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BISIO, Mario (Giorgetti)

musicista, fondatore della Bufa e scrola (Voltaggio, 23 gennaio 1919 – Serravalle Scrivia, 4 agosto 1994)

“Giurgeti” e Casonato

Bisio Mario, per tutti Giorgetti, nasce a Voltaggio, nella casa attaccata alla chiesetta all’ingresso del paese, secondo di quattro figli maschi (per evitare di arrivare a una squadra di calcio, il padre, non vedendo arrivare la tanto desiderata femminuccia, chiude definitivamente la Genova – Nizza procreativa).
La famiglia è di umili origini, il padre Lorenzo fa il cantoniere e la madre Elena fa la casalinga.
Dopo qualche anno la famiglia si trasferisce alla Cascina Rebutto, frazione Molini, comune di Fraconalto, di proprietà dei nonni paterni.
Sono anni di castagne nel latte e polenta e funghi quasi tutti i giorni e quest’ultimo particolare influirà in maniera decisiva sulle sue abitudini alimentari (gran fungaiolo anche in età adulta, li regalava e non li mangiava, perché a suo dire ne aveva già fatto un’abbondante scorta nell’infanzia).

Mario Bisio


A seguito del trasferimento per lavoro del padre, lo step abitativo successivo è la casa cantoniera sul fiume Scrivia, all’ingresso del paese di Cassano.
La sistemazione definitiva arriva con il trasferimento a Serravalle Scrivia, sempre in età scolastica, in una casa su due piani senza servizi igienici, in salita Cappellezza.
Terminate le scuole dell’obbligo (elementari), malgrado un’intelligenza viva, specie nella lingua italiana (sarà un suo cavallo di battaglia per tutta la vita), per mettere insieme pranzo e cena viene mandato a lavorare nella Fornace di Balbi, con la qualifica professionale di “garsunetu”.
Durante le giornate libere d’estate il suo mare è il torrente Scrivia, nello specifico il Lago dei Cavalli dove impara a nuotare alla serravallese (i più grandi ti buttavano in acqua dalla “Pila Vegia” e tu o annegavi o venivi su a galla e nuotavi tout court).
In quegli anni di gioventù bruciata i suoi idoli erano il Vampiro e Maneggia, che spopolavano fra le ragazze, buttandosi di testa dal ponte sul fiume fra Serravalle e Stazzano.
A 16 anni inizia a bighellonare nei numerosi caffè del paese e, imparata l’arte osservando gli altri, comincia a giocare a carte contro gente più anziana e facoltosa di lui.
Benchè minorenne e squattrinato, grazie alla sua prodigiosa memoria diventa una vera star del terziglio e del gofo, un gioco d’azzardo di origini spagnole, accumulando un discreto gruzzoletto; la fantasia popolare parla di circa 2000 lire (da notare che a quei tempi con 200 lire si comprava una coppia di buoi).
A 18 anni parte per il militare, dove, per imboscarsi dai vari servizi, decide di imparare a suonare da autodidatta il clarinetto, per esattezza il quartino, ed entra nella banda militare, scoprendo quella che sarà per tutta la sua vita una passione sconfinata: la musica.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e a vent’anni, insieme ai tre fratelli parte per il fronte.

