggruppamento di case non presentava alcuna attrattiva né storica né artistica né naturale: una chiesa, una sta­zione ferroviaria, un ponte e poche umili abitazioni: polvere d’estate, fango d’inverno. […] Noi scendevamo alla modesta stazione ferroviaria quando, bambini, andavamo ancora in villeggiatura alla Pietra, da nostra nonna: oggi, dalla piazzetta ove hanno innalzato il monumento ai Caduti, svoltiamo per una strada diversa che ci porta in altra direzione allo Spineto. Parecchi nomi incisi ai piedi del piccolo monumento ci ricordano ragazzi di contadini che hanno giocato con noi.
Il nostro arrivo, negli anni lontani dell’infanzia, era salutato dai tre odori caratteristici del paese. Sulla piazzetta della stazione aleggiava fortissima la testimonianza ammoniacale di un lungo stazionamento di cavalli: poche carrozzelle, qualche carro agricolo. Più avanti, una filanda emanava uno strano alito molle e nauseante, e più avanti ancora la piazza era appestata da un formidabile fetore di baccalà che svelava di lungi la presenza del salumaio. Ora i cavalli alla stazione sono stati sostituiti da motori a scoppio e sulla piazzetta aleggia un odore meno acre e più impersonale di olio e benzina; la filanda è stata chiusa pel fallimento della piccola anonima durante la crisi delle sete; ma la vecchia salumeria, se pure ha rinnovato le sue vetrine in un deprecabile stile novecento a buon mercato, appesta ancora la piazza con l’inconfondibile odore del suo baccalà. E quando ora, stanchi del lavoro e della città, ci rifugiamo in cerca di riposo e di silenzio allo Spineto, quell’odore ci saluta ancora come un vecchio conoscente un po’ sordido ma tollerato e ci aiuta forse a ritrovare l’anima più leggera degli anni lontani.

Vogliamo qui ricordarli, oltre che con questa citazione tratta dal loro romanzo, anche con un brano – di fantasia certo, ma sicuramente non molto distante dalla realtà – che è contenuto nel racconto Il tesoro del Mandrogno, scritto da Roberto Almagioni (uno dei Soci fondatori di Chieketè), appena uscito per i tipi di Chieketè Edizioni, che vede i due fratelli Erizzo nel ruolo di personaggi: vi si narra la genesi della loro opera letteraria.

Così, per rendere meno monotone le giornate allo Spineto, i due avvocati, salvo qualche scappata di un paio di giorni alla settimana a Genova in studio, avevano cominciato ad abbozzare l’idea di scrivere a due mani, come era loro usuale abitudine, un romanzo storico.

«Si potrebbe prendere spunto da qualche evento di storia locale e intrecciarlo a quelli della nostra famiglia» aveva proposto uno dei due fratelli: a cose fatte, sebbene ne avessero discusso molte volte, nessuno dei due si ricordava bene da chi era partita l’idea iniziale. Sta di fatto che dopo aver discusso un paio di possibili scenari, Polo, che era lo spirito più caustico tra i due, aveva detto: «Magari, con l’occasione potremmo punzecchiare anche un po’ quelli della Pietra e vendicare i torti subìti da papà.»

Copertina de Il tesoro del Mandrogno (Chieketè Edizioni – 2022)

«Figurati se le nostre consorti ci lascerebbero fare una cosa del genere; farebbero un sacco di storie!»

«Proviamo a stendere qualche pagina. Magari per sperimentare un saggio delle possibili reazioni familiari, incominciamo da un testamento e dai lasciti ai vari parenti. Ti ricordi quella cliente dello studio che ci ha affidato l’impugnazione del testamento di un suo prozio per una storia di corna in famiglia? A me, quando ci aveva esposto i fatti, era sembrata una magnifica trama per un romanzo tipo saga dei Buddenbrook.» «Si, mi ricordo, e mi ricordo anche che ho dovuto depurare la tua comparsa da molte parti piuttosto “letterarie”, che ben poco avevano a che fare con la causa» gli aveva risposto Polo.

