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Necrologio di Gemma Guareschi

di Ferruccio Gambera

(da LA RESISTENZA IN PROVINCIA DI ALESSANDRIA – ed. A.N.P.I. – 1976 pagg.149-151)

Primavera 1975.
Trent’anni or sono l’Italia concludeva il suo Risorgimento.
L’anniversario viene festeggiato ovunque e la natura si unisce a questo tripudio, esplodendo in un solenne canto di verde e di fiori.
Serravalle Scrivia ne è ridondante, mentre l’Appennino ligure-piemontese, che le fa corona, svetta nitido al sole giocondo di aprile. Intorno il Silenzio e la Quiete.
Aduso ormai alle brume ed alla foschia della grande città, sono aggredito da una sensazione strana, che sa di ricordi lontani, di irreale, quasi di fiaba.
Ma quando l’ex-partigiana Martina Valsesia, varcato il piccolo cancello e salita l’angusta, ripida scaletta, mi introduce in quella casa, la sensazione cessa di colpo per diventare paradossalmente la realtà di un sogno. Una realtà — mi si consenta l’assurdo — al di fuori di se stessa, ma che due vecchi, tipici, oserei dire stereotipati, classici per la canizie, per l’abito dimesso, per il deambulare, per le rughe che ne segnano il volto, si incaricano di ribadire perentoriamente.
Perché i coniugi Guareschi — lui, Giacinto, 93 anni; lei, Gemma, 78 — vivono fuori del tempo. E quanto li circonda è, pur esso, fuori del tempo.
Per loro, infatti, tutto si è fermato a quel lontano, tragico 7 aprile del 1944, quando Marco, l’unico figlio, allora ventiduenne, sì, alla Benedicta, fu catturato dagli sgherri nazifascisti, deportato, quindi, a Mauthausen, per non tornare più.

Marco Guareschi (foto ISRAL)


Così le memorie di Giacinto e Gemma Guareschi si trasformano costantemente in vita attuale e ricacciano indietro te, che le ascolti, ti fanno percepire con epidermica constatazione l’ambiente, il clima, l’atmosfera di quei giorni.
Come se tu vi ritornassi dentro. Di conseguenza intuisci, provi addirittura le stesse ansie di questa madre che, l’arma nascosta sul ventre, passa sorridendo tra la soldataglia teutone e repubblicana per portarla al suo Marco rifugiatosi sulle balze del monte Tobbio, non intendendo aderire al bando Graziani.
L’arma: una Glisendi che risale alla guerra ’15-’18 e che, ora, dovrebbe opporsi ai carri armati della Wermacht. L’arma che, tuttavia, Marco non ha concesso al nemico, che ha nascosto e che non verrà mai più ritrovata.
Vi è un qualcosa di sublime in tutto questo, direi perfino di romantico, se alla conclusione non vi stessero la morte ed un immane massacro.

Primavera 1975.
Lo confesso, sto per accostarmi, dopo tanti anni, per la prima volta alla Benedicta.
E’ necessario mi prepari spiritualmente, che mi documenti.
E’ inalienabile che, soprattutto per me stesso, ne compenetri l’essenza, il messaggio, l’entità morale, rappresentando questo episodio della Resistenza nella nostra provincia un primo, salatissimo prezzo pagato dai Partigiani per riscattare dignità e indipendenza al nostro Paese.
Ecco perché Martina mi accompagna dai Guareschi; ecco perché intendo incidere un nastro con la viva voce di questa madre la quale, privata della risorsa più importante della sua esistenza, orbata del suo Marco, non concede alcunché alla disperazione.
Equamente orgogliosa, fiera del supremo sacrificio, delle inaudite sofferenze, affrontate, come affermano valide testimonianze, con serenità dal figlio nell’arco dei lunghissimi mesi trascorsi in uno dei lagers più terrificanti, Gemma Guareschi, forte delle due lauree — una in chimica, l’altra in lettere — acquisite, si mette a totale disposizione, in ciò incondizionatamente coadiuvata dal marito, prof. Giacinto, pur esso laureato in matematica ed ex-Preside di Liceo presso un istituto genovese, dove ebbe allievi illustri, tra i quali il prof. Dogliotti, affinché i valori della Resistenza rimangano vivi, affinché i giovani che numerosi passano nella sua casa per una lezione di greco, di italiano, di latino o di matematica capiscano a fondo i perché della lotta di Liberazione, la considerino prezioso patrimonio nazionale, la ritengano un viatico, un programma, un’eredità.
Talvolta dà di piglio alla penna ed allora tutto quanto le urge dentro, tutto il sentimento, l’amore, la passione sgorgano limpidi, chiari, sonori come un inno meraviglioso. Spesse volte tradiscono il dolore, l’angoscia. Ma sempre pacatamente, con un velo di infinita rassegnazione; una rassegnazione conscia di aver dato con il sangue del suo sangue qualcosa alla Patria, al bene comune, alla democrazia.

Ora Gemma Guareschi non è più. l’11 giugno del 1975 ha chiuso improvvisamente gli occhi.

Gemma Guareschi

Benito Ciarlo

Calabrese di Montalto Uffugo (CS), dov'è nato nel 1950. Vive a Serravalle Scrivia (AL) dal 1968.