Mario Bisio militare


Ma per lui la naia, almeno all’inizio, è tutta rose e fiori, visto che è di stanza in Francia a Mentone, in Costa Azzurra, occupata dalle truppe italiane, dove trascorre le giornate a nuotare e prendere il sole, inzuppando il pane nella gavetta piena di champagne, trovato in abbondanti quantità nelle cantine abbandonate dai francesi in fuga.
Ma la pacchia finisce e con una avventurosa trasvolata viene proiettato sul fronte libico, combattendo al fianco delle truppe del Generale Rommel, la famosa “Volpe del deserto”.
Partecipa alla seconda battaglia di El Alamein e viene fatto prigioniero dalle truppe inglesi del generale Montgomery.
Per sua stessa ammissione, in tutto il conflitto non ha mai sparato un solo colpo di fucile!
In prigionia diventa amico dell’allora giocatore dell’Inter Benito Lorenzi, detto “Veleno” e di Ottavio Missoni, allora atleta olimpico dei 400 metri a ostacoli, poi famoso stilista di moda, con i quali manterrà un carteggio amichevole fino agli anni ’80, specie in occasione delle festività natalizie.
La vita nel deserto è dura: il sole cocente gli fa acquisire, senza creme solari, un’abbronzatura permanente e una resistenza alla fatica e al caldo, che gli consentiranno da pensionato di andare a vangare nell’orto in pieno agosto a mezzogiorno, come se niente fosse.
Il cibo, quello sì che è un problema: sempre pane rancido, acqua e datteri (altro particolare che influirà in negativo sulle sue abitudini alimentari in occasione del Natale); così come le sigarette, perché, in mancanza d’altro, fuma le cicche buttate a terra con disprezzo dagli inglesi, che odierà come popolo per tutta la vita.
A differenza di chi finisce nei campi di prigionia in Sud Africa e Rhodesia, in cui il trattamento (cibo e alloggi) è clemente, rimane in prigionia “dorata” in Egitto, patendo la fame e il freddo, (causa l’escursione termica fra giorno e notte, tipica del deserto) per mancanza di coperte.
Nel 1947, quando oramai la guerra è finita da anni e tutti i reduci prigionieri nelle varie parti del mondo sono già rimpatriati, viene finalmente liberato e, con un avventuroso viaggio parte in nave, parte su una tradotta e parte a piedi, riesce a tornare finalmente nella sua Serravalle.
Siamo nel dopoguerra e ognuno sopravvive alla bell’e meglio, adattandosi a fare qualsiasi lavoro, anche in nero.
Lui riprende le carte in mano e ne fa quasi una professione, alternandosi fra il Caffè Italia e il Bar della Stazione dove conosce la sua futura moglie, la proprietaria Lucia Bertone, con cui convolerà a nozze solo nel 1959, perché in quegli anni ha altro da fare e poi sposarsi è un impegno troppo gravoso per uno scapolo impenitente come lui.
Insieme a due soci, i mitici Beghe’ e Ruan, compera un camioncino e decidono di mettere su una società di trasporti, ma non è roba per loro.
C’è da farsi il mazzo e non è mai il momento, come sintetizzato dal famoso motto dell’epoca; “Ti vè da Beghè un ghe n’a que’, ti vè da u’ Ruan ut disa idman, ti vè da Giurgeti l’è n’ti giardineti (i giardini con bar dehors davanti alla stazione).
Perché il soprannome “Giorgetti”?
Perché in quegli anni succede un fatto tragico che gli farà suo malgrado guadagnare questo soprannome.
Già provato dall’internamento all’ospedale psichiatrico di Alessandria del caro fratello Armando, per tutti “Armandein”, che al rientro in paese dalla ritirata di Russia esce di senno, il destino gli riserva, a breve distanza di tempo, un’altra durissima prova.