«Allora cerchiamo tra i nostri non pochi parenti qualche avo imparentato anche con i Bailo e poi incominciamo a tessere  una trama su una successione. Magari potremmo immaginare di essere incaricati dell’esecuzione e, partendo da lì, raccontare la storia della famiglia della mamma.»

«Potremmo sfruttare anche la storia dello stivale pieno di monete che racconta sempre il vecchio Masino nelle sere in cui si sfogliano le pannocchie sull’aia: quella dell’ufficiale di Napoleone ferito a Marengo», aveva soggiunto Alvise e Polo aveva assentito con entusiasmo: «Splendida idea! Così ci facciamo entrare anche le corna!»

C’era peraltro, proprio nella tradizione orale familiare una infelice storia della loro antenata, Rosina Montecucco, che si diceva – ma in genere gli adulti cambiavano discorso rapidamente e le notizie tramandate erano per lo più incerte e modificate dalla fantasia degli accidentali giovani uditori – avesse avuto una relazione extramatrimoniale ed un figlio illegittimo.

Avrebbe dovuto essere un romanzo serio, ma anche l’occasione per scaricare qualche frecciata caustica verso “quelli della Pietra” che – a loro dire – peccavano un po’ di eccesso di autostima. Era passato poco più di un decennio dalla “riconciliazione” tra i due rami della famiglia, i Foscarini e i Bailo: una questione di un prestito di danari che avevano stentato a trovare la strada del ritorno aveva determinato la rottura dei rapporti tra le due famiglie; e si sa con quanta serietà guardino alle questioni di denari i genovesi! Poi, riavuto il malloppo e trascorso un ragionevole lasso di tempo, si era celebrato un pranzo di riconciliazione nella solenne sala da pranzo della Pietra: ma qualche sentore di acido era rimasto nell’aria.

Il lavoro di stesura era cominciato! Le escursioni genovesi erano talvolta motivate più da viste all’Archivio di Stato per cercare documenti sulla battaglia di Marengo e su vicende genovesi successive, che non dal seguire qualche caso in studio.

I due avvocati scrivevano, confrontavano, correggevano.

Alla sera, dopo cena, i due, quando c’era materia per farlo, si alternavano nella letture alla famiglia riunita in salotto delle pagine scritte nei giorni precedenti.

Spesso però sorgevano accese discussioni sull’opportunità di coinvolgere nel racconto anche membri viventi della famiglia, che certamente non avrebbero gradito l’ironia a volte un po’ crudele degli autori; i loro cromosomi veneti garantivano loro la prontezza della battuta mordace e talvolta, soprattutto Polo, non si asteneva dal piacere di formularla anche a costo di una certa cattiveria.

« Oh, bravo! – aveva commentato Frau Greta dopo la lettura delle prime pagine – mi sembrate matti, tutti e due! Vedrete che “giavascaro” faranno quelli della Pietra. Già ci avevano tolto il saluto una volta, figurati che cosa faranno quando leggeranno queste cose» «Ma abbiamo cambiato tutti nomi!» aveva controbattuto suo marito Polo. «Oh bravo! Proprio tu dici così! Proprio tu che hai scritto con tuo fratello nella “Vita dell’Avvocato” di quel signore che aveva perso la causa per calunnia, perché si era riconosciuto in una persona dal nome diverso: vai a rileggerti quell’episodio e poi dimmi che non si riconosceranno nei personaggi di questo racconto. Ma in fondo, fate un po’ quello che volete: è la vostra famiglia, non la mia!»

«Forse dovrei ricordarti di quelle lettere un po’ pepate sulle opinioni politiche dei tedeschi che hai scritto ai tuoi parenti tedeschi di Rees am Rhein e che io ti avevo sconsigliato di spedire».

I figli erano intervenuti e avevano saggiamente dirottato la conversazione su altri particolari dello scritto.

Le pagine del manoscritto crescevano, mentre i giorni passavano: sullo sfondo, scandite dalla voce gracchiante della radio, non esente da miagolii e friggimenti, le vicende alterne della guerra e la sempre maggiore incertezza su che cosa potesse riservare il domani. 

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