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13 ottobre 1967 – Inaugurazione della zona monumentale della Benedicta

Il Catalogo unico dei beni culturali è un immenso database online, in continuo aggiornamento, che attualmente contiene la schedatura dettagliata di oltre 3.000.000 di beni di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico presenti sul territorio italiano.

Tra essi, non poteva certo mancare la zona monumentale definita nell’area in cui fu compiuto il terribile rastrellamento della Benedicta che costò la vita, tra uccisi in battaglia, fucilati e deportati a Mauthausen, a centinaia di giovani partigiani.

Ma se la descrizione relativa al recupero e consolidamento dell’antico convento-cascinale distrutto dai nazisti al termine del rastrellamento è accurata e precisa, non altrettanto si può dire delle informazioni riguardanti la cosiddetta Zona monumentale o Campo della gloria, che è costruita sul luogo in cui furono fucilati o sommariamente sepolti 97 ragazzi quasi tutti giovanissimi.

Le cose non migliorano se sfogliamo il sito dell’Associazione memoria della Benedicta, che da diversi anni si pone il compito di mantenere viva la storia dell’eccidio. Anche qui le informazioni relative alla Zona monumentale sono assolutamente sintetiche e assai poco ci dicono sulla sua progettazione e costruzione.

Una delle prime immagini del “Campo della Gloria” appena ultimato

Insomma: un luogo della memoria di cui si è persa quasi del tutto la memoria. Una situazione sorprendente, ma, appena ho provato a compiere qualche ricerca, i miei sospetti si sono subito trasformati in certezza: la documentazione reperibile è in realtà molto scarsa. Il Campo della gloria è stato progettato ed eretto negli anni Sessanta, in quel lasso di tempo nel quale il patrimonio archivistico degli Enti pubblici dovrebbe lasciare gli archivi correnti per essere consegnato agli scaffali degli archivi storici. In realtà per ragioni molteplici, che spaziano da semplici negligenze a oggettive difficoltà organizzative, di disponibilità di personale e di spazi adeguati, la grandissima parte di questo materiale documentario rimane in una sorta di limbo archivistico ed è, di fatto, indisponibile per la consultazione.
Ho iniziato dunque a consultare giornali e periodici dell’epoca e il poco materiale archivistico disponibile; e per questa via sono riuscito a recuperare qualche tassello, per capire come quel luogo del ricordo fu ideato e costruito. Li propongo nella speranza di poter, in futuro, ricostruire il puzzle nella sua completezza.

Inaugurazione della strada Bosio – Capanne di Marcarolo
LA COSTRUZIONE DELLA ZONA MONUMENTALE

12 giugno 1960. È questa la data che può essere indicata come momento d’avvio del processo di ideazione della Zona monumentale. Quel giorno viene inaugurata la nuova strada che congiunge Bosio a Capanne di Marcarolo passando per la Benedicta. Sino a quel momento gli abitanti della frazione potevano raggiungere Bosio – il loro Comune di appartenenza – soltanto utilizzando sentieri e mulattiere. Nessuna strada conduceva a valle, se non passando dalla Liguria.

Come è noto, la mancanza di strade rese difficile anche il recupero delle salme dei ragazzi fucilati: si poté ricondurle ai loro paesi soltanto utilizzando mesti cortei di lese, slitte trainate da buoi, che trasportarono le bare sino ai laghi della Lavagnina o a Voltaggio e restano, iconograficamente, come una delle testimonianze più dolenti della storia partigiana dell’Oltregiogo.

giugno 1945. Recupero delle salme dei fucilati alla Benedicta con le lese (slitte trainate da buoi)

Un ampio articolo della rivista ufficiale della Provincia di Alessandria presenta la nuova strada definendola esplicitamente come «un voto sciolto ai Martiri della Benedicta […] tributo di affetto alla memoria degli eroici Caduti»[1]. Per riaffermare questa idea, la cerimonia a ricordo dei caduti si svolge quell’anno nello stesso giorno dell’inaugurazione della nuova arteria.

La strada viene «costruita a tempo di primato e realizzata per la volenterosa solidarietà del Consiglio Provinciale   su proposta dell’assessore Guido, e toglie finalmente dall’isolamento la popolosa e laboriosa frazione»[2]. La nuova via di comunicazione, come molte altre all’epoca, non è asfaltata, ma rappresenta un primo importante passo per lo sviluppo successivo della valle e della sua vocazione turistica, e naturalmente per la realizzazione del futuro Campo della gloria: del resto in quello stesso numero della rivista della Provincia compare una foto, corredata da una semplice didascalia (Visita al “Campo della Gloria”), in cui il Presidente Giovanni Sisto, incaricato in quell’anno dell’orazione per la celebrazione ufficiale dell’eccidio, percorre la zona delle fucilazioni delimitata da paletti,  primo segno di un futuro cantiere. Ma occorre aspettare ancora qualche tempo per vedere una significativa accelerazione degli eventi.