Il fratello Giorgio, con cui ha una grandissima somiglianza fisica, anche lui reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, entrato a lavorare in ferrovia come manovratore agli scambi, viene letteralmente stritolato in stazione, da un treno merci che non ha sentito arrivare alle sue spalle, e tocca a lui andare a fare il triste e macabro riconoscimento.
Così la gente del paese comincia a chiamarlo affettuosamente “Giorgetti” in memoria del fratello, un soprannome che lo fa sorridere ma gli ricorda una tragedia familiare che, malgrado il suo carattere solare e la voglia di sparare aneddoti e cazzate divertenti, che lo accompagnerà tutta la vita (quelle che in serravallese si chiamano “belinate au giasu”), non dimenticherà mai.
Termina qui la vita di Bisio Mario e inizia a questo punto quella di Giorgetti.
Dopo avere vinto il concorso come vigile urbano a Lu Monferrato, dove era continuamente rimproverato dai suoi superiori, perché non faceva la multa nemmeno a chi passava con il rosso, entra in Provincia come cantoniere, fedele alla tradizione familiare (come suo padre, il fratello di suo padre e suo nonno).
Ma i suoi amori rimangono le carte e la musica.
Per le carte basta citare un aneddoto che lo ha reso famoso.
Cominciano a giocare a carte lui e il mitico Ravio’ nel pomeriggio, proseguono senza cenare e vanno avanti tutta la notte, nonostante la stufa sia spenta, perché la sua futura fidanzata, nonchè moglie, lascia loro le chiavi del bar.
Alla mattina, quando fanno per alzarsi dal tavolo, al Raviò sono congelati i piedi e devono chiamare il dottor Varese, un’istituzione in paese, per rimetterlo in grado di deambulare.
Per quanto riguarda la musica, entra a far parte del Corpo Musicale Pippo Bagnasco suonando il quartino e ne diventa ben presto una delle colonne portanti.
Nel mentre rimette in piedi, insieme all’amico Renzo del Pian delle Botti, il Carnevale di Stazzano, con la mitica Ciurein e il grande Merlein su un unico sgangherato carro, trainato dai cavalli e con qualche musicante, che come lui ha la faccia di bronzo, mascherato alla “va là che vai bene”, al seguito.
Ma è un vulcano di idee e la banda ufficiale gli sta stretta per poter esprimere al meglio il suo talento e la sua creatività.
Dopo avere visto all’opera nel Ponente ligure, a Finale, una banda con majorettes e costumi variopinti, la Rumpe e Streppa (traduzione letterale: Rompere e Strappare), decide di fondare un nuovo gruppo musicale, che faccia non solo musica, ma anche spettacolo e divertimento.
Siamo nel 1965 e con un gruppo di amici e musicanti, già inseriti a pieno titolo nella banda Pippo Bagnasco (N’Gilein del Be, Casonato, Romagnoli, Geassa, Milan, Rivara) fonda la Bufa e Scrola, una banda che farà diventare famosa Serravalle in tutto il Nord e Centro Italia, con qualche capatina anche all’estero (Francia e Svizzera).
Le prime divise, giacche blu con il risvolto rosso sul collo e sui polsi, spalline militari dorate e pantaloni arancioni di tela con riga gialla in verticale, sono cucite con i pochi soldi a disposizione grazie alle mani sapienti della sarta Annamaria Salsa, mentre i buffi cappelli in legno sagomato, di colore rosso con greca dorata e fiocchetto centrale, sono modellati dal famoso falegname “Cide” e rivestiti dalla moglie di Rivara.
Manca ancora chi dirigerà la banda, ma il maestro ufficiale del Corpo Musicale Pippo Bagnasco, Ninein Pallavicini, fine conoscitore e insegnante di musica, ma persona estremamente introversa e riservata, non se la sente di esporsi al pubblico ludibrio e di dirigere un gruppo di scapestrati suonatori.
E allora ci pensa lui, Giorgetti, pantaloni da smoking neri, giacca di lamé, farfallino, bombetta all’inglese in testa, ghette bianche su scarpe di vernice nera.
Un brand che lo renderà celebre ad ogni sfilata musicale!

