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Arquata e Serravalle: Borghi nuovi

Il castello e il borgo murato di Serravalle in una veduta compresa nel Piano dimostrativo dei confini di Novi, secolo XVII

La maggior parte dei paesi della Valle Scrivia sono accomunati da una caratteristica storico-urbanistica: appartengono alla categoria dei cosiddetti borghi nuovi. Si tratta di insediamenti urbani di fondazione, voluti e pianificati “dall’alto” ovvero da un signore locale o
da una potenza comunale dominante, in un periodo solitamente compreso tra la seconda metà del XII e la prima del XIV secolo. Lo scopo principale di questi villaggi di fondazione – noti anche come borghi franchi, ville franche o ville nuove – era quello di sottrarre popolazione alle vecchie signorie territoriali, a vantaggio di quei territori che erano stati conquistati dalle
grandi potenze comunali. In cambio, agli abitanti che accettavano di trasferirsi nei nuovi insediamenti, erano garantite agevolazioni fiscali (le franchigie, da cui borghi franchi o ville franche).
I borghi nuovi sono riconoscibili anche per la forma del loro impianto urbanistico. Possono
essere a scacchiera ortogonale, con isolati generati da due assi principali – perpendicolari tra loro – oppure a pettine, con un asse viario principale intersecato da vie ortogonali secondarie
che generano isolati posti sui due lati dell’asse maggiore.
In valle Scrivia – territorio conteso tra i comuni di Genova e Tortona a partire dalla prima metà
del XII secolo – i primi borghi nuovi sorsero per iniziativa genovese. Il primo fu probabilmente Ronco Scrivia (tra 1173 e 1180), seguito da Borgo Fornari e, probabilmente, Pietrabissara negli anni ’90 del XII secolo.
I Tortonesi fondarono invece il borgo nuovo di Serravalle – ai piedi di quel castello situato sul Mons Arimannorum, da essi acquisito nel 1122 – in un periodo non determinato ma sicuramente prima del 1190. Il 21 maggio di quell’anno un certo Caldeario vendeva una pezza di terra e una vigna posta nel borgo nuovo di Serravalle, nella giurisdizione del comune di
Tortona. Il nuovo insediamento aveva sottratto popolazione ai villaggi vicini, in particolar
modo alla signoria e al villaggio di Gattorba, già possedimento dei marchesi di Gavi e ora
appartenente al comune di Genova. Nel 1198 sono gli stessi Consoli tortonesi a consegnare i
sedimi posti dentro al mercadili serrvallis (ossia il mercatale di Serravalle, altro nome con cui
erano chiamati i borghi nuovi in quanto sede di mercato) a nove capifamiglia provenienti dai vicini villaggi Gatorba e da Giugnano, sottolineando che erano venuti ad abitare nel nuovo insediamento di propria volontà e non perché obbligati.
Il 27 marzo 1199, in occasione dei trattati di pace tra Genova e Tortona, seguiti alla guerra combattuta tra le due potenze nell’anno precedente, era stata inserita la clausola che prevedeva che tutti gli abitanti trasferitisi in territorio tortonese al tempo di guerra avrebbero dovuto far ritorno a Gattorba.
L’originale struttura urbana a pettine è ancora visibile nella planimetria attuale dell’abitato storico di Serravalle, il cui asse generatore principale corrisponde all’attuale via Berthoud.

Catasto di Serravalle copiato nel 1804 dal cartografo Giacomo Bruco dall’originale custodito in Serravalle. A destra, l’abitato a scala maggiore mostra, a colori, gli edifici del borgo nuovo; in grigio l’espansione successiva.


Di qualche decennio posteriore è il borgo nuovo di Arquata. Sebbene sul mio libro monografico su Arquata del 2003 avessi scritto che la sua fondazione dovesse ascriversi a un’iniziativa dei Tortonesi successiva al 1244 – anno in cui Arquata fu acquistata dal comune
cittadino – un’approfondita analisi delle fonti e un esame dei manufatti mi ha convinto a retrodatare la realizzazione del borgo nuovo arquatese di circa un quarto di secolo e a individuare il comune di Genova quale regista dell’operazione.
Nonostante i diplomi imperiali di Federico I, Enrico VI e Federico II – rispettivamente del 1176, 1193 e 1220 – avessero sancito l’appartenenza giuridica di Arquata al comune di Tortona, i Genovesi non smisero di rivendicare diritti su quel castello e cercarono di
impadronirsene ricorrendo a mezzi più o meno leciti. Forte di una delle clausole del trattato di

Le fasi del borgo nuovo di Arquata: in alto la matrice a pettine; in centro la prima fase di realizzazione non compiuta; in basso il tracciato delle mura che chiudevano il borgo.