Per ora bisogna ricordare che Vittorio Guido [3], indicato come artefice della nuova arteria, è originario di Bosio, di cui è stato sindaco dal 1952 al 1956, è residente a Serravalle Scrivia, uno dei centri che conta più caduti nel corso del rastrellamento ed è un ex partigiano della Brigata Autonoma Merlo. È dunque molto sensibile al tema della realizzazione di una adeguata struttura che sappia onorare la memoria dei giovani caduti nel rastrellamento; e la sua permanenza ininterrotta nella Giunta provinciale, dal 1956 al 1971, è sicuramente decisiva anche per la costruzione del Sacrario, così come quella dell’altro politico-partigiano di lungo corso, il Presidente Giovanni Sisto, alla guida della Provincia di Alessandria dal 1956 al 1968 (incarico da cui si dimette per candidarsi ed essere eletto alla Camera dei Deputati).

Bnedicta, anni Cinquanta. Vittorio Guido, sindaco di Bosio, celebra l’anniversario dell’eccidio parlando da una postazione di fortuna sui ruderi

Costruita da appena tre anni, la strada viene danneggiata dall’alluvione che colpisce molte zone dell’alessandrino a fine ottobre 1963. Forse è proprio allora che inizia a rafforzarsi l’idea di costruire la Zona monumentale, fidando sulle risorse rese disponibili per la ricostruzione dell’arteria e lavorando in stretta economia. Del resto, i parenti e gli amici dei caduti (che nell’immediato dopoguerra hanno fatto erigere una piccolissima cappella votiva), le Associazioni partigiane e le forze politiche già da tempo sollecitano una sistemazione dell’area. È una azione attesa e necessaria, perché ogni anno la manifestazione in ricordo dei caduti si svolge direttamente sui ruderi del Convento distrutto[4]. Le persone coinvolte sono migliaia e raggiungono la Benedicta con mezzi di fortuna, oppure percorrendo le uniche carrozzabili che raggiungono Capanne di Marcarolo partendo dalla Liguria.

La Provincia di Alessandria prende dunque l’iniziativa di realizzare la nuova Zona Monumentale affidando l’incarico di stendere il progetto al proprio Ufficio Tecnico.
Purtroppo, tra le carte dell’Archivio Storico della Provincia, non è stato sino ad ora possibile reperire disegni e relazioni relativi al progetto e alla costruzione del Campo della Gloria.

Mi trovo dunque a procedere con un po’ di fatica tra poche fonti documentarie e molti vecchi reperti giornalistici per accumulare indizi. Il primo lo troviamo, ancora una volta, sulle pagine della preziosissima rivista mensile La Provincia di Alessandria. Sul numero del novembre 1964, a pagina 45, capita sotto gli occhi un’altra immagine corredata da una semplice didascalia. Si tratta di un disegno del pittore Guido Botta, artista alessandrino di discreta fama, che ritrae la Zona monumentale della Benedicta (progetto e sistemazione).

GUIDO BOTTA – Zona monumentale della Benedicta (progetto e sistemazione)

Null’altro si sa allo stato della documentazione riguardo al coinvolgimento di Botta nel progetto; ma il disegno, a parte una prospettiva un po’ fantasiosa dalla quale ritrae la zona, è piuttosto coerente con quella che sarà la Zona Monumentale realizzata, ad eccezione di due particolari. Il primo è l’assenza delle due lapidi poste in cima alla scalinata, il secondo invece è più rilevante e sorprendente: dal disegno parrebbe che l’intenzione della Provincia sia quella di recuperare e consolidare anche le mura dirute di ciò che resta dell’ex convento fatto esplodere dai nazifascisti. Un’ipotesi che trova conferma anche nelle parole pronunciate da Giovanni Sisto nel corso della cerimonia di inaugurazione della Zona, quando afferma che il lavoro di recupero «in avvenire si estenderà anche ai patetici ruderi della fattoria messa a ferro e fuoco per cieca rappresaglia»[5].

Oggi sappiamo che all’epoca non se ne fece, o non se ne poté, fare nulla, e fu un peccato. Negli anni Sessanta del Novecento i ruderi della Benedicta salvatisi dalla distruzione erano molto più cospicui di quelli che si poterono recuperare trentacinque anni dopo e mostravano in modo ancora più evidente l’ampiezza del perimetro della Benedicta e dunque la portata dello scempio compiuto da nazisti e fascisti.