Giorgetti e la sua vittima preferita: il figlio Lorenzo


E siccome non vuole farsi mancare di nulla, compra a un’asta di costumi teatrali a Genova una divisa da carabiniere d’epoca, uguale a quella dei gendarmi di Pinocchio, e la fa indossare a Marenco, che ne incarna perfettamente lo spirito con i suoi baffoni a manubrio!
Sarà lui ad aprire con il gagliardetto tutte le sfilate della banda.
E dietro di lui, anche un bel fusto di mazziere, tale Camera del Fabbricone, una majorette dal fisico esplosivo, Dolores Solavagione, e due minimazzieri, due marmocchietti in erba, suo figlio Lorenzo, precettato a prescindere, e il suo compagno di scuola, nonché omonimo, Lorenzo Moscardini.
Dimenticavamo: la particolarità della banda non è solo nei costumi, ma anche negli strumenti musicali.
A quelli tradizionali, si accompagnano vere e proprie invenzioni individuali: due enormi forbicioni in legno, con attaccati dei campanellini, due galletti con il becco in ferro che si muovono ritmicamente picchiettando su una campanella, una grancassa alloggiata su un carrettino ricco di disegni e colori, un pupazzo di Topo Gigio gigante, rubato al figlio, sotto cui sono collocati dei piatti, che diventa ben presto l’idolo di tutti i bambini.
E poi la musica, non solo quella tradizionale per bande, ma veri e propri arrangiamenti e rivisitazioni di canzoni del festival di Sanremo e del Cantagiro, su tutte Azzurro di Celentano, la colonna sonora, con cui iniziano tutte le sfilate della banda.
Fa tutto lui da autodidatta: ascolta la canzone con il giradischi, tira giù lo spartito e poi ne cambia la ritmica e le tonalità.
Tutti i ragazzini del paese ambiscono ad entrare nella Bufa e Scrola, e Giorgetti fa i test di ingresso facendoli marciare per ore al passo dentro il campo sportivo di Serravalle.
Grazie al commendator Giovanni Guido, compianto Presidente dell’allora Cassa di Risparmio di Alessandria ma soprattutto grande filantropo e Presidente di tutte le bande di Serravalle, man mano che gli anni passano le divise sono sempre più belle e ricche di ornamenti e gli strumenti musicali sempre più nuovi e luccicanti.
Una tradizione che prosegue anche dopo il suo ritiro, perché il tempo è tiranno e la carta d’identità non perdona, grazie a Tonino Bailo, allora trombettista “zunutein”, adesso presidente, suonatore, factotum della Bufa e Scrola 4.0.
Siccome manca ancora qualcosa, per completare il cerchio musicale Giorgetti pensa bene di fondare, sempre con il solito gruppo di irriducibili fedelissimi, anche una banda degli Alpini, con tanto di cappello con piuma nera d’aquila, giubbotto grigio a risvolti verdi e “cucalle” verdi su camicia bianca.
E così il trittico è completato; alle processioni e manifestazioni ufficiali suona la banda Pippo Bagnasco, ai carnevali, alle feste patronali e alle sfilate allegoriche la Bufa e Scrola, ai raduni nazionali degli alpini la banda degli Alpini.
Tutte le scuse sono buone per non stare mai a casa in famiglia nei week end.
E siccome non sa come ingannare il poco tempo libero rimastogli a disposizione, in quanto membro della Pro Loco, decide di organizzare anche una band di pastori per Natale.