pace del 1199 che prevedeva il passaggio a Genova di tutti i villaggi posti a sinistra del
torrente Scrivia, tra 1217 e 1224, i podestà genovesi avevano acquisito dai marchesi del Bosco
tutti i diritti signorili residui che questa antica famiglia deteneva su Arquata. In virtù di tali
acquisizioni, i Genovesi si sentirono giustificati a prendere possesso del castello arquatese e a
edificare un borgo nuovo ai piedi di esso, nell’area ancora oggi occupata dal borgo murato
noto come via Interiore. Proprio a causa di questo avvenimento – oltre alla contesa di Capriata
con Alessandria – si scatenò un nuovo conflitto tra i comuni di Genova e di Tortona: una
guerra che fu combattuta dal 1224 al 1225.

La famiglia Ospinelli, vassalli dei marchesi del Bosco, proprietari allodiali – ossia dei beni
materiali e fondiari – del castello di Arquata e del suo distretto, giurarono fedeltà ai Genovesi
rinnegando così la loro alleanza con Tortona che durava dal 1179. Durante la guerra il
castello fu assediato e gravemente danneggiato. È proprio dal contenuto dei trattati di pace
successivi, redatto nel 1227, che emerge un indizio rivelatore che ad Arquata era stato edificato
un borgo nuovo. Una delle clausole imponeva che nessuna persona andasse ad abitare ad
Arquata nei cinque anni successivi, allo scadere dei quali due arbitri avrebbero deciso sulle sorti di quel territorio. Altro indizio, questa volta più decisivo, si trova nell’atto di vendita del castello di Arquata da parte degli Ospinelli al comune di Tortona, datato 1244: tra
i beni ceduti, c’è anche un sedime – ossia il terreno per la costruzione di una casa – posto nel
borgo. Ultimo elemento determinante: la misurazione dei lotti originali restituisce una misura compatibile con multipli interi di piedi (e palmi) genovesi, mentre non combacia con quelli tortonesi.
È perciò molto probabile che il borgo nuovo di Arquata fosse stato edificato proprio su iniziativa genovese, in un periodo compreso tra il 1218 e il 1224, allo scopo di sottrarre popolazione alle signorie vicine e ai Tortonesi. Questo fu – assieme alla contesa del castello di
Capriata – la causa principale del conflitto tra i comuni di Genova e Tortona del 1224-25.
L’impianto urbano del nuovo insediamento è ancora oggi leggibile nella planimetria del borgo
di via Interiore. Si tratta di uno schema a pettine di cui tale via costituisce l’asse principale,
intersecato perpendicolarmente dai vicoli che delimitano gli isolati. La matrice originaria
doveva prevedere 10 isolati per lato rispetto all’asse generatore, tuttavia – forse proprio a
causa del conflitto del 1224-25 – ne furono realizzati solo 9. Il borgo incompiuto fu poi inglobato nella cerchia muraria che si chiude attorno al castello in un periodo successivo all’acquisizione tortonese, probabilmente in occasione dell’affidamento diretto di Arquata al
marchese Guglielmo del Monferrato quando, nel 1278, diventò il capitano del Popolo del comune di Tortona.

Arquata nella veduta dell’Atlante B del 1648: si può notare il borgo nuovo cinto dalle mura che salgono verso il castello.


L’attuale chiesa fu ricostruita nel XIV secolo dagli Spinola nella parte centrale dell’impianto,
andando così a occupare lo spazio di due isolati. Nella fase precedente l’edificio religioso – di
cui si ha traccia documentale nel 1231 e nel 1234 – di dimensioni più ridotte, era posto sul sedime di un solo isolato.
Sul lato minore ogni isolato era suddiviso in due sedimi o lotti affacciati sulla viabilità principale; i due lotti erano separati dalla riana (o tregenda), il canale di scolo che correva per tutta la profondità dell’isolato. Altri tre sedimi per lato, affacciati solo sul vicolo laterale, erano
posti alle spalle di quelli frontali: in base al progetto iniziale, il totale per ciascun isolato
ammontava quindi a 8 lotti. Giacché gli isolati a uso abitativo dovevano essere 18 (dal computo va escluso un isolato riservato alla chiesa e uno a uso amministrativo), i Genovesi avevano previsto la realizzazione di 144 lotti e l’insediamento di altrettanti capi famiglia.

Come si può notare da una veduta del 1648, la realizzazione delle mura di cinta, con due
braccia che scendevano dal castello posto sulla collina a monte e chiudevano l’abitato a valle,
appena sopra la viabilità esterna, diedero al borgo l’aspetto di un vero e proprio villaggio
fortificato con tanto di torri angolari e due torri/porta poste alle due estremità della via
interiore, elementi ancora oggi sopravvissuti alle trasformazioni avvenute nel corso dei secoli.