Ideata e progettata tra la fine del 1963 e i primi mesi del 1964, la Zona monumentale viene completata a inizio autunno 1966, epoca in cui iniziano a comparire notizie e fotografie relative all’opera.

«Giungere a questa prima sistemazione della zona della Benedicta non è stata una cosa facile”, scrive Giovanni Sisto subito dopo l’inaugurazione ufficiale. “Vi abbiamo lavorato intorno per anni: Comitato alessandrino per le celebrazioni del Ventennale della Resistenza, Amministrazione Provinciale, Comuni di Tutta la Provincia, Ingegneri e Geometri dell’Ufficio tecnico, visite a non finire, questo lavoro non andava, quello tardava troppo. Insomma, si è dovuto lottare, come peraltro è giusto che si lotti per tutte le cose importanti che debbono riuscire bene” [6].

Scopriamo i nomi dei funzionari che la Provincia incarica di stendere il progetto scorrendo un articolo comparso su La Stampa nel 1967[7]: si tratta degli ingegneri Giuseppe Antona Cordara e Pier Michele Maccagno.

Il Primo è l’Ingegnere Capo della Provincia sino al 1970, anno del suo pensionamento. Lega il suo nome a molti progetti di sistemazione di strade provinciali e di edifici pubblici. Di particolare prestigio il ruolo da lui svolto nella realizzazione dell’Istituto tecnico Vinci, inaugurato in concomitanza con il Campo della Gloria, dove affianca in tutte le fasi gli autori del progetto, l’architetto Ignazio Gardella e il suo studio.

Michele Maccagno diventa anch’egli, a fine carriera, Ingegnere Capo della Provincia. Negli anni Sessanta è sindaco di Mornese, e si trovano anche tracce di un suo impegno nel Club Alpino italiano. Conosce perciò molto bene la montagna e la Val Lemme, e può egregiamente coadiuvare il suo dirigente. Il loro nome merita sicuramente di essere ricordato ed evidenziato anche con un atto ufficiale.

Ritorniamo ora al disegno di Guido Botta: rispetto alla realizzazione finale, la discrepanza più evidente nella sua raffigurazione della nuova Zona monumentale è la mancanza delle due lapidi collocate alla sommità dello scalone che collega la strada provinciale al campo.

Nicola Neonato (per gentile concessione di Elena Melosci)

Non è dato sapere se le lapidi sono state acquistate o sono state donate dal loro autore, né quando prese corpo l’idea di collocarle in quella posizione d’onore. Esse sono opera di Nicola Neonato, una singolare figura di partigiano-sculture attivissimo in Liguria e in Oltregiogo, dove ha realizzato molte sculture dedicate alla resistenza o di carattere religioso e civile. Tra esse vale la pena ricordare la stele eretta nel 1966 a Pertuso, in onore dei partigiani della Pinan-Cichero (la divisione Garibaldina a cui Neonato apparteneva con il nome di battaglia di Pollaiolo); il Monumento a Fyodor Poletaiev, lungo la strada Cantalupo-Rocchetta Ligure (1978); la stele in onore di Roberto Berthoud a Serravalle Scrivia /1975); la stele in ricordo dei caduti della Benedicta e dei deportati nei lager a Novi Ligure (1965); sempre a Novi Ligure il Monumento ai caduti della Guerra di Liberazione (1969); i portali della Parrocchia (1989) e la stele dedicata alla storia della città (1974) a Cassano Spinola. A lui la famiglia, nella persona di Elena Melosci, ha dedicato un sito internet assai utile per conoscerne la biografia e l’opera.

Nell’autunno 1966 è dunque tutto pronto per l’inaugurazione ufficiale, che però avviene solo l’anno successivo. Vediamo perché.

L’INAUGURAZIONE CON IL PRESIDENTE SARAGAT

«La provincia di Alessandria ha eseguito sul luogo dei lavori monumentali, che testimonieranno nell’avvenire il sacrificio dei purissimi eroi della Benedicta. Si auspica che l’inaugurazione del Campo della Gloria avvenga alla presenza del Capo dello Stato. Nell’attesa di tale solenne commemorazione, non è prevista, per la primavera in corso, alcuna altra celebrazione, che ne diminuirebbe l’alto significato.»

Così scrive nel maggio 1966 Gemma Venezian Guareschi, madre di Marco, partigiano della Benedicta, deportato e deceduto a Mauthausen. Gemma, in realtà, mentre scrive il suo articolo, sa che la visita è già nel calendario del Quirinale.