La Band dei Pastori


Scende in Abruzzo con il fido Gianni Casonato, comprano pifferi, ciaramelle e zampogne originali, enormi giacconi senza maniche di pelo bianco, tabarri neri, braghe di fustagno alla zuava, fasce in velluto, et voilà, anche la band di pastori è pronta!
Non resta che ingaggiare l’amico Pino Raviolo vestito da Babbo Natale, precettare il figlio, sua vittima preferita, con tanto di gabbietta e pappagallo infreddolito, chiedere al Renzo del Pian delle Botti di prestargli un asinello, montargli sulla groppa una gerla gigante in vimini, riempirla di leccornie e giocattoli, e sfilare per le vie del paese, regalandoli a tutti i bambini.
Passano gli anni e invecchiando bisogna trovare nuovi stimoli, quindi Giorgetti decide di rimettere in piedi lo spettacolo teatrale natalizio di Gelindo, la Divina Cumedia con la famosa Businà (satira in dialetto) in cui vengono presi in giro bonariamente, con battute, lazzi e frizzi, i politici, le autorità cittadine e i personaggi più in vista del paese.
Arruola un manipolo di aspiranti attori, un mix di giovani entusiasti e vecchie lenze navigate, con laurea e master in dialetto serravallese e si parte con una nuova avventura.
Un cast di protagonisti ricchissimo: il figlio Lorenzo, mica poteva mancare, nel ruolo di Narciso, Tonino Bailo in quello di Tirsi, Ettore Biava in quello di Borba Maffe’, Gigino Ferrari “u spegasein” in quello di Gelindo, lui nel ruolo di Medoro e Orlando Perera in quello del temuto e crudele Erode.
Un successo travolgente, le rappresentazioni di Natale e Santo Stefano sera, e della Befana al pomeriggio, nel bellissimo Teatro dei Luigini scavato nella montagna, sono sempre sold out, con tanta gente anche in piedi, ben oltre la capienza standard di 400 posti.
Il pubblico si diverte da morire, anche quelli finiti personalmente nel mirino della satira, e gli attori protagonisti pure, con battute a ruota libera fuori dal copione e sketch improvvisati che vanno avanti all’infinito.
Tanto che l’anno dopo si replica, pur con qualche subentro e cambiamento fra gli attori.
Siamo ormai verso i sessant’anni abbondanti come età: Giorgetti va in pensione, ma la voglia di partecipare alla vita del paese non manca, ed eccolo inserirsi a pieno titolo nella corale del paese, la celeberrima Polifonica creata dal maestro Bolchi.
Siccome la dentatura e i polmoni non gli consentono più di suonare strumenti a fiato, si accontenta dei timpani.
Parallelamente alla passione musicale, tiene sempre viva quella per il gioco, accontentandosi dei gironi al bar (tressette, scopa 15, tafferuglio/cirula e briscola) e di qualche puntatina al Casinò di Sanremo, non più come protagonista, ma spesso come accompagnatore/comprimario.
Qualche fiches sul tappeto verde, rien ne va plus e poi a cena a mangiare i pesci, insieme a quella banda di inguaribili compagnoni che tanto ricorda Amici Miei di Monicelli: il Santino, Marcellino, Rico ei Coghu, il Peo, Canuto, Bisiein, Matteo Gemme, ei Capelon Aldo Manfredi, Riga u’ Seingru, Marchesotti, il Rin Celotto, etc.
Una vita serena e senza scossoni, a parte qualche incidente di percorso come la tragicomica retata delle Forze dell’Ordine alla bisca “artigianale” del Pian delle Botti.
Ma chi se ne frega! – dice alla moglie per giustificarsi – Sul giornale hanno scritto Bisio Mario, penseranno sia l’apicoltore, a me conoscono tutti come Giorgetti!
Il tempo avanza inesorabile, i giorni scorrono lentamente, ma con dei riti ben precisi.
La mattina dal barbiere Peo, insieme a Lucianein, Gilo Bergonzo, il Ciuein, Franco Migliazza, Forgia e tanti altri, a rinverdire avventure, ricordi, aneddoti e personaggi della Serravalle che piano piano sta scomparendo.
Al pomeriggio all’Eur a fare una partita a carte o a discutere di politica con tre superstar come il geometra Demicheli, Prospero Varese e “one men show” Romolo Benasso.
E in estate, la sera, dopo cena e fino a notte inoltrata, a sparare “belinate au giasu” fuori dall’Eur, sempre con la sigaretta in bocca (col tempo è passato dalle Alfa e dalle Nazionali senza filtro alle Merit, rigorosamente accorciate in punta per fumarne di meno), sempre col sorriso sulle labbra, e quegli occhi azzurri vispi come mai, che si incastonano in un viso sempre più rugoso, come una pigna secca.
Se ne va nell’estate del 1994, per un “brut mò’” (come si dice a Serravalle) ai polmoni, in pieno periodo di ferie, quasi a non volere disturbare nessuno.
Ma il tam tam di tutti quelli che lo conoscono gli regala un’ultima, graditissima sorpresa: la chiesa è strapiena, c’è gente anche fuori e soprattutto c’è la banda, la sua amata banda, ragazzi giovani e vecchi musicanti, con i capelli bianchi e gli occhi lucidi per l’emozione, che lo accompagna con una struggente marcia funebre nel suo ultimo viaggio!


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