Venerdì 13 maggio 1966 il Presidente della Repubblica riceve infatti la giunta della Provincia di Alessandria al gran completo e accetta l’invito. La visita, abbinata con quella a Genova per le celebrazioni colombiane, è fissata per il 13 e 14 ottobre: in programma l’inaugurazione del Campo della Gloria della Benedicta e dei due istituti scolastici costruiti dalla Provincia nel capoluogo e appena ultimati (Liceo Scientifico Galilei e Istituto Tecnico Vinci). Qualche cosa però va storto, probabilmente sul versante genovese. La visita, già annunciata sulla stampa locale, viene improvvisamente rinviata: esattamente di un anno, per tenere fermo il legame con Genova e l’anniversario della scoperta dell’America.

La visita alessandrina di Giuseppe Saragat inizia ufficialmente alle ore 15 del 13 ottobre 1967, quando Il Capo dello Stato lascia la Prefettura di Genova per recarsi alla Benedicta, attraverso il percorso Busalla – Voltaggio.

L’ufficio stampa del Quirinale ci informa che, per arrivare al Sacrario e per tornare a valle, il Corteo presidenziale «percorre i 25 chilometri della strada tutta tornanti che conduce da Bosio alla Benedicta»[8]. La strada, aperta nel 1960, è stata asfaltata per l’occasione e diventa così una nuova importante arteria per collegare il Basso alessandrino con la Liguria, attraverso un suggestivo percorso montano, contribuendo allo sviluppo del turismo culturale ed escursionistico insieme a quello legato al ricordo dolente dell’eccidio.

NICOLA NEONATO – Ai Martiri della Benedicta

La cerimonia di inaugurazione ha inizio alle ore 16 del 13 ottobre 1967:

«Il Capo dello Stato ha preso posto ai piedi della scala di accesso al sacrario. […] Sotto il sacrario un plotone di fanti, con la baionetta innestata, rendeva gli onori militari; davanti alla lampada votiva una corona di alloro del Presidente della Repubblica. […] Nel bosco tutto intorno o arrampicate sulle balze della collina di fronte, migliaia di persone, in gran parte ex partigiani che hanno combattuto nella zona» [9].

Siamo a ottobre, il crepuscolo arriva presto e la cerimonia si svolge rapidamente. Del resto in queste occasioni gli interventi sono preparati, letti e riletti per tempo e nulla è lasciato all’improvvisazione. Alle 17 Saragat è già sulla Lancia Flaminia 335 presidenziale che lo porta ad Alessandria.

Giovanni Sisto nel suo discorso, dopo aver rievocato brevemente la storia dell’eccidio, ricorda l’impegno della Provincia e dei suoi Uffici tecnici nella costruzione del Campo della gloria e il contributo economico offerto da tutti i Comuni della Provincia per la sua erezione, nonché quello del Comune e della Provincia di Genova.

Dopo gli interventi del Presidente della Provincia di Genova, Francesco Cattanei, e del Ministro Paolo Emilio Taviani, è il turno del Presidente Saragat. Il suo è un discorso breve e d’occasione, ma vale la pena citarne il passaggio finale:

«I trecentoventi giovani della Benedicta sono oggi di nuovo presenti in mezzo a noi! Facciamo che questa presenza perduri, esempio di fede nei più alti e nei più nobili valori umani: la libertà, la giustizia e la pace».

Parole che ancora oggi restano tragicamente sospese, in questo mondo e in questa Europa, drammaticamente segnati dalle guerre e dai suoi orrori.


[1] La provincia di Alessandria”, giugno 1960, p. 29.

[2] “La provincia di Alessandria”, giugno 1960, p. 29.

[3] Cfr. R. Botta, G. Guido, R. Lera, R. Livragni, Vittorio Gianni Guido. La sua storia, Edizioni Chieketè, 2023.

[4] “Per 20 anni i pellegrini alla Benedicta hanno avuto come meta alcuni ruderi che vanno sempre più consumandosi, una piccola Cappella eretta dalla pietà dei familiari nell’immediato dopoguerra e alcune file di rustiche croci su un dosso erboso battuto dai venti”. “La Provincia di Alessandria”, ottobre 1967, p. 8.

[5] “La Provincia di Alessandria, ottobre 1967, p. 10.

[6] “La Provincia di Alessandria, ottobre 1967, p. 4.

[7] Franco Marchiaro, Il monito dei novantasette partigiani trucidati dai fascisti alla “Benedicta“, in “Stampa Sera“ , 12 ottobre 1967.

[8] Cfr. Portale storico della presidenza della Repubblica (https://archivio.quirinale.it/aspr/), Saragat ufficio stampa. Telescriventi, busta 85 serie Z. Interveti volume 5, p. 135.

[9] Ibidem.

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